Alberto Negri [L’analisi] L’Italia vulnerabile e “commissariata”. E il disastro è appena cominciato
Cacciato dalla porta del Quirinale,
il populismo italico potrebbe trasformarsi in una scomposta ondata
nazionalista senza precedenti in un Paese che per altro ha sempre
dimostrato uno scarso attaccamento alla bandiera e uno assai maggiore al
portafoglio, che oggi langue. Il Mattarella in testa a Paolo Savona, un
anziano e stimato signore che si è fatto strumentalizzare dal furbetto
Matteo Salvini, è stato un colpo da maestro per respingere, almeno per
il momento, i Cinquestelle dalla stanza dei bottoni, ma potrebbe
trasformarsi in un boomerang.
Tornare alla caduta di Gheddafi per capire
L’Italia resta un Paese vulnerabile
dentro e soprattutto fuori, sui mercati e in politica estera.
Vulnerabile anche alle tesi di un complotto internazionale
dell’establishment europeo e interno a difesa dell’euro, citato a volte a
sproposito come il padre di tutti i guai italiani. Ma un colpevole
bisogna pur sempre trovarlo per giustificare la nostra insipienza. Non
c’è nessun complotto, per il momento, ma l’evidenza dei fatti. L’Italia è
un Paese fragile da quando nel 2011 Francia, Gran Bretagna e Stati
Uniti decisero di far fuori il Colonnello Gheddafi, il suo più
importante alleato nel Mediterraneo che soltanto sei mesi prima, il 30
agosto 2010, aveva ricevuto in pompa magna a Roma firmando contratti per
decine di miliardi e affidandosi al raìs per il controllo dei flussi
migratori. Non solo l’Italia non lo ha difeso ma lo ha bombardato
cedendo ai ricatti dei suoi alleati della Nato che minacciavano di
colpire i terminali dell’Eni.
E’ stata la maggiore sconfitta
dell’Italia dalla seconda guerra mondiale. Le conseguenze sono state
devastanti: perdite in denaro colossali e un’ondata migratoria che, anno
dopo anno, ha destabilizzato il quadro politico del Paese. Da quel 2011
gli alleati e concorrenti dell’Italia hanno minato i nostri interessi
lasciandoci soli e allo sbando. Mentre ieri a Roma si consumava la crisi
politica più lacerante degli ultimi anni, Emmanuel Macron ha convocato
per domani a Parigi una conferenza internazionale sulla Libia che “si
svolgerà sotto l'egida delle Nazioni Unite” per fissare la data delle
elezioni.
La nuova "guerra" in Libia
Che cosa sta facendo Macron? In poche
parole, sotto il naso dell’Italia, sta tentando di portarsi via quel
che resta della Libia. Il presidente francese, che si era detto pronto a
collaborare con l’ex premer incaricato Conte (senza sapere, come tutti,
neppure chi fosse), ha convocato a Parigi il premier del governo di
Tripoli Fayez al Serraj e il generale Khalifa Haftar, signore della
Cirenaica e alleato dei francesi e dei russi con l’obiettivo di
sottrarre all’Italia l'iniziativa politica ed economica in Libia,
petrolio compreso. Per ottenere questo risultato ha invitato a Parigi
anche Aqila Saleh, presidente del Parlamento di Tobruk, e Khalid al
Meshri, presidente dell'Alto Consiglio di Stato esponente dei Fratelli
Musulmani. Solo Misurata si è opposta alla strategia della Francia ma
certamente non sarà questa debole Italia a sostenerla.
Un esecutivo troppo filo russo
Poi ci sono gli aspetti mediatici di
un campagna anti-italiana che le forze interne potrebbero sfruttare per
rivendicare la “vittoria mutilata” delle ultime elezioni. Dopo che Der
Spiegel ci ha definito degli “scrocconi aggressivi”, evidenziando le
critiche feroci alla Germania di Savona, il Frankfurter Algemeine ha
messo in guardia che i servizi tedeschi, in caso di governo
giallo-verde, avrebbero sospeso i rapporti con la nostra intelligence
perché l’esecutivo sarebbe stato tropo filo-russo. Sotto accusa il
contratto Salvini-Di Maio per le righe dedicate alla cancellazione delle
sanzioni a Mosca, misura che l’Italia per altro non potrebbe prendere
senza l’accordo dell’Europa.
Essere commissariati
Ma queste tutto sommato sono amenità
rispetto a quanto può accadere sui mercati. La convocazione di Carlo
Cottarelli al Quirinale ha l’aria di un commissariamento in vista non
solo di possibili elezioni ma anche dell’addio di Mario Draghi
all’inizio del 2019 dalla Banca centrale europea. Il presidente della
repubblica cui non piacciano anti-tedeschi e anti-euro _ e neppure
quelli non amici di americani e israeliani _ punta sull’ex commissario
alla spending review per tenere a galla la barca italiana che finora ha
beneficiato della politica monetaria espansiva della Bce e della
crescita economica.
Il rancore che cresce
Ma la relativa “tregua” sui mercati
finanziari non è scontata e non sarà così semplice neppure far digerire
all’opinione pubblica che il partito vincitore delle ultime elezioni
forse dovrà andare ancora all’opposizione. La rabbia della delusione può
essere un fuoco fatuo ma nel Paese cova da anni un sordo rancore nei
confronti della classe dirigente o presunta tale che finora è stato
ignorato o affrontato malamente. Tutto questo potrebbe diventare una
trappola e innescare davvero una sorta di strategia della tensione
fatale agli interessi del Paese. La crisi, quella vera, della nazione è
appena cominciata.
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