Umberto De Giovannangel Esplosione ad Aleppo e nuove sanzioni per Mosca: la crisi Usa-Russia non finisce mai
L'esplosione a Jabal Azzan. Nuove sanzioni ventilate contro la Russia. La base iraniana di Jabal Azzan, a sud di Aleppo, è stata colpita da un attacco aereo.
Esplosione ad Aleppo e nuove sanzioni per Mosca: la crisi Usa-Russia non finisce mai
L'esplosione a Jabal Azzan. Nuove
sanzioni ventilate contro la Russia. La base iraniana di Jabal Azzan, a
sud di Aleppo, è stata colpita da un attacco aereo. Esplosioni che hanno
causato la morte di almeno 20 persone, tra cui ci sono anche militari
di Teheran. La notizia arriva dai media turchi ed è stata anche ripresa
dall'agenzia russa Tass, ma non è chiaro se sia trattato di
un'esplosione accidentale in un deposito di armi o se vi sia stato un
attacco aereo.
A propendere per la prima ipotesi è
Hezbollah, che parla di uno scoppio accidentale e anche per il direttore
dell'Osservatorio siriano sui diritti umani (Ondus), Rami Abdel Rahman,
non è chiara la natura dell'esplosione. Sempre secondo l'Ondus
"l'esplosione è avvenuta in una zona dove le forze iraniane (Allied
Damasco) sono presenti vicino alla Brigata Fatimi'es" integrata da
combattenti composta afghani sciiti.
La notizia per ora non trova conferme
indipendenti, ma alcuni media siriani parlano già apertamente di un raid
aereo israeliano, come quello attribuito a Israele della scorsa
settimana contro la base aerea di Tayfur (o t-4), fra Homs e Palmira,
che ha provocato la morte di 24 iraniani. Il premier israeliano,
Benjamin Netanyahu, è tornato ad ammonire Assad: "I suoi sforzi
incessanti per acquisire e utilizzare le armi di distruzione di massa,
il suo inaccettabile disprezzo per il diritto internazionale e il suo
accordo con l'Iran e i suoi alleati mettono in pericolo la Siria".
A quanto risulta a Huffpost, la base
colpita era uno dei target da colpire, indicati al Pentagono
dall'intelligence militare di Tsahal, le Forze di difesa dello Stato
ebraico. Israele ha ripetutamente invitato Putin a non rafforzare le
difese aeree di Assad. Perché L'imperativo per l'aviazione militare
israeliana è mantenere la sua libertà di azione contro la Siria e il
Libano. Il generale Sergei Ruskoi del Comando strategico russo ha già
fatto balenare la possibilità che Mosca possa fornire alla Siria gli
"S-300", missili antimissile di ultima generazione. Per Israele,
confidano fonti vicine al premier Netanyahu, una eventualità del genere
rappresenterebbe, assieme al rafforzamento della presenza iraniana in
Siria, "una dichiarazione di guerra".
Per questo a Gerusalemme si "sezionano"
le parole di Trump e dei suoi più stretti collaboratori, per capire se
l'azione di venerdì notti rappresenti una sorta di colpo di coda da
parte americana prima dell'annunciato, da parte dell'inquilino della
Casa Bianca, ritiro degli Usa dalla Siria. Se così fosse, Israele si
sentirebbe lasciato da solo a fronteggiare una minaccia mortale alla sua
sicurezza. E allora, tutto sarebbe possibile.
Gerusalemme guarda anche a Mosca. Con un
atteggiamento che Yuval Steinitz, uno dei ministri più vicini a
Netanyau, sintetizza con Huffpost in questo modo: "Putin deve decidersi
se essere arbitro o giocatore. Nel primo caso, Israele è pronto a
riconoscergli meriti e aspettative, ma se il presidente russo continuerà
a sostenere Assad e gli Iraniani, saremo costretti ad agire di
conseguenza".
L'esplosione a Jabal Azzan avviene a
meno di 24 ore dall'attacco missilistico congiunto di Usa, Regno Unito e
Francia contro l'arsenale chimico siriano. Da Gerusalemme nessuna
conferma, né ufficiale né ufficiosa, della paternità dell'attacco. Ma
una cosa appare chiara dai silenzi dei vertici politici e da quanto
scrivono i maggiori giornali dello Stato ebraico: l'azione dimostrativa
non ha soddisfatto Gerusalemme. Tutt'altro. Emblematico, a tal
proposito, il titolo di apertura dell'edizione online di Haaretz: "Syria
attack Is a Win for Assad". "L'Occidente – spiega l'analisi che
sorregge il titolo – non ha compreso che certe sue azioni finiscono per
fare di Assad una vittima agli occhi del mondo arabo e, senza
indebolirne le capacità militari, rafforza la sua propaganda".
E una conferma viene dallo stesso rais
di Damasco. Bashar al- Assad è convinto che i missili occidentali contro
la Siria non avranno altro effetto che "unire il Paese" sotto la sua
leadership. Il presidente siriano se n'è detto convinto ricevendo oggi a
Damasco una delegazione di politici russi. Per Assad, inoltre, al raid
si è associata una campagna di menzogne al Consiglio di sicurezza contro
la Siria e la Russia. "Questo dimostra che entrambi i Paesi stanno
combattendo una battaglia non solo contro il terrorismo, ma anche a
difesa del diritto internazionale che si basa sul rispetto per la
sovranità degli Stati e della volontà dei loro popoli".
La presidenza siriana ha postato sul suo
profilo Twitter una foto dell'incontro. A riferire le parole del rais è
stato il parlamentare russo Dmitry Sablin. I russi hanno descritto
Assad come assolutamente "positivo e di buon umore". Il giorno dopo,
parla Putin. Il presidente russo ha detto all'omologo iraniano, Hassan
Rouhani, che nuove violazioni della Carta delle Nazioni Unite porteranno
"al caos nelle relazioni internazionali". Lo ha reso noto il Cremlino
annunciando una conversazione telefonica tra i due leader in cui hanno
parlato della Siria dopo l'attacco di Usa, Francia e Gran Bretagna. I
raid "danneggiano le prospettive di una soluzione politica" in Siria,
hanno concordato Putin e Rouhani.
Che fare? Che fare dopo un'azione
dimostrativa, che tale è rimasta, senza aver modificato la realtà del
campo. Un campo affollato da giocatori mossi da interessi diversi, se
non opposti. Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna, Russia, Israele, Iran,
Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Turchia, senza dimenticare i curdi
e lo Stato islamico: trovare una quadra appare oggi una missione
impossibile. C'è chi parla e scrive di "missili dell'irrilevanza", ma
scavando più a fondo, la realtà che emerge è molto più complessa e
attiene ai caratteri che può assumere la guerra nell'era nucleare,
quanto a testarsi sono le due potenze militari globali. Ed è quello che è
avvenuto venerdì notte in Siria. Ha ragione il segretario generale
delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, quando avverte che la Guerra
fredda è tornata.
Tornata ma in un contesto mondiale
diverso e per molti versi più pericoloso. Perché oggi, e la vicenda
siriana ne è la testimonianza più rilevante ma non l'unica, non siamo di
fronte a due blocchi contrapposti ma in cui era chiaro chi comandava.
Oggi Usa e Russia si confrontano circondati da alleati scomodi perché
animati a loro volta da ambizioni che possono alla fine confliggere con
quelle di Mosca o Washington. Le variabili sono aumentate, come la
potenza degli armamenti a disposizione. Trump non poteva non
intervenire, senza perdere la faccia, ma non poteva, gli hanno spiegato
quelli del Pentagono, alzare troppo il tiro non contro Assad ma contro i
suoi protettori Russi.
Le due potenze si sono "annusate", hanno
testato i nuovi sistemi d'armi missilistici, sapendo che in futuro, la
risposta russa ad un nuovo e più penetrante attacco starebbe Nel colpire
le navi da cui partono i missili. Ma se questo avvenisse sarebbe il
disastro. L'escalation, una volta iniziata, sarebbe difficilmente
controllabile. Il Pentagono conferma che nel raid è stato colpito un
centro di ricerca scientifica a Damasco ed il deposito di armi chimiche
di Him Shinshar situato a ovest di Homs che si ritiene fosse connesso
alla produzione di Sarin. Missili da crociera hanno colpito anche una
struttura di stoccaggio di armi chimiche ed un posto di comando vicino a
Homs. Secondo il capo di stato maggiore Usa, il generale Joe Dunford, i
raid sono stati puntati su luoghi collegati al programma delle armi
chimiche siriano, uno vicino Damasco e due nella regione di Homs.
Per il momento si è trattato di un
"one-time shot", come l'ha definita a caldo il numero uno del Pentagono,
l'ex generale James Mattis. A cui però potranno seguirne altre se
Damasco farà nuovamente ricorso ai gas: "Abbiamo dato alla diplomazia
chance su chance. Ora il tempo delle parole è finito, e se la Siria
userà ancora i gas gli Stati Uniti hanno il colpo in canna e sono pronti
a sparare", ha minacciato senza mezzi termini l'ambasciatrice Usa
all'Onu Nikki Haley durante la riunione del Consiglio di sicurezza
convocata d'emergenza al Palazzo di Vetro di New York. La Russia "usa il
veto al Consiglio di sicurezza come il regime siriano usa il Sarin", ha
tuonato l'ambasciatrice Usa, con un linguaggio certamente poco
diplomatico. Non basta. L'amministrazione Trump è pronta a colpire Mosca
con nuove sanzioni. È la stessa Haley a dirlo, annunciando misure che
potrebbero essere varate già domani. Intervistata da Fox l'ambasciatrice
americana, che accusa la Russia di alimentare le tensioni con gli Stati
Uniti e di non fare nulla per evitare che il regime di Assad usi armi
chimiche, ha ricordato le sanzioni già varate e "continuerà a farlo,
come vedrete lunedì", ha aggiunto.
Intanto, dopo le presunte prove
dell'attacco chimico a Douma, una squadra internazionale di esperti ha
iniziato proprio oggi la sua indagine per verificare se le ipotesi
dell'Occidente possano trovare riscontri. La missione dell'Opac
(Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche) è arrivata a
Damasco nella giornata di sabato, quando ancora non si erano dissolti i
venti di guerra. Parlando all'agenzia Afp, il vice-ministro siriano per
gli Esteri, Ayman Soussane, ha detto che "è previsto che la squadra si
diriga oggi a Douma, per iniziare il suo lavoro". "Lasceremo alla
squadra di fare il suo lavoro in maniera professionale, obiettiva e
imparziale, lontano da qualunque tipo di pressione", ha spiegato il
vice-ministro, secondo cui i risultati dell'indagine mostreranno che "le
accuse sono menzognere". Teatro delle indagini sarà la cittadina di
Douma, nella regione della Ghouta orientale, alle porte della capitale
siriana. L'area, secondo quanto ha fatto sapere ieri il regime di
Damasco, è stata "ripulita" da tutti i ribelli. E, probabilmente, anche
delle prove dell'attacco chimico.
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