Con la Grande Marcia del Ritorno, i palestinesi chiedono una vita dignitosa
- Gaza, la Corte penale internazionale intervenga: se non ora, quando?
- “Non ci sono innocenti a Gaza” dice il ministro della Difesa israeliano
- Con la Grande Marcia del Ritorno, i palestinesi chiedono una vita dignitosa
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- Comunicato del procuratore della Corte Penale Internazionale, Fatou Bensouda, in merito al peggioramento della situazione a Gaza
Ahmad Abu Rtemah
The Nation – 6 aprile, 2018
La Nakba non è
solo una memoria [da coltivare], è una realtà tuttora in atto. Possiamo
accettare che alla fine dobbiamo morire tutti; a Gaza la tragedia è che
non riusciamo a vivere.
Khan Younis- Negli ultimi otto
giorni, decine di migliaia di manifestanti a Gaza hanno ridato vita a un
luogo che lentamente se ne stava impoverendo. Siamo venuti in massa,
lanciando slogan e cantando una ninna nanna che tutti abbiamo
desiderato, “Noi ritorneremo”, portando tutto quello che ci è rimasto da
offrire nel tentativo di reclamare i nostri diritti a vivere in libertà
e giustizia. Nonostante la nostra marcia pacifica, ci siamo imbattuti
in una pioggia di gas lacrimogeni e di fuoco letale [lanciati] dai
soldati israeliani. Sfortunatamente non è una novità per i palestinesi
di Gaza che hanno vissuto molte guerre e un brutale assedio e blocco.
A Gaza abitano quasi 1 milione e
900.000 persone di cui 1 milione e 200.000 sono rifugiati espulsi dalle
loro case e dalle loro terre durante la formazione di Israele 70 anni
addietro, conosciuta come la Nakba ( la Catastrofe) per i palestinesi.
Sin dall’inizio dell’assedio quasi 11 anni fa, il semplice obiettivo di
sopravvivere ogni giorno si è dimostrato essere una sfida. Adesso
solamente svegliarsi e potere usare acqua pulita ed elettricità è un
lusso. L’assedio è stato particolarmente duro per i giovani, che
soffrono a causa di un tasso di disoccupazione pari al 58%. Quello che è
peggio è che tutto ciò è il risultato della politica di Israele che può
essere cambiata. Questa vita dura e difficile non deve essere la realtà
di Gaza.
I pescatori non possono avventurarsi
oltre le sei miglia marine, il che trasforma in una sfida pescare
abbastanza da mantenere i loro familiari. Dopo le guerre di Israele del
2008-09 e poi di nuovo del 2012 e del 2014 e tutte le uccisioni che sono
avvenute in quel periodo, alla gente qui non è nemmeno concessa
l’opportunità di ricostruire, giacché Israele ha ridotto i permessi di
ingresso dei materiali di costruzione. Le condizioni degli ospedali sono
allarmanti, e ai pazienti di rado viene data l’opportunità di andare a
curarsi fuori [da Gaza]. Non vale la pena nemmeno di menzionare la
perpetua condizione di oscurità in cui viviamo, praticamente senza
elettricità o acqua pulita. Non è stato sufficiente averci cacciati; è
come se tutta la memoria dei rifugiati palestinesi debba essere
confinata e cancellata.
Sono
nato nel campo profughi di Rafah a Gaza. I miei genitori sono della
città di Ramle in quello che ora è conosciuto come Israele. Come la
maggior parte dei rifugiati palestinesi, ho sentito le storie dai membri
più anziani della mia famiglia riguardo alla brutalità con cui sono
stati cacciati dalle loro case durante la Nakba. Nonostante siano
passati molti decenni, essi, come centinaia di migliaia di altre
persone, non sono capaci di dimenticare gli orrori di cui sono stati
testimoni durante il loro esproprio e tutte le violenze e sofferenze che
si sono accompagnate a ciò.
Non ho mai visto la casa della
mia famiglia a Ramle e i miei figli non hanno mai visto niente oltre i
confini di Gaza e dell’assedio. Il mio più grande figlio di 7 anni e il
più piccolo di 2 non conoscono nessuna realtà all’infuori del rumore
delle bombe, del buio della notte senza elettricità, dell’impossibilità
di viaggiare liberamente, o il fatto che queste cose non sono normali.
Niente nella vita di Gaza è normale. La Nakba non è solo una pratica di
memoria, è una realtà tuttora in atto. E se possiamo rassegnarci che
tutti alla fine dobbiamo morire, a Gaza la tragedia è che non riusciamo a
vivere.
E’
contro questa dura realtà che resistiamo. Gli ultimi due venerdì,
abbiamo resistito contro tutte le potenze che ci dicevano di smettere e
morire in silenzio e abbiamo deciso di marciare per la vita. Si tratta
di una protesta di una popolazione che non vuole altro che vivere in
dignità.
Nel 2011 i palestinesi hanno
marciato verso i confini dalla Siria , dal Libano, dalla Giordania, da
Gaza e dalla Cisgiordania. Alcuni sono stati uccisi, altri che sono
riusciti a oltrepassare il confine sono stati arrestati dai soldati
israeliani. Ma molto tempo prima, nel 1976, i palestinesi hanno
protestato contro l’esproprio da parte di Israele delle loro terre in
quello che più tardi è stato conosciuto come il Giorno della Terra.
Allora sei palestinesi furono uccisi e 42 anni dopo Israele sta ancora
facendo ricorso a una violenza omicida per impedire ai rifugiati di
ritornare, ammazzando almeno 25 palestinesi a Gaza dallo scorso venerdì.
Quegli esseri umani hanno osato sognare [di andare] al di là di tutte
le strade dei campi profughi; avevano avuto la visione di una casa che
non hanno mai avuto l’occasione di vedere.
Ero preoccupato per la nostra
incolumità quando siamo arrivati in migliaia in quella che Israele
ritiene “ zona da non percorrere”. Ho riflettuto sulle conseguenze.
Quando mi sono trovato con la mia famiglia nei pressi della piazza della
Marcia del Ritorno nella zona orientale di Khan Younis, abbiamo
respirato i gas lacrimogeni, compresi i miei figli. Ho sofferto nel
vedere l’infanzia innocente colpita da un’esperienza così traumatica. Ma
quello che molte persone non riescono a riconoscere è che sia che
stiamo a casa, sia che protestiamo all’aperto, non siamo mai veramente
sicuri a Gaza, né siamo realmente vivi. È come se tutta la nostra
esistenza e i sogni di ritornare a casa e vivere con dignità debba
essere nascosta nell’oscurità.
Tuttavia, quest’anno, dopo il
riconoscimento da parte di Trump di Gerusalemme come capitale di Israele
e la possibilità di realizzare quello che ha definito come “l’accordo
del secolo”, i palestinesi hanno sentito un’imminente minaccia al
diritto al ritorno dei rifugiati, nonostante venga riconosciuto dalla
risoluzione 194 delle Nazioni Unite. È una preoccupazione di tutti che i
nostri diritti in quanto rifugiati siano in serio pericolo e noi
dobbiamo resistere in un modo nuovo, unitario, rivoluzionario, un modo
che è al di fuori delle modalità dei negoziati e di quelle delle
fazioni, per fare pressione su Israele e reclamare i nostri diritti.
Nei 70
anni trascorsi, Israele ha continuamente cacciato e umiliato i
palestinesi. L’abbiamo visto nel ’48 e di nuovo nel ’67 e ora ancora ne
siamo testimoni con l’espansione delle colonie. Mentre
Israele butta fuori i palestinesi, porta nuovi immigrati da ogni parte
del globo e li insedia su terre rubate ai palestinesi in violazione del
diritto internazionale. Tuttora Israele continua ad essere incoraggiata
dalla mancanza di pressioni da parte della comunità internazionale e dal
sostegno dell’amministrazione Trump, cosicché le colonie continuano
inesorabilmente ad espandersi.
Israele vorrebbe che il mondo
credesse che noi palestinesi abbiamo lasciato volontariamente le nostre
case ed abbiamo scelto questa vita di umiliazione, senza i diritti umani
fondamentali, e che abbiamo imposto tutto ciò a noi stessi.
Oggi i palestinesi di Gaza stanno
provando a rompere le catene in cui Israele ha tentato così duramente di
imprigionarci. Siamo dei manifestanti inermi che affrontano,
protestando pacificamente, soldati pesantemente armati. Come risultato è
difficile per Israele calunniarci e giustificare la sua brutale
violenza e il mondo ha davanti a sé la realtà che innocenti civili
vengono uccisi solo per avere esercitato il loro diritto a protestare
pacificamente. Le scuse che Israele usa per giustificare le sue
politiche nei confronti dei palestinesi stanno lentamente perdendo la
loro efficacia, dal momento che a livello mondiale le persone realizzano
sempre più che il vero volto di Israele è quello di un brutale regime
di apartheid.
Nonostante
la violenza voluta e mirata verso manifestanti inermi da parte di
Israele, con la nostra Grande Marcia del Ritorno noi palestinesi a Gaza
stiamo affermando ad alta voce e chiaramente che noi siamo ancora qui.
Per Israele , è la nostra identità il nostro crimine, ma noi stiamo
celebrando proprio quell’ identità che Israele cerca di criminalizzare.
Persone di tutti i ceti stanno partecipando alla marcia. Artisti
contribuiscono con la tradizionale danza dabka, intellettuali
organizzano circoli di lettura, volontari si vestono da clown e giocano
con i bambini. Quello che è più sorprendente sono i giovani che vivono e
giocano, la loro risata, la più grande protesta fra tutte.
Le Nazioni Unite hanno ammonito che
Gaza può essere invivibile entro soli due anni. Resistendo al destino
che Israele ha programmato per noi, stiamo lottando pacificamente con i
nostri corpi e il nostro amore per la vita, appellandoci alla giustizia
che rimane nel mondo.
Ahmad
Abu Rtemah è uno scrittore indipendente di Gaza, attivista di un social
media e uno degli organizzatori della Grande Marcia del Ritorno.
(Traduzione di Carlo Tagliacozzo)
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