COME NASCONDERE UN MASSACRO?
di redazione
31 marzo 2018
Media
internazionali e nazionali hanno raccontato in modo vergognoso,
parziale e profondamente scorretto quanto accaduto ieri a Gaza. Ma i
fatti e le immagini parlano più di qualunque menzogna
La popolazione palestinese è stata
abituata negli anni alla disinformazione per quanto riguarda la
narrazione dominante rispetto alle proprie vicende.
Quanto accaduto ieri, nel primo giorno della Great Return March ha ampiamente superato il limite della vergogna e della decenza e non solo in Italia.
I fatti sono abbastanza espliciti ed
inequivocabili, quasi 20.000 persone si sono avvicinate alla barriera
tra la Striscia e Israele a partire da sei accampamenti lungo il
perimetro, invadendo quella buffer zone, o zona cuscinetto che
percorre tutta la frontiera, permanentemente interdetta alla
coltivazione e all’accesso. A parte un singolo isolato caso di due
militanti della Jihad islamica che erano armati (e sono stati subito
uccisi dall’esercito israeliano) tutti i manifestanti hanno utilizzato
esclusivamente modalità di protesta popolari e nonviolente,avvicinandosi
al muro di separazione disarmati, a volto scoperto, assieme a bambini e
donne.
La repressione si è trasformata in un
vero e proprio massacro, si parla ad oggi di 16 morti e più di mille
feriti. Hamas, pure ovviamente presente durante la marcia, non ha avuto
un ruolo centrale: questa è stata convocata da una larga coalizione che
include anche tutti i pezzi laici e di sinistra della società civile
palestinese. Non a caso, parti della sinistra israeliana si sono organizzate nei giorni scorsi per manifestare il proprio supporto dall’altra parte del muro. Nessun soldato israeliano è stato ferito nella giornata di ieri.
Vediamo cosa riportano i giornali. Repubblica parla
di «violenti scontri» «violentissima battaglia». Perché un massacro di
persone disarmate diventa improvvisamente una battaglia? Una battaglia
linguisticamente parlando è un confronto tra due entità armate. La Stampa titola
«Hamas sposta le masse al confine e punta al ritorno dei profughi del
1948» mentre l’articolo è ancora peggiore: «La strategia adottata da
Hamas ha messo in difficoltà Israele e costretto i suoi militari nella
difficile posizione di chi deve sparare sui civili. L’esercito se lo
aspettava, perché i preparativi andavano avanti da giorni, ma non era
facile trovare contromisure». Del resto, cosa altro si può fare davanti
a migliaia di persone disarmate che vanno verso un confine
invalicabile, se non sparare?
Il Corriere (che
oggi ha già spostato molto giù l’articolo) riporta «La “Marcia del
ritorno” finisce in un bagno di sangue: l’esercito ebraico risponde con
caccia e blindati all’attacco dei manifestanti: bombardati 3 siti di
Hamas». A quale attacco si risponde con caccia e blindati? A quello di
migliaia di persone disarmate?
Il Messaggero si
unisce alla definizione «scontri al confine» e riporta un articolo in
cui sono virgolettati solo comunicati dell’esercito israeliano e di
media israeliani, i palestinesi non meritano neanche il microfono,
strana deontologia professionale.
Anche a livello internazionale la giornata è stata riportata in modo non meno grave, come Mondoweiss sottolinea, riportando la lettura estremamente parziale e ingiusta dello stesso New York Times.
Ieri la popolazione di Gaza ha
dimostrato coraggio e capacità di mobilitazione impensabili dopo anni di
prigionia dentro la Striscia dove le condizioni di vita sono
impossibili, come ha raccontato recentemente Dinamo.
Per ricordare chi ieri è stato ucciso,
per sostenere chi ha creduto nella Great Return March e continuerà a
crederci nei prossimi giorni, pubblichiamo questa photogallery tratta
dal portale indipendente +972mag.com
Foto
qui
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