Invece
di arginare le sistematiche violazioni dei diritti contro i
palestinesi, il sistema giudiziario rafforza lo status quo
discriminatorio
È
abitualmente acclamata come l’ultima trincea israeliana contro le leggi
ultra-nazionaliste. Ma la Corte Suprema del Paese merita la sua
reputazione di difensore dei valori liberali?
Casi
recenti hanno evidenziato come la Corte, invece di contrastare le
sistematiche violazioni dei diritti subite dai palestinesi, di fatto
lubrifica la macchina dell’occupazione.
All’inizio
di questo mese la Knesset [il parlamento israeliano, ndt.] ha approvato
una legge che concede al ministero degli Interni il potere di revocare
lo status di residenti permanenti nella Gerusalemme occupata ai
palestinesi se sono “sleali” nei confronti dello Stato di Israele. In
base alla legge “lo Stato può deportare chiunque abbia perso lo status
di residente”.
La
legge è stata approvata in seguito ad una sentenza della Corte Suprema
dell’anno scorso che, apparentemente, ha rappresentato una vittoria per
quattro palestinesi a cui era stata annullata la residenza per le loro
attività politiche.
Complici dell’oppressione
Mentre
annullava quella revoca, la Corte ha nel contempo “congelato la
sentenza per 6 mesi per dare la possibilità alla Knesset di approvare
una legge che consentisse di togliere loro lo status di residenti.”
In
altre parole, lo Stato e la Corte Suprema sono di fatto complici di una
legge estremamente repressiva che rappresenta uno schiaffo agli impegni
internazionali e ai diritti umani dei palestinesi.
Oppure
prendiamo un altro esempio: quello della prassi israeliana di
trattenere i corpi dei palestinesi uccisi dalle forze israeliane mentre
compiono attacchi, veri o presunti, impedendo alle famiglie di
seppellire i propri cari.
Lo
scorso mese la Corte Suprema ha accettato una richiesta dello Stato di
tenere un’ulteriore udienza su questa prassi “rimandando la prevista
restituzione dei corpi alle loro famiglie.”
In
un primo tempo la Corte aveva sentenziato che “lo Stato non ha
l’autorità di trattenere i corpi di palestinesi come merce di scambio, e
deve trasferire i cadaveri alle famiglie dei defunti per la sepoltura,”
come riassunto dal centro per la certezza del diritto Adalah.
Eppure
qualche settimana dopo la stessa Corte ha accettato il ricorso dello
Stato di Israele per tenere un’ulteriore udienza in cui impugnare questa
sentenza, che avrà luogo in giugno – ed ha anche accolto la richiesta
dello Stato di rimandare la restituzione dei corpi finché non verrà
presa una decisione definitiva.
Adalah, insieme al Jerusalem Legal Aid and Human Rights Center [Centro di Assistenza Legale e per i Diritti Umani di Gerusalemme] e alla Commission of Detainees and Ex-Detainees Affairs
[Commissione per le Questioni dei Detenuti ed Ex Detenuti], si è
comprensibilmente infuriato, sottolineando in un comunicato: “La Corte
Suprema ha pronunciato una decisione che rende possibili le continue
violazioni delle leggi umanitarie internazionali da parte di Israele.”
“Licenza di torturare”
Gli
esempi abbondano: lo scorso dicembre i giudici della Corte Suprema
israeliana hanno respinto un ricorso per salvare una scuola elementare
palestinese nella Cisgiordania occupata minacciata di demolizione. La
scuola, ha affermato la Corte, era un tentativo illecito “di creare
fatti sul terreno.”
Quello
stesso mese fu emessa una decisione persino più preoccupante, quando la
Corte Suprema ha respinto una richiesta presentata a favore di un
prigioniero palestinese che era stato torturato durante un
interrogatorio – come, stranamente, persino lo Stato aveva riconosciuto.
Con
una sentenza che ha visto la Corte prendere “le parti dello Stato su
tutte le questioni fondamentali che le sono state sottoposte”, la Corte
Suprema ha in effetti ridefinito la tortura in modo da consentirla. “La
definizione di certi metodi di interrogatorio come ‘tortura’ dipende
dalle circostanze concrete,” ha affermato il giudice Uri Shoham,
“persino quando ci sono metodi esplicitamente riconosciuti dalle leggi
internazionali come ‘tortura’”
Il
relatore speciale dell’ONU sulla tortura, Nils Melzer, ha ribattuto:
“Questa sentenza crea un pericoloso precedente, minando gravemente il
divieto universale di tortura…La Corte Suprema ha essenzialmente fornito
loro (agli agenti dello Shin Bet [servizio di intelligence israeliano,
ndt.]) una ‘licenza di torturare’ statuita dal punto di vista
giuridico.”
Abbassare l’asticella
La
Corte Suprema israeliana ha ripetutamente apposto il proprio sigillo di
approvazione a leggi e a prassi dello Stato che violano le leggi
internazionali e le convenzioni sui diritti umani. L’agghiacciante legge
antidemocratica contro il boicottaggio del 2011? La confisca di terre
palestinesi a Gerusalemme est occupata?
In
effetti è raro che la Corte sentenzi contro lo Stato: i dati presentati
nel maggio 2017 mostrano che la Corte Suprema ha rigettato l’87% degli
oltre 9.000 ricorsi presentati contro decisioni del governo tra il 1995 e
il 2016.
Tuttavia
la mitologia abbonda. In un tipico esempio, un rapporto di AP
[Associated Press, agenzia di stampa USA, ndt.] dell’ottobre 2017 ha
descritto la Corte come “universalmente vista nel ruolo di guardiano dei
principi democratici fondativi del Paese”, sottoposta a “pesanti
pressioni da politici estremisti” contrari a “quello che vedono come la
prevaricazione e la tendenza progressista della Corte.”
È
vero che le fazioni politiche israeliane di estrema destra sono state a
lungo insoddisfatte della Corte Suprema. Recentemente il ministro della
Giustizia Ayelet Shaked ha supervisionato la nomina di due nuovi
giudici, con un’iniziativa generalmente indicata come [l’intenzione di]
dare alla Corte un aspetto “più conservatore”.
Ma
esaminare l’andamento della Corte in base alle percezioni di
sostenitori dei coloni ultranazionalisti vuol dire, a dir poco,
sistemare l’asticella un po’ troppo in basso. Oltretutto i
“progressisti” della magistratura e i loro avversari di destra hanno più
cose in comune di quanto entrambi vogliano ammettere.
Vittorie occasionali
La
scorsa settimana una commissione della Knesset ha presentato la
versione finale di una legge “per lo Stato-Nazione ebraico” che, secondo
Haaretz, ha l’intenzione di porre le basi perché la Corte Suprema “dia
la prevalenza al carattere ebraico di Israele sui suoi valori
democratici, se questi dovessero entrare in conflitto nei tribunali.”
Solo
che è una cosa che la Corte Suprema può già fare, ed ha fatto,
interpretando una clausola importantissima della Legge Fondamentale [che
in Israele fa le veci della costituzione, ndt]: la dignità e la libertà
umane vanno intese per dare “un’importanza significativa alla natura di
Israele come Stato ebraico e ai suoi obiettivi, a spese dei…diritti
fondamentali.”
Quindi
il rapporto mostra che, lungi dal rappresentare una protezione per i
palestinesi, o persino per gli ebrei israeliani sostenitori dei diritti
umani, la Corte Suprema agevola, piuttosto che rigettare, le violazioni.
Vittorie sporadiche sono esattamente questo: la Corte è una parte
centrale dello status quo discriminatorio, e lo rafforza.
– Ben White è autore di Apartheid israeliano: una guida per principianti e di Palestinesi in Israele: segregazione, discriminazione e democrazia.. Scrive articoli per Middle East Monitor e i suoi articoli sono stati pubblicati da Al Jazeera, al-Araby, Huffington Post, the Electronic Intifada, [nella rubrica] “Il commento è libero” del Guardian [giornale progressista inglese, ndt.] ed altri.
Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Eye.
(traduzione di Amedeo Rossi)
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