Amira Hass
Lo scorso mese l’aggressione, come centinaia di altre prima di questa, è stata chiaramente finalizzata ad un obiettivo.
La
storia di “Haaretz” su ebrei mascherati che hanno aggredito un pastore
palestinese e ucciso le sue pecore – nel villaggio di Einabus, a sud di
Nablus – ha ottenuto 96 condivisioni su Facebook. Cosa esprimono queste
condivisioni, stupore o sostegno all’attacco?
In
ogni modo il ricordo del crimine commesso circa due settimane fa, il 21
febbraio, sicuramente è stato completamente cancellato dagli sguaiati
titoli di giornale sulle inchieste per corruzione contro il primo
ministro Benjamin Netanyahu ed i suoi amici, e messi da parte nel
deposito nazionale dell’amnesia ebraica.
Una
settimana dopo l’attacco il ventisettenne Zafar Ryan è ancora sotto
shock. Suo padre, Mahmoud e i suoi fratelli dicono che non è più lo
stesso. Anche lui annuisce quando gli viene chiesto se è ancora
sconvolto per quanto successo.
Ma
per mettere le cose in chiaro: l’aggressione non gli ha impedito di
tornare quasi subito a pascolare il gregge della sua famiglia con
qualcuno dei suoi fratelli. Di solito i fratelli vanno al pascolo
insieme. Il recinto delle pecore è a poche decine di metri sopra la loro
casa, sulla montagna.
Ma
quel giorno Zafar è uscito da solo con le pecore. Era mezzogiorno. Le
persone dell’avamposto [ebraico] non autorizzato ed illegale in cima
alla montagna ne hanno approfittato, afferma suo padre. Sono scese di
corsa verso di lui. Cinque di loro, con il volto mascherato, lo hanno
colpito con dei randelli sulla testa e sulle mani.
Aveva
un bastone da pastore; ha cercato di difendersi e di restituire i
colpi, ma loro erano troppi. Altri sconosciuti hanno attaccato il
gregge, hanno letteralmente sgozzato qualche pecora, ne hanno colpite e
disperse altre.
Un
cugino che stava facendo dei lavori di edilizia lì vicino ha visto
quello che stava succedendo e ha chiamato immediatamente aiuto. Giovani
del villaggio sono corsi per risalire la montagna, da cui stavano
scendendo soldati e poliziotti israeliani. Zafar era preoccupato delle
pecore che erano scappate. Non era ancora chiaro quante fossero morte,
quante ferite e quante scomparse e dove fossero andate.
Zafar
è stato portato all’ospedale a Nablus e vi è rimasto fino a sera. La
tumefazione sulla sua testa si è ridotta. Aveva lividi sulle mani. La
maggior parte delle pecore del gregge era incinta, comprese alcune di
quelle che gli aggressor hanno ucciso e alcune di quelle scomparse. Una
delle pecore ferite ha partorito un agnellino morto. Non sappiamo se la
polizia israeliana ha arrestato i sospetti.
L’attacco
non è stato perpetrato da teste calde, né si è trattato di uno sbaglio
momentaneo di giovani ebrei altrimenti virtuosi, assolutamente anonimi,
che sono stati improvvisamente travolti dal ricordo dei pogrom commessi
dai cristiani contro gli ebrei. Questa aggressione contro palestinesi e i
loro mezzi di sussistenza, come centinaia di altri che l’hanno
preceduta, è stata molto ragionata e calcolata, diretta ad ottenere un
obiettivo.
Ogni
attacco è caratterizzato da una chiara divisione del lavoro tra tutti
quelli che entrano in scena: gli aggressori, l’esercito, il cui compito è
di proteggere ogni ebreo, chiunque sia, coloni o visitatori della
colonia, compresi quelli che commettono pogrom, ispettori
dell’Amministrazione Civile [il governo militare israeliano nei
territori palestinesi occupati, ndt.] in Cisgiordania, in cui lavoro
consiste nell’emettere ordini di blocco dei lavori per strutture
ebraiche non autorizzate in Cisgiordania, ma il cui dovere è, nella
maggior parte dei casi, di non mettere in pratica questi ordini.
Poi
c’è la “Suprema Commissione per la Pianificazione” dell’Amministrazione
Civile, la cui responsabilità è di mettere attentamente in atto la
politica in base alla quale ai palestinesi è proibito costruire, fare
un’escursione, piantare e arare sulla loro terra; allora la commissione
si impossessa della terra e ne fa omaggio agli ebrei, che costruiranno e
prolificheranno su di essa. In seguito ci sono i coloni che non
attaccano nessuno ma chiedono una maggiore protezione, anche per gli
avamposti. E c’è la polizia, il cui dovere è di ignorare gli attacchi
precedenti, e gli ebrei israeliani, la cui responsabilità è di non
mettere in relazione un attacco con l’altro o di considerare e quindi
difendere la sacralità delle colonie e dei blocchi di colonie. (Secondo
la legge internazionale tutti sono illegali).
L’avamposto
non autorizzato ed illegale da cui sono scesi gli aggressori è uno dei
nove che sono nati nel corso degli anni dalla colonia illegale e
autorizzata di Yitzhar. Ogni avamposto è un ulteriore mattone di un
altro blocco di colonie. Porta gli ebrei più vicino ai villaggi, agli
orti e ai pascoli dei palestinesi.
Un
importante livello nella strategia difensiva dell’esercito è l’ordine
del comando generale che impedisce ai palestinesi di entrare nelle loro
terre, per evitare frizioni con quelli che commettono i pogrom. È così
che [si forma] il cerchio territoriale che i nostri ebrei, a testa alta,
possono ottenere e quindi seminare o arare o costruire o espandersi
ancora un po’ di più. E ancora un po’. E un po’ di più.
Nella
fase successiva arriveranno anche vicino alle case dei palestinesi. E
allora l’esercito e la polizia di frontiera sono obbligati ad arrivare e
ad attaccare con granate lacrimogene e assordanti, e persino con
proiettili ricoperti di gomma, i palestinesi che stanno difendendo se
stessi, le proprie famiglie e i propri averi.
Tutto
è calcolato. La divisione del lavoro ha già dato risultati in tutta la
Cisgiordania. Un centimetro qui, un quarto di dunam [unità di misura dei
terreni in Palestina, ndt.] o una zona militare di tiro là – ed i
palestinesi sono spinti sempre più nelle loro zone urbane.
A
proposito, le origini della famiglia Ryan sono nel villaggio
palestinese distrutto di Majdal Yaba o Majdal al-Sadiq (a sud
dell’attuale Rosh Ha’ayin). Possedeva circa 26.000 dunam (2.600 ettari).
Nel XIX° secolo Sheikh Sadiq Ryan costruì un palazzo sulle rovine di
una fortezza crociata del luogo. Il palazzo abbandonato tuttora sovrasta
la strada.
Il
nonno di Zafar aveva un fratello che viveva a Einabus all’inizio della
guerra del 1948 [contro gli arabi e da cui nacque lo Stato di Israele,
ndt.]. Alcuni dei suoi fratelli si unirono a lui invece di andare in un
campo di rifugiati. Ma il nonno morì di crepacuore e di pena per la sua
casa.
Il
padre, Mahmoud, aprì una tipografia. I suoi figli si formarono come
ingegneri meccanici e grafici. Ma la tipografia non è sufficiente per
mantenere la famiglia. Circa un anno fa hanno comprato le pecore.
(traduzione di Amedeo Rossi)
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