Alberto Negri : Putin, Erdogan, l'Italia e il mito della solidarietà atlantica La Libyan Connection di Sarkozy: i soldi di Gheddafi e l’Italia nel mirino

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Perché l’Italia dovrebbe fare la guerra fredda alla Russia? Uno dei ritornelli più consunti della politica internazionale che si leggono in queste ore sulla stampa italiana, dopo la scontata rielezione Putin alla presidenza russa e il caso Skripal, si chiama “solidarietà atlantica”. Ma per l’Italia in che cosa consiste? I termini militari questo: il nostro è il Paese della Nato con più ordigni nucleari americani in Europa anche se non li gestisce direttamente, oltre 70, di cui 20 nella base di Ghedi e 50 ad Aviano. Tra le testate ci sono anche bombe termonucleari della potenza di 50 chilotoni la cui presenza costituisce in caso di conflitto nucleare il motivo di un ipotetico attacco preventivo.
Se poi si passa alla politica, la cosiddetta “solidarietà atlantica” per l’Italia ha aspetti paradossali. Le atomiche degli Usa in Italia, come le basi o le “facilities” delle forze armate americane, sono quasi sempre per i politici italiani un argomento tabù, anche per quelli che hanno appena vinto le elezioni: non se ne parla mai perché il gradimento di Washington a un leader o a un partito resta un aspetto fondamentale. L’ombra di Sigonella, con lo scontro nel 1985 tra Craxi e gli Stati Uniti di Reagan sulla la sorte dei sequestratori della nave Achille Lauro, permane come una sorta di monito: prima o poi i conti con Washington si pagano.
Nessuno vuole disturbare il manovratore della Nato, (cui per altro Donald Trump vorrebbe che gli europei contribuissero di più). Anche quando il manovratore non fa esattamente i nostri interessi: lo ha detto anche qualche tempo fa l'ex capo di stato maggiore Vincenzo Camporini quando Francia, Usa e Gran Bretagna decisero nel 2011 di bombardare la Libia Gheddafi senza neppure farci una telefonata. Ricordiamo che all’epoca la Russia si astenne sula risoluzione Onu che diede il via ai bombardamenti: "Se non avessimo concesso le basi italiane per i loro aerei le operazioni di bombardamento sarebbero state più lunghe e difficoltose". Quindi, è il ragionamento del generale, opporsi era tecnicamente possibile, invece ci siamo anche accodati ai raid con una decisione presa essenzialmente dall'ex capo di stato Giorgio Napolitano. 
Per quanto riguarda la Libia, l’Italia la “solidarietà atlantica” ed europea l’ha vista davvero poco: decine di miliardi persi, centinaia di migliaia di profughi mentre l’argomento immigrazione è stato decisivo nel determinare il nuovo quadro politico. Insomma Salvini e Di Maio devono in parte i loro voti anche al fallimento di questa “solidarietà atlantica” (ed europea), che l’Italia non ha mai visto, al contrario.
E’ interessante il paragone con la Turchia di Erdogan, Paese membro della Nato dal 1952, che ospita un centinaio di testate nucleari e i missili americani puntate contro Mosca e Teheran. Erdogan ha ottenuto 6 miliardi dall’Unione europea per tenersi 2,5 milioni di profughi e la solidarietà atlantica per lui è carta straccia. In questi giorni è entrato con le truppe nella città curda di Afrin facendo 1.500 morti e 200mila profughi, bastonando proprio i curdi siriani alleati degli Stati Uniti contro il Califfato quasi sotto gli occhi delle truppe Usa schierate a Manbij. 
Non solo. Il 4 di aprile incontrerà a Istanbul proprio Putin e il presidente iraniano Hassan Rohani, i due avversari della “solidarietà atlantica”, per mettersi d’accordo sulla spartizione in zone di influenza della Siria di Bashar Al Assad. Ora non si capisce perché l’Italia dovrebbe essere una nemica della Russia di Putin, visto che non riesce neppure a farsi rispettare da Erdogan, il quale, dopo essere stato in visita a Roma, ha pure bloccato con le navi militari la piattaforma Eni della Saipem 12000 nelle acque di Cipro. In altri tempi un atto di guerra. Neppure in questo caso si è vista la solidarietà atlantica ed europea. Eppure la Turchia sarebbe un alleato.
I nuovi leader italiani dovrebbero essere franchi con gli Stati Uniti: la guerra fredda alla Russia di Putin la facciano loro con la Gran Bretagna, che non vuole pagare i conti della Brexit, e la Francia. Ma c’è un dettaglio: nel 2016 l‘export di armi italiane ha raggiunto un record di 15 miliardi di euro con un aumento dell’80% rispetto all’anno precedente e nel 2017 probabilmente ci sarà un nuovo risultato eclatante grazie all’export nelle monarchie del Golfo. All’Italia, Paese che ha perso la guerra, la “solidarietà atlantica” serve soprattutto a questo. Basta non ammantarla delle fesserie ideologiche che si leggono sulla stampa italiana.

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 Alberto Negri, editorialista e inviato di guerra
Coincidenze che forse non sono coincidenze. Due giorni fa il figlio di Gheddafi Seif Islam  _ colpito da mandato di cattura internazionale _ annunciava la sua intenzione di volersi candidare alla presidenziali in Libia previste quest’anno e ora l’ex presidente francese Nicolas Sarkozy viene messo in stato di fermo a Nanterre per i finanziamenti alla sua campagna elettorale del 2007 con il sospetto che sia stata foraggiata da fondi libici. 
Il premier francese Edouard Philippe raccomanda “prudenza e rispetto” nel trattare questa vicenda non tanto per solidarietà con l’ex presidente ma perché stanno per venire a galla i veri motivi che spinsero Sarkozy ad attaccare Gheddafi nel 2011 trascinando Gran Bretagna e Stati Uniti nella disgregazione del maggiore alleato dell’Italia nel Mediterraneo. La peggiore sconfitta italiana dal secondo dopoguerra che è costata miliardi, centinaia di migliaia di profughi e rivoluzionato con l’argomento immigrazione e sicurezza, dominante in campagna elettorale, il quadro politico interno.
In realtà sono anni che si parla dei finanziamenti libici del consorte della celeberrima Carla Bruni. La vicenda ruota intorno a due personaggi nel mirino da tempo degli inquirenti francesi.  Uno è l’intermediario franco-algerino Alexandre Djouhri, attualmente sotto custodia inglese, che è stato in affari con il Lybian Africa Investment Portfolio (Lap), un fondo sovrano libico da cui sarebbero stati stornati fondi a favore di Sarkozy. Il secondo protagonista è un uomo  depositario di molti segreti libici: Bechir Saleh, che oltre a dirigere il fondo Lap, era anche capo di gabinetto di Gheddafi. Con la guerra lanciata dai francesi nel 2011 Bechir Saleh viene esfiltrato dalla Libia, passa dall’ambasciata francese a Tunisi e quindi  spedito in Sudafrica. Saleh, interrogato a Johannesburg dagli inquirenti francesi, sarebbe l’uomo chiave nella vicenda dei soldi libici a Sarkozy.
Bechir Saleh si difende affermando di essere soltanto un  patriota, in realtà si muove con molta prudenza e non abbandona l’esilio sudafricano forse perché non vuole fare la fine del suo amico Choukry Ghanim, l’ex ministro del petrolio libico trovato cadavere nel 2012 sul fondo del Danubio a Vienna. Ma veniamo al contesto della vicenda, la guerra in Libia, la vera ragione per cui il caso Sarkozy può dare molto fastidio alla Francia di Emmanuel Macron.
La Francia di Sarkozy, come del resto la Gran Bretagna di Blair, avevano puntato a rafforzare i legami economici e strategici con Gheddafi. Seif Islam aveva un ruolo di primo piano: veniva ricevuto a Buckingam Palace, a Parigi, a Washington e finanziava persino la London School of Economics, oltre ovviamente a gestire i fondi libici sulle piazze internazionali.  La Francia, pur di ingraziarsi i leader libico, aveva persino offerto a Tripoli la vendita di centrali nucleari, argomento molto sensibile per Gheddafi che aveva rinunciato alle armi di distruzione di massa nel 2004 per non fare la fine di Saddam Hussein in Iraq. 
L’obiettivo principale dei francesi era soppiantare l’Italia e l’Eni che aveva circa due terzi delle concessioni sul petrolio libico. I mesi che precedono la rivolta anti-Gheddafi di Bengasi nel febbraio 2011 _ dove andrà a fare la sua sfilata l’intellettuale dell’establishment Bernard Henry Levy _ sono molto importanti per capire le manovre della Francia.  Sarkozy vede sfumare l’obiettivo di portare Gheddafi dalla sua parte quando il 30 agosto 2010 Gheddafi viene ricevuto a Roma in pompa magna: in pratica il suggello a contratti per 50 miliardi di dollari, il blocco dell’immigrazione clandestina e un ruolo di primo piano nel Paese per l’Italia.
Sarkozy, già allora preoccupato per voci sui finanziamenti libici ala sua campagna elettorale, decide di giocare fino in fondo la partita libica. In autunno va a Parigi il ministro degli Esteri libico, Mussa Koussa, che poi defezionerà dagli inglesi, poi arriva nella capitale francese Nouri Mesmari, capo del protocollo del colonnello Gheddafi, che il 16 novembre all’`Hotel Concorde Lafayette di Parigi incontra alcuni stretti collaboratori del presidente francese Sarkozy. Poco dopo una delegazione commerciale francese parte per Bengasi, rafforzata da uomini dei servizi. I1 23 dicembre arrivano altri libici a Parigi, sono Farj Charrant, Fathi Boukhris e Ounes Mansouri che il 17 febbraio saranno tra i leader della rivolta di Bengasi contro i miliziani del colonnello.
Una mail inviata il 2 aprile 2001 dal funzionario americano Sidney Blumenthal all’allora segretario di stato Hillary Clinton, dall’eloquente titolo “France’s client & Qaddafi’s gold”, racconta i retroscena dell’intervento franco-britannico. Il governo francese, scrive Blumenthal, ha organizzato le fazioni anti-Gheddafi alimentando inizialmente i capi golpisti con armi, denaro, addestratori delle milizie (anche quelle sospette di legami con Al-Qaeda), intelligence e forze speciali al suolo. Le motivazioni dell’azione di Sarkozy sono soprattutto economiche e geopolitiche e il funzionario americano le riassume in 5 punti:
1 Il desiderio di Sarkozy di ottenere una quota maggiore di petrolio della Libia a danno dell’Italia
2.Aumentare l’influenza della Francia in Nord Africa
3.Migliorare la posizione politica interna di Sarkozy
4.Dare ai militari un’opportunità per riasserire la posizione di potenza mondiale della Francia
5.Rispondere alla preoccupazione dei suoi consiglieri circa i piani di Gheddafi per soppiantare la Francia come potenza
Le riserve di Gheddafi, stimate in “143 tonnellate d’oro e una quantità simile di argento”, ponevano una seria minaccia al Franco francese CFA, la principale valuta africana adotta da 14 Paesi che versano l’80% delle loro riserve al Tesoro di Parigi. L’oro accumulato dalla Libia poteva essere usato per stabilire una valuta pan-africana basata sul dinaro libico. A queste motivazione geopolitiche ed economiche se ne aggiunge una personale. Eliminare Gheddafi per Sarkozy significava far fuori il leader arabo che poteva incastrarlo per i finanziamenti elettorali. 
Ecco perché oggi l’inchiesta su Sarkozy non riguarda soltanto un leader in pensione ma le motivazioni di un conflitto che ha frantumato un intero Paese e messo l’Italia alle corde, costretta a bombardare Gheddafi altrimenti la Nato avrebbe colpito i terminali dell’Eni. Un materia che scotta in mano ai giudici e va ben al di là del caso personale dell’ex presidente.


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