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L’incubo oltre Gaza: storia di una fuga dalla morte Soprusi e violenze: il racconto del viaggio dei giovani che riescono a scappare da Gaza



A Gaza non c’è più acqua né elettricità. Ieri, i comuni palestinesi nella Striscia hanno annunciato il dimezzamento dei loro servizi a causa della crisi energetica e finanziaria nell’enclave costiera assediata. In una dichiarazione di qualche giorno fa, il capo della municipalità di Gaza, Nizar Hijazi, ha affermato che «la crescente crisi umanitaria e ambientale ci ha spinto a ridurre i nostri servizi di base del 50%». Secondo il PNN (‘Palestine News Network’), i comuni di tutta la Striscia di Gaza non sono in grado di offrire la gamma minima di servizi per i residenti. Gli impianti di depurazione non funzionano e pare che abbiano anche chiuso intere aree della spiaggia a causa della grave contaminazione provocata dal versamento di acque non trattate direttamente in mare.
Poi, la riconciliazione tra Hamas e Autorità Palestinese è ad un punto fermo ed il terreno non può che essere fertile per i gruppi radicali. Lo ha detto giovedì a Gerusalemme Nickolay Mladenov, coordinatore speciale delle Nazioni Unite per il processo di pace in Medio Oriente. Il rischio è che, in questo clima di instabilità e disperazione, a controllare la Striscia, sia una forza, appunto, esterna, come la Jihad islamica. «Tutti i missili lanciati contro Israele dal Dicembre dello scorso anno, provenivano dalla Jihad islamica», precisa Mladevov. Tra i due litiganti, insomma, il terzo gode.
La disperazione è tanta e i giovani continuano a cercare costantemente di fuggire da un territorio martoriato. Ma scappare da Gaza è un’impresa sempre più difficile; pochi ce la fanno e chi ci riesce, racconta di un viaggio terribile. “Un rifugiato è nato senza una patria”, ci dice M.A.I., 32 anni, psicologo e attivista umanitario. “I miei antenati furono sradicati dal villaggio di Beit Daras, nel 1948”. Iscrittosi all’università, diventa subito attivista nella città di Gaza. Un’attività che gli costa cara.
L’attivismo giovanile prende sempre più piede a Gaza dal 2004 e coinvolge diverse organizzazioni della società civile. Campagne di volontariato, conferenze, seminari, incontri giovanili: tutto al servizio della comunità. “Eravamo impegnati attivamente nel lavoro umanitario, nello scambio intellettuale, in varie attività come il supporto psicologico o lo sviluppo del talento, la consapevolezza delle libertà, dei diritti e doveri”.
Poi, però, arriva la scissione nel 2007.
Prima del 2007, non c’erano problemi, poi è cambiato tutto”. In quel momento, Hamas e i suoi apparati di sicurezza prendono il controllo delle istituzioni della società civile e di molte organizzazioni, chiudendone alcune; è così che inizia quella che è una vera e propria persecuzione dei giovani e che dura ancora oggi. “Quelle istituzioni stanno lavorando oggi per diffondere corruzione e vizi nella società e si basano su finanziamenti europei”, denuncia.
M. è stato una guida educativa a sostegno di tutti quei bambini che a Gaza hanno sofferto e soffrono quotidianamente dei traumi fortissimi. “Mi sono occupato di trattamenti per problemi comportamentali e psicologici, ho fatto sessioni di consapevolezza, ho educato la comunità”. “Ho lavorato in molti progetti in collaborazione con UNRWA ed UNICEF, con la Fondazione per il trattamento della mente e del corpo, con il Forum della gioventù di Sharek, il Centro per la formazione comunitaria e la gestione delle crisi, il Centro palestinese per la democrazia e la risoluzione dei conflitti, l’Organizzazione internazionale di soccorso”.
Poi, nel 2008, la sua casa viene bombardata dalle forze di occupazione israeliane e tutt’ora è circondata da siti militari appartenenti alle organizzazioni militari presenti nell’area.
Nel 2015, poi, il desiderio di raggiungere l’Italia per seguire un master all’Università di Palermo e studiare il maestro della psicologia clinica. Alcuni amici e attivisti dall’Italia hanno provato ad aiutarlo a fuggire da Gaza, dalla persecuzione, dal razzismo e da quella mancanza di vita e di futuro. Lui presenta la domanda di ammissione per ben tre volte al consolato italiano attraverso il direttore del Centro per lo scambio culturale italiano a Gaza. Ma la sua richiesta viene respinta per tre volte e senza motivo. Non può neanche recarsi a Gerusalemme al consolato perché l’occupazione sionista limita la libertà di movimento impedendo i flussi tra la città e Gaza.
Sono riuscito a fuggire da Gaza nel 2016 e sono arrivato in Turchia”. Da lì M. prova ad attraversare la Grecia oltre il confine ma viene arrestato e portato in prigione circa 18 volte dalle forze armate greche. Lì non è solo. Subiscono un’ispezione molto severa: vengono spogliati completamente e gli viene tolto tutto. “Ho subito percosse, mi hanno confiscato telefoni, borse, vestiti e cibo poi mi hanno rimpatriato forzatamente in Turchia insieme ad altre persone. Le stanze erano disgustose e piena di sporcizia. Poi ci hanno trasferito in un camion dell’esercito che ci ha riconsegnato alla sponda turca attraverso il fiume”.
In Turchia ancora la prigione e, poi, al rilascio tra imboscate dei contrabbandieri e delle mafie turche, riesce a fuggire nella città di Kraltsh. L’incubo di M., però, ha la forma di un viaggio senza fine e così, arriva in Grecia. “Ho dormito all’aperto, d’inverno, sotto la pioggia e il gelo; lì siamo stati arrestati dalla polizia greca e imprigionati. Abbiamo vissuto in pessime condizioni, nella sporcizia, senza assistenza sanitaria e cibo decente. Siamo stati vittime di razzismo, pestaggi, violenza sessuale; molti non ce l’hanno fatta e si sono tolti la vita. Sono stato ferito, avevo le allucinazioni, sono svenuto diverse volte”.
Ho denunciato i fatti all’ufficio delle Nazioni Unite, ma non ho ricevuto alcun aiuto, hanno solo registrato ciò che ho detto. Mi hanno detto ‘devi proteggerti da solo’. Dopo tutto questo, circa sei mesi fa, M. riesce ad arrivare in Svezia dove presenta domanda di asilo. “Molte delle persone che sono state prigionate con me sono riuscite a raggiungere il Belgio dove hanno richiesto e ottenuto asilo. Purtroppo non godo di buona salute, i medici credono che sia a causa di un’infezione contratta. Da quando sono qui, mi hanno sottoposto ad esami medici particolari per scoprire il motivo di questi sintomi”.
I medici svedesi stanno studiando i sintomi di M. e lo stanno sottoponendo a diversi test per trovare la causa della sua malattia di cui, per ora, non si conosce molto. “La mia malattia è sconosciuta così come lo è ancora il mio destino”.
In questi viaggi si scappa per la conquista di una vita migliore, per trovare quello che la stessa vita ti toglie senza se e senza ma. “Ce l’ho fatta a scappare ma ne ho passate tante. Detenzione, violenze e molto altro; hanno calpestato i miei diritti. Ed, insieme ai miei, quelli di migliaia di ragazzi, di attivisti come me, privati delle proprie libertà, costretti a vivere in un vortice di violenza”. M. è riuscito a scappare da Gaza, da quel clima di razzismo, dalla persecuzione giovanile e lotta ogni giorno per far conoscere al mondo la verità su quei territori, per diffondere il suo grido che diventa quello accorato di un’intera popolazione.
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