La storia di Aref, liutaio in Palestina
La storia di Aref, liutaio in Palestina
Ereditata
la falegnameria di famiglia, Aref Sayed ha saputo metterla a servizio
della sua passione per la musica: nel 2015 ha aperto un laboratorio di
liutaio alle porte di Betlemme.
Suonare
uno strumento musicale è creare bellezza con le dita, costruirne uno
anche. Aref Sayed, giovane palestinese di Gerusalemme, è da qualche anno
uno dei pochissimi liutai attivi in Palestina. Una passione che ne ha messe insieme altre due: quella per il violino e quella per la lavorazione del legno.
Lo
incontriamo nel suo laboratorio, in una delle vie strette della città
vecchia di Beit Sahour, villaggio alle porte di Betlemme, diventato
famoso negli anni della Prima intifada (1987-1993) per la sua
disobbedienza civile all'occupazione israeliana (un'esperienza che trovò
echi all'Assemblea generale dell'Onu). Qui, dietro una porta in ferro
battuto, al piano terra di una vecchia casa, pietre bianche e archi sul
soffitto, ogni giorno Aref crea: violini, violoncelli e gli strumenti
della tradizione araba, l'oud, il buzuq e il kanun. Tutti strumenti a corde che, toccate, risvegliano suoni antichi, espressione dell'arte araba.
«Ho
aperto il laboratorio nel 2015. È stata la risposta ad una necessità, è
come se fosse riemerso un vecchio bisogno, dimenticato». Perché di
liutai quaggiù, oltre ad Aref, ne sopravvivono solo altri tre: a
Ramallah, Nablus e Nazaret.
Nato a Gerusalemme da
una famiglia di falegnami, Aref è cresciuto circondato da legno e
macchinari per lavorarlo. Un'abilità a cui si è affiancata quella per la
musica: Aref si è laureato in violino al Conservatorio Edward Said di
Beit Sahour nel 2013. Non prima, però, di un lungo viaggio tra Europa e
Turchia: un percorso partito da Cremona, alla scuola di liuteria,
proseguito in Germania e poi ad Istanbul. Fino al ritorno in Palestina e
alla decisione di ricreare una scuola artigiana perduta: «La passione
per la realizzazione degli strumenti tradizionali arabi è nata da una
necessità – ci spiega –. Avevo problemi a trovare dei violini adatti, di
qualità. I musicisti palestinesi li acquistano in Egitto e Siria,
perché da noi quest'arte è scomparsa. E allora ho deciso di costruirli
da solo».
«Gli strumenti musicali sono parte
della nostra tradizione culturale, radicati nel tempo insieme ai suoni
particolarissimi che producono. L'oud, il kanun, il buzuq
hanno una storia antichissima e per mantenerla viva, presente, devono
essere di qualità: solo così il musicista riesce a riprodurre il suono
originale, atavico, dello strumento e allo stesso tempo ad adattare
quella sonorità alla contemporaneità. La musica segue un suo percorso,
si modernizza senza però perdere la sua origine».
Per
questo è fondamentale un artigianato nuovo, attuale: è come, ci dice
Aref, guidare una macchina d'epoca, è bella ma non riuscirà a garantire performance
“moderne”. Lo stesso vale per gli strumenti musicali: vanno adattati
all'oggi per raccontare una storia antica. Come quella narrata dalle
note dell'oud, cinquemila anni di vita e ancora oggi tra le sonorità
preferite dai musicisti palestinesi.
«Molti
possiedono già strumenti che devono solo essere rimessi in sesto. Per
quelli nuovi, lavoro su ordinazione perché per ogni pezzo servono
due-tre mesi di lavoro. Il più richiesto è l'oud, il liuto
arabo. E non vendo solo in Palestina: gli ordini arrivano anche dal
Canada, dagli Stati Uniti, dall'Europa. Uso diversi tipi di legno -
noce, acero, palissandro - che qui non si trovano e devo importarli. Lì
nascono i problemi: i beni importati passano obbligatoriamente dalla
dogana israeliana che allunga a dismisura i tempi e i costi. I pacchi
restano bloccati per settimane, a volte per mesi, i costi lievitano e il
lavoro rallenta». Un’esperienza condivisa da ogni organizzazione,
società, professionista palestinese.
Aref, però,
non si fa scoraggiare: «Ora sto lavorando ad un liuto iracheno – ci
dice, mostrandoci lo strumento sopra il bancone da lavoro, pronto per la
laccatura – Di liuti ce ne sono diversi, iracheni, siriani, egiziani.
Da qualche tempo sto provando a immaginarne uno palestinese, il miglior
strumento per rendere quello che è il gusto locale e allo stesso tempo
che rispecchi il mio stile. Insomma, un liuto personalizzato che dia
corpo alla mia idea di musica».
Un'idea condivisa
con sempre più frequenza dai giovani palestinesi, negli ultimi anni
protagonisti di un vero e proprio rinascimento culturale. In ogni città
nascono centri culturali, scuole di musica, piccoli teatri, circoli di
lettori. E la musica fa da sottofondo, quella più tradizionale –
specchio di un'identità rivendicata – e quella contemporanea, espressa
dalle tante giovani band che narrano la loro storia e quella
della Palestina in rap, rock, hip hop. O, come Aref, mantenendo viva una
storia millenaria e facendola risuonare tra le dita dei più giovani,
aspiranti musicisti.
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