Jonathan Cook La Shin Bet di Israele affronta la primissima indagine sulla tortura
Di Jonathan Cook
2 febbraio 2018
Per la prima volta nella storia, un interrogante dell’Agenzia di
polizia segreta di Israele, la Shin Bet, deve affrontare un’indagine
penale per accuse di tortura.
Sarà la prima indagine della Shin Bet da quando la corte suprema di
Israele quasi 20 anni fa, ha emesso una sentenza che crea un
precedente, che proibisce, tranne che in circostanze straordinarie,
l’uso di ciò che viene definito “metodi speciali” di interrogatorio.
Prima dei questa sentenza, la violenza fisiche sui Palestinesi era
stata di routine e aveva avuto come conseguenza parecchie morti avvenute
durante la detenzione.
Secondo i gruppi per i diritti umani, tuttavia, il divieto della
corte suprema ha avuto un impatto limitato. La Shin Bet, ufficialmente
nota come Agenzia di Sicurezza di Israele, è stata semplicemente più
attenta a nascondere il uso della tortura, dicono i suddetti gruppi.
Più di 1.000 reclami da parte dei Palestinesi, sono stati sottoposti a
un organismo di controllo governativo negli scorsi 18 anni, ma questa è
la prima volta che uno di questi ha provocato un indagine penale.
Molti Palestinesi sono in prigione in base a confessioni che o loro o
altri Palestinesi rilasciano durante gli interrogatori della Shin Bet.
Le corti militari israeliane non indagano quasi mai circa il modo in cui
sono state ottenute tali confessioni o se sono affidabili, dicono gli
avvocati, e contribuiscono quindi ad avere una percentuale del 99,7% di
condanne.
Il mese scorso, avendo liberato un uomo Palestinese che era stato
imprigionato in base a una confessione falsa, una corte israeliana ha
accusato la Shin Bet di usare tecniche che “tendevano a indurre persone
innocenti ad ammettere azioni che non avevano commesso”.
‘L’eccezione conferma la regola’
Dei gruppi di destra, però, hanno riferito ad Al Jazeera che
l’attuale indagine dell’agente della Shin Bet è improbabile che metta
fine all’impunità di vecchia data degli interroganti, o un cambiamento
nelle sue pratiche.
Hanno, invece, osservato, che una decisione aggiornata del mese scorso sulla tortura,
presa dalla Corte Suprema di Israele, che rivede la sentenza del 1999
che crea un precedente, aveva fatto cambiare idea a favore della Shin
Bet.
Hassan Jabareen, direttore di Adalah, un gruppo di diritti legali che
rappresenta la grande minoranza palestinese di Israele, ha detto:
“Questo caso è l’eccezione che conferma la regola – un’indagine dopo che
molte centinaia di proteste sono state ignorate.
“Sarà promossa per indicare – erroneamente – che il sistema ha dei limiti, che rispetta la norma giuridica.”
Questa opinione era condivisa da Rachel Stroumsa, capo del Comitato
Pubblico contro la tortura in Israele, che ha sottomesso molti dei 1.100
proteste per la tortura, schedate contro la Shin Bet.
Ha detto ad Al Jazeera che per Israele era “altamente insolito” fare
delle giustificazioni legali per i procedimenti usati negli
interrogatori che chiaramente violavano la Convenzione delle Nazioni
Unite contro la tortura che Israele aveva ratificato nel 1991.
La convenzione proibisce a livello internazionale di infliggere “seri
dolori o sofferenze, sia fisici che mentali” a coloro che sono
detenuti, con lo scopo di ottenere informazioni.
La sentenza del 1999 emessa dalla corte suprema di Israele vietava la
tortura tranne che in casi estremamente rari di “necessità”, o di
quelli che definiva “bombe a orologeria”, cioè dei sospetti dai quali
era essenziale ottenere rapidamente delle informazioni.
La Stroumsa, però, ha detto che il grande numero di reclami da parte
dei Palestinesi, presentati al Mivtan, un reparto di controllo presso il
ministero della giustizia, indicavano che la Shin Bet non ha mai smesso
di usare la tortura.
Il fallimento continuo del Mivtan
Il ministero della giustizia di Israele si è rifiutato di divulgare
particolari dell’indagine di reato, a parte dire che si riferisce a “un
interrogatorio sul campo” nel 2015. Gli interrogatori sul campo vengono
di solito condotti poco dopo che i Palestinesi vengono presi dalle forze
di sicurezza.
Parlando del caso durante il weekend, Emi Palmor, direttore generale
del ministero della giustizia, ha detto che questo era il primo caso
che, presumibilmente, si trasformerà un rinvio a giudizio.
La Stroumsa ha detto che l’indagine non era stata fatta come replica a
una rimostranza che il suo comitato aveva ordinato. I media israeliani
hanno congetturato che il caso forse era andato avanti soltanto perché
era appoggiato dalla testimonianza di un altro agente dell’intelligence
israeliana.
I gruppi per i diritti umanai sono stati duramente critici nei
confronti del Mivtan per il suo costante fallimento nel indagare sulle
rimostranze palestinesi circa la tortura.
Per la maggior parte della sua storia, il reparto Mivtan ha fatto parte della Shin Bet e ha avuto soltanto un investigatore.
Però, in seguito a critiche del 2013 espresse in un’inchiesta dello
stato, la Commissione Turkel, la Mivtan è stata trasferita al ministero
della giustizia. L’anno scorso ha reclutato un secondo investigatore,
che, a quanto si dice, parla arabo.
I prigionieri ‘si sentono sepolti’
Prima della sentenza del 1999, la Shin Bet veniva regolarmente
accusata di scuotere violentemente i prigionieri e di picchiarli, oltre a
sbattere la loro testa contro una parete.
Secondo delle testimonianze, la Shin Bet usa la violenza fisica,
anche se con minore regolarità, e cioè: soffocamento, costringere le
vittime a stare in posizioni di stress che causano un dolore intenso, e
ammanettandoli per impedire che il sangue fluisca.
La Shin Bet però, ha riferito di dare ora la priorità alla tortura
psicologica che non lascia segni rivelatori che i medici potrebbero
identificare. Tali torture comprendono minacce di violenza fisica e
sessuale, compresa quelle contro i membri della famiglia,
interrogatori che durano per giorni, privazione del sonno ed esposizione prolungata a musica ad alto volume.
Ai Palestinesi viene spesso negato l’accesso alla luce del giorno, a
volte per settimane, in modo che si disorientano. “Sono completamente
isolati – si sentono sepolti. Non sanno quando finirà l’interrogatorio o
come finirà,” ha detto ad Al Jazeera Anat Litvin, una ricercatrice che
lavora con Physician for Human Rights (Medici per i diritti Umani).
Anat ha aggiunto che spesso era difficile dimostrare la tortura
perché Shin Bet nega che ci siano richieste ai dottori di esaminare i
prigionieri. “Questo crea un circolo vizioso: coloro che vengono
torturati non possono provarlo perché non c’è alcuna documentazione.”
Anche così, ha detto Anat, i dottori di solito prendevano nota dei
bozzi e dei lividi senza notare i reclami dei Palestinesi che dicevano
che i danni venivano loro inflitti
da coloro che li interrogavano.
L’anno scorso un anonimo esperto interrogante ha confermato al
quotidiano Haaretz che l’agenzia usa la tortura. Ha detto cha agli
agenti si richiedeva di registrare i dettagli di quanti colpi
infliggevano e quali posizioni dolorose usavano imporre ai detenuti. Gli
interroganti si concentravano su parti sensibili del corpo, come il
naso, le orecchie e le labbra.
Come indicazione dell’appoggio di alto livello fornito per la tortura
a Israele, ha detto che in seguito i registri venivano inviati al
procuratore generale, cioè al principale funzionario giuridico di
Israele.
“Israele è una società che tortura,” ha detto la Litvin. “Questa
richiede che tutti i livelli del sistema chiudano un occhio – la Shin
Bet, gli inquirenti, i funzionari governativi, i tribunali e i medici.
Ci deve essere un clima che permette che tutto questo accada.”
Interrogatori non registrati
Un’indagine globale condotta dalla Croce Rossa Internazionale nel
2016, ha scoperto che c’è più sostegno alla tortura in Israele che in
qualsiasi altro paese, a parte la Nigeria. Metà degli Israeliani hanno
appoggiato il suo uso; soltanto un quarto si è opposto.
La Stroumsa ha detto: “Il fatto è che molti israeliani possono vivere
con queste cose fino a quando vengono fatte al buio, lontano dalla
vista, senza alcuna documentazione. Presumono che tutti i casi di
tortura siano riguardino le ‘bombe a orologeria’.”
Gli sforzi di dimostrare le torture sono stati ostacolati da
un’ordinanza urgente approvata nel 2002, subito dopo la decisione della
corte suprema che esenta la Shin Bet dal registrare in video i suoi
interrogatori.
Nel 2015, il governo ha giustificato tale esenzione per il motivo che
la video registrazione “potrebbe causare un danno reale alla qualità
dell’interrogatorio e alla capacità di indagare su infrazioni della
sicurezza.
La Stroumsa ha osservato che, a parte il problema morale, la ricerca
ha mostrato che la tortura è inefficace. Un rapporto del Senato
americano, pubblicato nel 2014, ha concluso che non era “un mezzo
efficace di ottenere informazioni precise”.
La ‘scappatoia’ della bomba a orologeria
Cionondimeno, i segnali sono che i tribunali israeliani stanno
riducendo le restrizioni sulla tortura che avevano messo in atto alla
fine degli anni ’90.
Il mese scorso la corte suprema ha pronunciato una decisione per il
caso di Assad Abu Ghosh, un attivista di Hamas che lo stato israeliano
ammette che è stato sottoposto a “metodi speciali” di interrogatorio nel
2007.
Secondo una petizione alla Corte presentata dal Comitato Pubblico, è
stato picchiato e ripetutamente sbattuto contro una parete e costretto a
mettersi nella “posizione” della banana, facendo estrema pressione
sulla schiena. Come conseguenza, Abu Ghosh è rimasto con danni
neurologici.
I gruppi per i diritti umani avevano sperato che la corte avrebbe
chiuso la “via d’uscita” della bomba a orologeria, che ha permesso alla
Shin Bet di continuare a torturare i prigionieri, o che avrebbe almeno
controllato più saldamente i tipi di metodi che usano.
Invece, ha detto Jabareen del gruppo Adalah, è sembrato che la
decisione desse maggiore libertà alla Shin Bet di usare la tortura.
“E’ sufficiente ora che l’agente della Shin Bet creda soggettivamente
che il prigioniero è una ‘bomba a orologeria’, anche in assenza di
fatti soggettivi per sostenere quella convinzione,” ha detto. “Le sue
azioni non verranno considerate criminali per la loro natura perché si
suppone che vengano fatte in buona fede.”
La Stroumsa ha detto che ha trovato incredibile la decisione dei
giudici nel caso di Abu Gosh, data la ingiunzione nella legge
internazionale contro la tortura.
“La corte ha decretato che, anche se tecnicamente nella legge
internazionale i metodi di interrogatorio erano considerati tortura, in
Israele non erano giudicati tali. I giudici in effetti hanno dato alla
Shin Bet il permesso di continuare con la tortura.”
Nella foto: Jonathan Cook
Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo
Originale: Aljazeera
Traduzione di Maria Chiara Starace
Traduzione © 2018 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY NC-SA 3.0
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