Insegnante palestinese dilaniato da un cane dell’esercito israeliano mentre i soldati stavano a guardare
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16 febbraio 2018, Haaretz
Dopo
aver fatto irruzione nella casa di un insegnante a notte fonda, i
soldati gli hanno aizzato contro il loro cane. Il cane lo ha azzannato e
bloccato, mentre i suoi familiari assistevano inorriditi
Non
è un bello spettacolo. Sua moglie ci mostra le foto sul suo telefonino:
il suo braccio ferito, malconcio e sanguinante, morsicato e lacerato,
deturpato in tutta la sua lunghezza. Lo stesso vale per la sua gamba. È
il risultato della notte di orrore che ha trascorso, insieme a sua
moglie e ai suoi bambini.
Immaginatevi:
la porta d’ingresso viene sfondata in piena notte, i soldati irrompono
con violenza in casa e gli scatenano contro un cane. Lui cade sul
pavimento, terrorizzato, mentre il feroce animale addenta la sua carne
per un quarto d’ora. Per tutto il tempo, sia lui che sua moglie e i
bambini gridano in modo straziante. Poi, ferito e sanguinante, viene
ammanettato e arrestato dai soldati, gli vengono negate per ore cure
mediche, finché viene portato in ospedale, dove questa settimana lo
abbiamo incontrato insieme alla moglie. Anche là è rimasto agli arresti,
costretto a giacere incatenato al letto.
Quel
semilinciaggio è stato perpetrato da soldati dell’esercito israeliano
nei confronti di Mabruk Jarrar, un insegnante arabo trentanovenne del
villaggio di Burkin, vicino a Jenin, nel corso della brutale caccia
all’uomo seguita all’assassinio, il 9 gennaio, del rabbino Raziel
Shevach della colonia di Havat Gilad. E, come se non bastasse, pochi
giorni dopo quella notte di terrore i soldati sono tornati nel cuore
della notte. Le donne della casa sono state costrette a svestirsi
completamente, compresa l’anziana madre di Jarrar e sua sorella muta e
disabile, a quanto pare per cercare denaro.
Reparto
ortopedico dell’ospedale Haemek di Afula, lunedì: una piccola stanza
con tre letti. In quello di mezzo c’è Jarrar, che è qui da circa due
settimane. Domenica mattina l’insegnante era ancora legato al letto con
catene di ferro ed i soldati impedivano alla moglie di avvicinarsi. Se
ne sono andati a mezzogiorno dopo che il tribunale militare ha ordinato
il rilascio incondizionato di Jarrar.
Non è chiaro perché sia stato arrestato né perché i soldati gli abbiano aizzato contro il cane.
Il
suo braccio sinistro e la sua gamba sinistra sono bendati, il dolore
acuto che ancora accompagna ogni movimento è chiaramente visibile sul
suo viso. Sua moglie Innas, di 37 anni, è accanto a lui. Si sono sposati
appena 45 giorni fa, il secondo matrimonio per entrambi. I suoi due
bambini nati dal primo matrimonio – Suheib, di nove anni, e Mahmoud, di
cinque – sono stati testimoni di ciò che i soldati ed il loro cane hanno
fatto al padre. I bambini adesso stanno con la loro madre a Jenin, ma
il loro sonno è disturbato, come ci dice Jarrar: si svegliano con gli
incubi, chiamandolo e bagnando il letto per la paura.
Jarrar
insegna arabo nella scuola elementare Hisham al-Kilani di Jenin.
Venerdì 2 febbraio lui e sua moglie sono andati a dormire circa a
mezzanotte. Nella stanza accanto stavano dormendo i suoi due figli, che
trascorrono con lui i fine settimana. Intorno alle 4 del mattino la
famiglia è stata svegliata da un’esplosione proveniente dalla porta
d’ingresso. Parecchie finestre sono state distrutte dalla potenza
dell’esplosione. Jarrar è balzato dal letto ed è corso dai bambini.
Fuori dalla casa erano ferme delle jeep dell’esercito. Secondo la
coppia, un grosso cane, probabilmente dell’“Oketz”, l’unità cinofila
dell’esercito, è stato portato dentro la casa, seguito da almeno 20
soldati. È facile immaginare il terrore che ha assalito loro ed i
bambini.
Il
cane si è lanciato su Jarrar, affondando i denti nel suo fianco
sinistro, gettandolo a terra e trascinandolo sul pavimento. All’inizio i
soldati non hanno fatto niente. Sua moglie è corsa verso di lui con una
coperta, cercando di coprire il cane e salvare suo marito. I bambini
guardavano e piangevano mentre i genitori gridavano aiuto; adesso dicono
che le loro grida erano molto forti. Innas non è riuscita a liberare il
marito dalla presa del cane.
Ci
sono voluti alcuni minuti, ricordano, prima che anche i soldati
cercassero di trattenere il cane, ma l’animale non gli obbediva. Mabruk
era certo che stesse per essere fatto a pezzi ed ucciso; anche Innas
temeva il peggio.
I
soldati hanno strappato via i vestiti di Jarrar, a quanto pare nel
tentativo di liberarlo dalle fauci del cane, ed alla fine ci sono
riusciti – dopo circa un quarto d’ora, secondo la sua impressione. Poi
uno dei soldati lo ha colpito due volte in faccia. Lui era ferito e
barcollava per lo spavento ed in quello stato i soldati gli hanno legato
le mani dietro la schiena. Lo hanno portato di sotto e a quel punto è
arrivato un ufficiale che ha chiesto a Jarrar il suo nome, lo ha
liberato dalle manette ed ha fotografato le sue ferite. L’ufficiale, ci
dice ora Jarrar, è sembrato anche lui sconvolto dalle ferite
sanguinanti, dal braccio e dalla gamba dilaniati.
Dopo
essere stato nuovamente ammanettato, l’insegnante è stato portato con
un veicolo militare al centro di detenzione di Salem, vicino a Jenin,
dove dice di essere rimasto per circa tre ore senza nessuna assistenza
medica. Alla fine è stato portato all’ospedale Haemek, dove è arrivato
circa alle 10,30 del mattino. A quel punto era in arresto, anche se non
era chiaro per quale motivo.
Quella
stessa notte sono stati arrestati anche i suoi due fratelli, Mustafa e
Mubarak Jarrar. Mubarak è stato rilasciato, Mustafa resta detenuto.
Hanno tutti lo stesso cognome della persona ricercata per l’assassinio
del rabbino Shevach, Ahmed Jarrar, che è stato in seguito ucciso
dall’esercito.
Sempre
quella stessa notte è accaduto un evento simile, che ha coinvolto altre
forze dell’esercito, nel villaggio di Al-Kfir, vicino a Jenin. Circa
alle 4 del mattino i soldati hanno fatto irruzione nella casa di Samr e
Nour Adin Awad, genitori di quattro bambini piccoli. Insieme ai soldati è
stato fatto entrare in camera da letto un cane dell’unità “Oketz”, che
ha azzannato e ferito entrambi i genitori.
Come
ha spiegato Nour a Abd Al-Karim a-Saadi, ricercatore sul campo
dell’organizzazione israeliana per i diritti umani B’Tselem: “Stringevo
al petto mio figlio Karem di due anni, che piangeva. Ho aperto la porta,
su cui i soldati stavano picchiando, ed un cane mi ha attaccata,
saltandomi addosso. Karem è caduto dalle mie braccia. Poi ho visto che
mio marito lo ha sollevato da terra. Ho cercato di cacciare via il cane
dopo che mi ha morsicato il petto. Sono riuscita ad allontanarlo, ma poi
ha afferrato coi denti la mia gamba sinistra. Con tutte le mie forze
sono riuscita a scacciarlo. In quel momento i soldati guardavano il
cane, ma non facevano niente. Per tutto quel tempo mio marito pregava i
soldati di togliermi il cane di dosso. Un soldato ha parlato al cane in
ebraico e allora esso mi ha afferrato per il braccio sinistro tenendomi
stretta per alcuni minuti, finché è arrivato un soldato da fuori e lo ha
allontanato. Io sanguinavo ed avevo molto male.”
La
seconda irruzione dei soldati è avvenuta qualche giorno dopo, l’8
febbraio. C’erano solo donne e bambini in casa Jarrar: Innas, i due
figli di suo marito ed anche sua madre e sua sorella, che vivono nello
stesso edificio. Erano le 3,30 di notte. Secondo Innas, circa 20
soldati, maschi e femmine, hanno preso parte al raid. Le hanno detto che
nella casa c’era del denaro di Hamas e che loro erano venuti per
confiscarlo. Hanno calpestato i letti, ignorando le preghiere di Innas
di fermarsi. Hanno chiesto dove fosse Mabruk – probabilmente non sapendo
che era già detenuto dall’esercito in ospedale.
Poi
ci sono state le perquisizioni corporali. Una donna soldato ha portato
le tre donne – la moglie di Jarrar, sua madre di 75 anni e sua sorella
cinquantenne disabile – in una stanza ed ha loro ordinato di spogliarsi
completamente. La ricerca non ha portato a niente: niente soldi, niente
Hamas. Di conseguenza i soldati hanno dato ad Innas un permesso di
ingresso in Israele, per visitare suo marito ad Afula. Dice che le hanno
detto che lui si trovava nel carcere di Megiddo. Vi si è recata il
giorno dopo, solo per scoprire che lui non era là. Ha chiamato Abed
Al-Karim a-Saadi di B’Tselem, che lei descrive come il suo gentile
salvatore. Lui ha fatto qualche telefonata e ha scoperto che Mabruk era
in realtà in ospedale ad Afula. Era ancora in arresto quando lei vi è
arrivata e le è stato permesso solo di fargli visita per 45 minuti.
In
risposta alla richiesta di una dichiarazione, il portavoce
dell’esercito ha detto questa settimana ad Haaretz: “Il 3 febbraio 2018
le forze di sicurezza sono arrivate nel villaggio di Burkin, alla casa
di Mabruk Jarrar, che è sospettato di attività dannose alla sicurezza in
Giudea e Samaria (la Cisgiordania). Una volta giunti alla casa, i
soldati lo hanno invitato ad uscire. Dopo ripetuti richiami e dato che
non usciva, i soldati hanno agito secondo la procedura ed è stato
inviato un cane a cercare la gente dentro casa. Il sospettato si era
chiuso in una stanza al piano superiore dell’edificio insieme alle donne
della sua famiglia.
Quando
si è aperta la porta, il cane ha azzannato il sospettato, ferendolo.
Egli ha ricevuto immediata assistenza dai medici dell’esercito fino a
quando è stato trasferito all’ospedale. In seguito sono state svolte
altre attività di ricerca di individui ricercati. Sottolineiamo che,
contrariamente a quanto si sostiene nell’articolo, le donne della casa
non sono state denudate dalle forze dell’esercito.”
Jarrar
è seduto sul suo letto d’ospedale, parla con difficoltà, ogni movimento
gli costa fatica. Innas viene ogni giorno da Burkin. “Come pensate che
mi sentissi?”, risponde alla domanda su come si sentisse mentre il cane
lo aggrediva. “Ho pensato che stavo per morire.”
Data
la composizione etnica di medici, pazienti, infermieri e visitatori,
questo è effettivamente un ospedale bi-nazionale ebreo-arabo – come
molti degli ospedali nel nord del Paese. Ma un addetto alla manutenzione
ebreo entra improvvisamente nella stanza, fremente di rabbia. “Perché
state intervistando degli arabi? Perché non degli ebrei?”, chiede.
L’uomo minaccia di chiamare l’ufficiale di sicurezza dell’ospedale,
perché il ferito e straziato Mabruk Jarrar stava parlando con noi.
(Traduzione di Cristiana Cavagna)
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