Fulvio Scaglione : l vero problema delle Ong? Politico, non (solo) morale
Io ero e resto convinto che nei primissimi anni Novanta Willy Huber, che allora dirigeva l’ospedale di Save the Children a Mogadiscio,
in Somalia, mi abbia salvato la vita. In più, ho avuto decine di
contatti, e in qualche caso rapporti profondi, con esponenti di Ong in
varie parti del mondo. Figuriamoci quindi se posso avere una posizione
preconcetta nei confronti del cosiddetto “volontariato”.
Però una crisi è una crisi. E quella attuale è assai profonda, e non riguarda solo i colossi travolti dallo scandalo come Oxfam o quelli che si stanno autodenunciando perché avevano già preso provvedimenti e non vogliono finire nel tritacarne come Save the Children o Medici senza Frontiere.
Tanto profonda che la Charity Commission, l’ente che per conto del
governo inglese sorveglia le Ong, denuncia di ricevere ogni anno oltre
mille segnalazioni di abusi sessuali, che riguardano organizzazioni
grandi, piccole e minuscole. Ed è chiaro che il cittadino di buona
volontà, il cittadino-donatore ma anche il cittadino che paga le tasse e
vede il proprio governo affidare decine di milioni alle Ong, fa in
fretta a farsi una domanda: se questi, ad Haiti o altrove, usavano
l’organizzazione come sede per le orge, chissà che fine facevano i miei
soldi.
Per questo paiono molto ingenui, quando non ipocriti, gli inviti che
ora compaiono sulla stampa nazionale e internazionale a non confondere i
pochi che sbagliano con i tanti che agiscono onestamente, perché si
rischia di cancellare risorse che vanno comunque a favore di popolazioni
colpite da calamità naturali, guerre, carestie e così via. È vero,
verissimo. Ma succederà comunque. Quando saltò fuori che i loro uomini
rubavano, grandi e storici partiti che avevano fatto la storia d’Italia
finirono a pezzi. E a nessuno venne in mente di risparmiarli perché
avevano contribuito a costruire il Paese e a dare benessere agli
italiani.
Messa così, la discussione è inutile. Quando Medici senza
frontiere fa notare che sono solo 40, sui suoi 40 mila dipendenti, ad
aver commesso brutte azioni, ha ragione: uno su mille è una media
sociologica, uno stronzo o un delinquente ogni mille persone c’è in
qualunque ambiente. Quello che dovremmo chiederci, però, non è se la
media sia accettabile ma piuttosto: perché 40mila? E perché 25mila Save
the children? Perché un’organizzazione umanitaria deve avere molte
migliaia di dipendenti più dell’Eni, per esempio, o, nel caso di Medici
senza frontiere, addirittura 10 mila dipendenti più della Ferrero?
Perché dev’essere una multinazionale? Perché ha raggiunto dimensioni
così colossali?
In altre parole, non dovremmo preoccuparci del fatto che nelle Ong
lavorano uomini e donne in carne e ossa, con i pregi e i difetti di
tutti gli altri uomini e donne. Dovremmo invece chiederci che cosa siano
diventate le Ong, e perché. Dovremmo occuparci di politica.
Il boom delle Ong ha un suo anno mille, che è appunto tutto politico:
il 1991, quando Bernard Kouchner, segretario di Stato del secondo
Governo Rocard in Francia e soprattutto ex fondatore, negli anni
Settanta, prima di Medecins sans Frontieres e poi di Medecins du Monde,
enuncia il concetto del “diritto all’ingerenza umanitaria”.
L’occasione fu la repressione di Saddam Hussein contro i curdi, lo
scopo abbattere il principio di sovranità degli Stati. Obiettivo
riuscito, perché da allora la motivazione “umanitaria” è stata usata con
successo dai Paesi più potenti (le infinite liste degli “Stati
canaglia” compilate dagli Usa, la difesa delle minoranze russofone da
parte della Russia…) non solo per soccorrere popolazioni a rischio ma
anche per abbattere nazioni ostili o non così vogliose di diventare
amiche e, in definitiva, per spianare la strada alla globalizzazione di
cui soprattutto l’Occidente ha beneficiato.
L’ingerenza è stata condotta a suon di bombe. L’umanitario è stato
affidato alle Ong, soprattutto a partire degli anni Novanta. Un po’
perché ai governi conveniva dal punto di vista economico e
organizzativo, per il vecchio principio per cui quasi sempre il privato
funziona meglio del pubblico. E soprattutto perché il lavoro delle Ong,
oltre a una maggiore efficacia, garantiva un’immagine di neutralità
che conveniva a governi che non avrebbero potuto in alcun modo
procurarsela, visto che erano stati quasi sempre protagonisti della
creazione e poi della conduzione della crisi.
Su questo occorre essere precisi. Non è che Oxfam, Save the Children,
Medici senza Frontiere e le altre Ong non siano state o non siano
“neutrali” nei loro interventi. Ma è la loro posizione a essere
oggettivamente non neutrale quando intervengono in fronti dove si è
combattuta una guerra, dopo che una delle parti ha vinto e, sia permesso
dirlo, con quattrini forniti di governi della parte vincitrice. Le
somme denunciate da Oxfam, per fare un solo esempio, ovvero 67 milioni
di euro dalla Ue, 2 dal Governo inglese, 63 dall’Onu e 57,3 da “altri
governi” tra marzo 2015 e marzo 2016 parlano molto chiaro.
Il boom delle Ong, e quindi anche delle loro dimensioni, è frutto di
questo meccanismo. E si è accompagnato a un’altra distorsione, anche
questa indotta dalla convenienza politica dei governi. Le Ong sono
diventate delle specie di oracoli, bocche della verità che non potevano
essere contestate in alcun modo. Lo si è visto bene con la questione dei
migranti nel Mediterraneo e le polemiche con il ministro Minniti.
L’idea, ampiamente fatta circolare, era che solo le Ong sapessero cosa
fare per intervenire sul problema, anche se a ben vedere la loro
proposta era di non fare nulla, di continuare così. Fino al ricatto
aperto, con la decisione di ritirare le navi di soccorso perché la
situazione, con i pattugliamenti della losca guardia costiera libica,
era diventata troppo pericolosa. Anche se nessuna delle loro
organizzazioni parla, per dirne una di ritirarsi dall’Afghanistan che è
assai più pericoloso del Mediterraneo.
Non si tratta, quindi, di criminalizzare le Ong o di trattare tutti i
loro volontari come potenziali organizzatori di orge e altri abusi.
Sarebbe però interessante che fossero le stesse Ong ad aprire una
riflessione sul loro ruolo e sul meccanismo in cui sono coinvolte anche
quando agiscono per il meglio, come fanno spesso. Quello sì che sarebbe
un bel momento di politica, utile a tutti.
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