Catherine Cornet : La voce che la Francia non tollera
La sua voce purissima comincia a intonare le prime parole della canzone di Leonard Cohen Hallelujah. La giuria della versione francese del popolare talent show The Voice
si gira conquistata: è un momento magico. La giovane cantante continua
la canzone in arabo, con infinita grazia. Si sente la bellezza del
canto, il languore della melodia di Cohen si sposa perfettamente con le
note nostalgiche del canto arabo. La musica unisce. Ma purtroppo non per
molto. Oltre ad avere innegabili qualità canore e di interpretazione,
Mennel Ibtissem indossa un turbante. E questo sembra ormai un crimine
irreparabile in una certa Francia ordinariamente razzista. Quattro
giorni dopo, la ragazza deve lasciare il talent in mezzo a un inferno di
commenti xenofobi e attacchi violentissimi.
Forse era scritto che il momento magico non dovesse esserci, perché una francese di origine siriana che canta l’Halleluja scritta da un ebreo canadese, in arabo e su una tv francese deve diventare per forza un problema.
Censura a catena
Per prima cosa i suoi account sui social network vengono passati al
setaccio. Viene fuori che durante gli attentati di Nizza, nel 2016, la
ragazza ha pubblicato su Twitter un commento giudicato complottista – si
chiedeva perché a ogni attentato si ritrova sempre il passaporto del
colpevole – accompagnato da un hashtag idiota #preneznouspourdescons
(#ciprendeteperfessi).
Forse è complottista, ma “come i giovani della sua generazione”, spiega in un articolo su Libération Saïd Benmouffok,
un professore di filosofia del liceo Condorcet di Limay, nella
periferia parigina: “Ha twittato idee stupide a tendenza complottista.
Esattamente quello che la maggior parte degli insegnanti francesi ha
sentito nelle proprie classi dopo gli attentati di Parigi nel 2015 e poi
nel 2016. Niente di più, niente di meno. Come tutti noi, Mennel è una
ragazza della sua epoca. La gioventù non scusa niente, ma dà almeno il
diritto all’errore. E lei ha chiesto scusa”.
Il caso Mennel Ibtissem avrebbe potuto essere l’occasione per parlare
di questo pensiero complottista molto diffuso tra i più giovani che
stentano a credere ai mezzi d’informazione tradizionali. Per una grande
maggioranza dei giovani francesi, le teorie del complotto sono, almeno
in parte, realtà. È il risultato dell’inchiesta condotta per la
fondazione Jean Jaurès e Conspiracy Watch: “Il 79 per cento delle
persone intervistate in Francia crede in almeno una delle dieci teorie
del complotto proposte dal questionario”, e i giovani sono in prima
linea, ricordava un dossier di Le Figaro a gennaio: “Rispetto a chi ha 35 anni credono due volte di più nelle teorie cospiratorie”.
La giovane promessa della canzone francese si è scusata, ha ritirato
tutto, ha spiegato la rabbia, si è giustificata in ogni modo possibile.
Mette addirittura a disagio leggere come una francese ordinaria si senta
obbligata a confermare il suo attaccamento alla Francia: “Nata a
Besançon, amo il mio paese”. Ha sottolineato che questi commenti non
erano pubblici ma condivisi con i suoi amici, ha spiegato che era fuori
di sé perché aveva familiari a Nizza al momento dell’attacco. Niente da
fare.
Sul piano artistico, il suo profilo conferma anche ciò che ripete
dall’inizio del caso: apertura, riferimenti musicali variegati
caratteristici di un’epoca di remix, con gusti eclettici e globalizzati,
che vanno da Beyoncé ad Adele, da Maher Zein, un cantante inglese
musulmano, a John Lennon. Mennel canta e scrive all’infinito messaggi di pace, amore e musica.
Il terzo peccato capitale riguarda il suo aspetto: Mennel indossa un
turbante, che si scontra con un’ossessione francese per il velo
Non è sufficiente: Isabelle Morini-Bosc, una giornalista televisiva di un programma popolare: “Mennel non avrebbe dovuto cantare in arabo, con i tempi che corrono…”.
Cantare in arabo, anche questo è diventato un errore imperdonabile. Per il sito marocchino Ya Baladi,
quest’avversione per la lingua araba ricorda una lunga storia di
intolleranza francese verso la differenza linguistica. “Sembra di essere
tornati a un secolo fa, quando i maestri repubblicani umiliavano i
bambini bretoni che si azzardavano a parlare in dialetto: stessa
violenza, stessa isteria contro una lingua, stessa umiliazione che
segnerà generazioni intere”.
Il terzo peccato capitale riguarda il suo aspetto: Mennel indossa un
turbante, che si scontra con una “strana ossessione francese per il
velo”, come spiega la storica americana Joan W. Scott.
Secondo lei, il velo risveglia “l’inconscio politico del
repubblicanesimo francese”. L’isteria politica intorno all’abbigliamento
femminile si spiega anche con due dati storici del paese: in primis, la
differenza sessuale ovvia tra uomini e donne mette in pericolo le basi
dell’uguaglianza dell’individuo repubblicano. Secondo, il ricordo
dell’ideologia coloniale e della “missione civilizzatrice” è molto vivo
nei confronti di queste donne “arabe native”. All’epoca, il loro velo
era visto in modo erotico, oggi come simbolo di repressione sessuale. Le
reazioni al velo appartengono sempre a una proiezione di un
repubblicanesimo estremo.
Concretamente, quest’isteria tutta francese verso il velo è visibile
nei numeri degli attacchi islamofobi. Le aggressioni contro i musulmani
riguardano molto di più le donne che gli uomini: le donne sono l’81 per
cento delle vittime di islamofobia e la quasi totalità delle persone musulmane
aggredite con violenza. Il ministero dell’interno in un rapporto
dell’aprile 2014, si dichiarava preoccupato per “un fenomeno
particolarmente inquietante, l’aumento degli attacchi verso le donne e
particolarmente verso quelle che portano il velo”.
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