Bradley Burston :Dalla destra israeliana un appello alla deportazione di centinaia di migliaia di persone. E poi? Una Nakba?
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- Dalla destra israeliana un appello alla deportazione di centinaia di migliaia di persone. E poi? Una Nakba?
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- Rapporto OCHA del periodo 30 gennaio – 12 febbraio 2018 ( due settimane)
13 febbraio 2018,Haaretz
Che
cosa dovremmo pensare? Che ci sono problemi che possiamo soltanto
espellere? Bene, perché no? Per qualcuno, frustrato dalla mancanza di
politiche chiare, è un pensiero accattivante. Ma ecco perché no.
All’inizio
di questo mese un articolo su “Makor Rishon” [giornale israeliano
vicino alla destra religiosa ed ai coloni, ndt.], portabandiera
ideologico della destra israeliana, affermava: “E’ giunto il tempo per
una campagna pubblica per la deportazione degli illegali.” L’autore,
Tzachi Levy, citava dati governativi che mostrano che almeno 230.000 non
cittadini risiedono in Israele senza permesso, compresi, ha detto, non
meno di 100.000 palestinesi della Cisgiordania, alcuni nelle città arabe
israeliane, altri a Gerusalemme est, altri ancora tra i beduini del
Negev.
Levy
ha detto che le persone senza documenti costituiscono sia una minaccia
alla sicurezza, sia il pericolo di “un tentativo di mettere in atto un
‘diritto al ritorno’ (dei palestinesi) dalla porta di servizio,
sfruttando lo stato sociale israeliano.”
Che
cosa dovremmo pensare? Che ci sono dei problemi che possiamo solamente
espellere? Bene, perché no? Per qualcuno in Israele, frustrato da un
governo che ha poche politiche chiare su qualunque questione, compreso
il futuro della Cisgiordania, della Palestina e della democrazia
all’interno di Israele, questo è un pensiero accattivante.
Il
mese scorso, quando Raziel Shevach, un rabbino della Cisgiordania,
paramedico e padre di sei figli, è stato ucciso in un attacco armato
terroristico, il ministro dell’Agricoltura Uri Ariel, di estrema destra,
ha invitato immediatamente il governo “ad espellere la famiglia
dell’assassino per creare un deterrente.” Non vi era nessuna indicazione
che la famiglia dello sparatore fosse in alcun modo coinvolta.
Ma ecco perché no:
Nella
psiche nazionale sia degli israeliani che dei palestinesi l’orrore
trasmesso dallo spettro della deportazione e dell’esilio non ha eguali.
In molti modi lo stesso ebraismo, le sue scritture, la sua liturgia, il
suo fulcro sono uno sforzo di superare e affrontare il dolore di
migliaia di anni di esilio. In molti modi la cultura, la nazionalità e
l’essere popolo dei palestinesi sono inseparabili dalla memoria e
dall’angoscia evocate dal termine Nakba, la catastrofe – l’esodo di
oltre 700.000 palestinesi che fuggirono o vennero espulsi dalle loro
case nel periodo della guerra del 1948.
Persino
in quest’epoca apparentemente moderna vi sono molti, da entrambe le
parti, che affermerebbero senza riserve che, se dovessero scegliere,
preferirebbero sinceramente la morte rispetto all’espulsione dalla
propria casa e dalla propria terra.
Questo
è il motivo per cui, in momenti in cui si fanno appelli da parte della
destra israeliana ad usare la deportazione come strumento per risolvere i
problemi di Israele, l’appello stesso può avere effetti incendiari.
Questo è uno di quei momenti.
Per
settimane attivisti e commentatori di sinistra hanno messo in guardia
che le deportazioni di massa di richiedenti asilo africani potrebbero
servire come una specie di prova da parte del governo condotta in vista
di una futura “soluzione” su basi demografiche, senza compromessi e
fuori dalle vie diplomatiche, alle questioni poste da una numerosa,
popolazione palestinese priva di diritti in Cisgiordania – lo spettro
del
“ trasferimento”
di popolazione e, in questo processo, della dissoluzione degli ultimi
legami rimasti tra Israele e la democrazia.
Ora, benché non sia chiaro se suonino come avvertimento o come auspicio, toni simili si sono sentiti provenire dalla destra.
Che
cosa dovremmo pensare quando Eldad Beck [famoso giornalista israeliano
di centro destra, ndt.], un sostenitore del piano del governo di
deportare decine di migliaia di richiedenti asilo africani, richiama la
nostra attenzione sull’articolo di opinione di “Makor Rishon”,
commentando così in un post su Facebook di sabato:
“Non
escluderei la possibilità che la lotta per sventare la deportazione di
infiltrati dall’Africa sia in realtà finalizzata a promuovere una lotta
contro una più significativa deportazione di infiltrati arabi.”
Per
di più, mentre l’amministrazione Netanyahu – sfidando gli appelli di
esperti di diritto internazionale e l’indignazione espressa da ampi
strati del mondo ebraico e del pubblico israeliano – proseguiva i
preparativi per espellere molti dei 37.000 richiedenti asilo africani
residenti in Israele, la ministra della Giustizia di estrema destra
Ayelet Shaked lunedì ha esternato un semplice ma sconvolgente messaggio
in difesa del governo: la pulizia etnica al servizio del sionismo. Per
essere precisi, Shaked non ha usato né il termine sionismo né la forte
espressione pulizia etnica. Non ne aveva bisogno.
Citando
le leggi emanate per preservare demograficamente una maggioranza
ebraica in Israele – Shaked ha affermato che “lo Stato dovrebbe dire che
è giusto conservare la maggioranza ebraica anche al prezzo della
violazione dei diritti.”
Difendendo
la determinazione del governo a tenere il termine “eguaglianza” fuori
dalla proposta di legge sullo Stato-Nazione ebraico, Shaked ha detto:
“ci sono luoghi in cui il carattere dello Stato di Israele come Stato
ebraico deve essere mantenuto, e questo a volte avviene a scapito
dell’eguaglianza.”
E,
per paura che il vero motivo della deportazione da parte del governo
dei richiedenti asilo africani sia frainteso rispetto a ciò che è – una
malaccorta, non necessaria retata razzista ed una persecuzione che fa di
migranti rispettosi della legge dei capri espiatori, invece di
occuparsi dei reali problemi sociali degli israeliani nel sud di Tel
Aviv – Shaked ha rilanciato: parlando lunedì al Congresso su giudaismo e
democrazia, ha detto che, se non fosse stato per il muro che Israele ha
costruito sul confine egiziano col Sinai, che riduce efficacemente il
flusso dei richiedenti asilo, “qui assisteremmo ad una specie di
strisciante conquista da parte dell’Africa.”
Lasciamo
da parte, per il momento, il fatto che il governo, procedendo con le
deportazioni, agisce in modo opposto al parere di alcuni dei suoi più
forti sostenitori, in particolare il procuratore e difensore di Israele
Alan Dershowitz [famoso avvocato e docente di diritto internazionale
statunitense, sostenitore incondizionato di Israele, ndt.], che
all’inizio di quest’anno ha detto: “Non si può evitare l’odore di
razzismo quando c’è una situazione in cui 40.000 persone di colore
vengono deportate in massa, senza che siano prese in considerazione
individualmente ed ogni caso analizzato nel merito.”
O
la conclusione di Dershowitz che la “Legge sul Ritorno”, che concede
automaticamente il diritto alla cittadinanza a chiunque venga
riconosciuto come ebreo dai dirigenti di Israele, “non dovrebbe essere
una legge che esclude altri dal venire valutati come cittadini.”
E
lasciamo da parte anche i punti deboli che non vedono gli avamposti
[insediamenti illegali dei coloni israeliani in Ciagiordania, ndt.]
nell’argomentazione di Makor Rishon, che afferma:” In uno Stato di
diritto, chiunque si trovi qui illegalmente dovrebbe essere gentilmente
mandato via da Israele.”
E
tralasciamo anche, per il momento, le menzogne che il governo ha detto e
continua a diffondere, a sostegno di un piano che ha dimostrato sempre
più di essere utilizzato dal Likud e dallo Shas [partito religioso di
destra, ndt.] nelle campagne di incitamento contro la popolazione nera.
E’
ora di chiedere che cosa stia facendo al popolo di questo Paese il
discorso – e le prove – di un Israele che cerca di deportare lontano i
suoi problemi.
E’
ora di chiedere se ciò che si sta tradendo siano esattamente la
compassione e la generosità del “cuore ebraico”, che i ministri del
governo esaltano così spesso come un dato di fatto.
Per
fare un esempio, Mr. Macho ringhia in difesa dell’espulsione di
bambini. Ecco Levy di “Makor Rishon” che biasima il governo per aver
deciso, almeno in questa fase, di esentare alcune famiglie dalla
deportazione – compresi bambini che non hanno mai conosciuto una patria e
una cultura oltre Israele:
“Dovunque nel mondo le famiglie migrano e i bambini si adattano.
Chiaramente,
non è piacevole tornare in un Paese del Terzo Mondo, ma smettiamola con
il politicamente corretto – non stiamo mandando nessuno a morire e,
anche se la situazione non è bella, Israele non può caricare sulle sue
deboli spalle tutti i problemi del Terzo Mondo.”
(Traduzione di Cristiana Cavagna)
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