Jonathan Ofir :Quando il sionismo è l’essenza della vita, una rottura ha gravi conseguenze
9 gennaio 2018, Mondoweiss
Rompere con il sionismo può essere un’esperienza che sconvolge la vita.
In
Israele la società ebreo-israeliana è nel suo complesso sionista – in
una misura che varia dal cosiddetto “sionismo liberal” al sionismo
fondamentalista. Non ci sono veramente, necessariamente, molte
differenze quando uno parla di questa esperienza di rottura in un gruppo
o nell’altro.
Il
problema con il sionismo è che i suoi aderenti lo vedono
fondamentalmente come una forma di “essenza della vita”.
L’indottrinamento sionista insegna che si tratta “della nostra stessa
esistenza”. Il “noi” è considerato generalmente essere “la Nazione
ebraica” o “il popolo ebraico”, e pertanto l’individuo è visto come una
piccola parte in tutto questo. Dato che la sopravvivenza del tutto
include anche l’individuo, ogni rottura con il sionismo è considerata
una specie di tradimento della società, che mette a rischio la forza e
persino la sopravvivenza del “tutto”.
Narrazioni
che sfidino la veridicità concreta della nozione di “sopravvivenza”,
come mettere in evidenza la prospera esistenza ebrea altrove, è alquanto
inutile per i sionisti. In base alla meta-narrazione sionista, tutto
questo è provvisorio. La prosperità ebraica è provvisoria, e
semplicemente attende un determinato momento in cui i gentili [i non
ebrei, ndt.] “se la prenderanno con gli ebrei” ancora una volta, perché
questo è ciò che avviene “in ogni generazione”, come recita il canto
della Pasqua.
E
la risposta sionista a questa presuntamente pericolosa, eterna
situazione è uno Stato-Nazione ebraico. Perciò nel paradigma più ampio, i
sionisti semplicemente vedono la soluzione – lo Stato-Nazione ebraico,
come una soluzione di sopravvivenza. Non sono quindi inclini a vedere un
qualunque “problema” che ne derivi, come le violazioni dei diritti
umani e la sfida al diritto internazionale, come altro che meri ostacoli
o sfide che deve affrontare questo “caso particolare” – Israele.
Perciò
quando si evidenziano queste violazioni, ciò è irritante per i sionisti
non necessariamente perché non ne siano consapevoli – ma perché
mettendole in evidenza non si dimostra simpatia con le sfide che deve
affrontare “il caso particolare” che per loro è Israele.
Dato
che il caso di Israele e del sionismo necessita di una “dispensa
speciale”, persino una rottura emotiva di un individuo con il sionismo
può essere percepita come un pericolo. E quindi quando uno rompe con il
sionismo, ciò è visto in termini molto emozionali e personali da coloro
per i quali esso rappresenta l’“essenza della vita”.
Che
allora si caratterizzi questo tipo di fedeltà al “sionismo essenza
della vita” come una forma di adesione che ricorda società totalitarie,
non aggiunge niente alla consapevolezza tra i propri simili. Per loro
aggiunge semplicemente danno alla beffa.
D’altro
canto, il discorso riguardo alle intrinseche violazioni dei diritti
umani insite nel sionismo è semplicemente offensivo per i sionisti, e
soprattutto per i “sionisti liberali”, in quanto suggerisce che l’intera
ideologia in cui essi si identificano è incompatibile con i valori di
uguaglianza e persino di democrazia. Natasha Roth fa un’eloquente
sintesi di ciò nel suo articolo riguardante la recente lista nera
israeliana di attivisti del BDS. Roth scrive:
“Il
governo israeliano a quanto pare considera il bando contro attivisti
del BDS un comportamento accettabile per una democrazia, un punto di
vista agevolato dal fatto di aver coltivato e promosso in modo molto
accurato la menzogna secondo cui il BDS è un movimento antisemita che
intende distruggere Israele. Questa menzogna ha avuto un significativo
successo, nonostante la chiara affermazione sul sito ufficiale del
movimento BDS secondo cui il suo obiettivo è garantire gli stessi
diritti umani e civili per i palestinesi come per chiunque altro viva
nei territori controllati da Israele. Ma se garantire gli stessi diritti
a chiunque viva nel territorio controllato da Israele provocasse
l’implosione dello Stato, allora sicuramente quelli che si oppongono al
BDS su queste basi stanno ignorando un problema fondamentale – che per
definizione uno Stato che non può sopravvivere se tutti i suoi abitanti
hanno gli stessi diritti non è una democrazia.”
In
altre parole, il sionismo priva di significato i presunti valori del
“liberalismo”. Potrebbe benissimo essere che i “sionisti liberal”
considerino i valori liberali il loro principale obiettivo, ma quando
sionismo e liberalismo entrano in opposizione, i sionisti scelgono il
sionismo. Per quanto riguarda i sionisti più fondamentalisti e più
imperturbabilmente fascisti, ciò è un insulto meno grave, perché in ogni
caso hanno una minore tendenza a rispettare la nozione “liberale”. Ma
persino i fascisti tendono a pensare che i loro valori sono legati alla
“libertà” e alla “superiorità morale” – semplicemente giudicano che gli
“altri” non facciano parte del gruppo.
Così,
quando avviene la rottura, questa porta inevitabilmente a riconsiderare
la totalità dell’indottrinamento e dell’insieme di valori con cui uno è
stato educato. Ci si trova a dover mettere in dubbio che la natura di
questi valori, nella misura in cui sostengono un simile concetto – il
sionismo – , sia l’essenza della vita. Se si è pensato di essere
cresciuti con i valori del rispetto, allora si deve rispecchiare questa
affermazione contro l’intrinseca mancanza di rispetto del sionismo nei
confronti degli “altri” nativi – i palestinesi. Se questo specchio non
rimanda l’immagine, se questa mancanza di rispetto – genocidario, si
deve notare – non può essere riconciliata con il “rispetto”, lo specchio
si frantuma. Si deve rieducare e rimettere insieme tutto l’insieme di
valori per definire un nuovo e concreto concetto di rispetto. Questo
esempio riguarda una lunga lista di valori.
Quindi
la rottura con il sionismo diventa una rottura fondamentale da parte di
se stessi con tutto un sistema di valori con cui si è cresciuti. La
propria famiglia e i propri simili registrano il fatto che la distanza
non è semplicemente “politica”; riguarda, inevitabilmente, il modo
essenziale di essere. I sionisti percepiscono ciò come l’insinuazione
che essi, i sionisti, sono visti come “altri” con meno valori, e
istintivamente considerano quella valutazione come offensiva, che li
rimanda persino all’idea “antisemita” degli ebrei come esseri inferiori
(persino quando è un ebreo che rompe con il sionismo). Ciò è offensivo
per tutto il modo di essere dei sionisti, a molti livelli. Essi
proveranno inevitabilmente un’avversione naturale per questa persona.
La
soluzione di questa avversione, se la gente vuole ancora avere rapporti
reciproci, deve semplicemente essere evitare l’argomento per quanto
possibile. Ma la consapevolezza sarà presente. Sarà come un elefante
nella stanza, di cui non si può parlare – il sionismo.
La
gente che vive in una simile società – che sostiene e custodisce il
sionismo – sa tutto questo per istinto. Il prezzo di rompere con ciò può
essere alto. Non è solo una rottura con la società, è una rottura con
il proprio passato. Per molta gente un simile prezzo è semplicemente
considerato troppo alto. Ma quelli che hanno compreso che i palestinesi
stanno pagando ed hanno pagato un prezzo incomparabilmente alto per il
sionismo devono considerare questo prezzo [che paga chi rompe con il
sionismo, ndt,] assolutamente tollerabile e che ne vale la pena. La
negazione intrinseca e generale da parte del sionismo delle sofferenze
dei palestinesi è parte di questo meccanismo. Se la si nega e non si
riesce a sentirla, si può conservare la maschera, la propria ipocrisia, e
la convinzione che il sionismo sia l’unica soluzione.
Jonathan Ofir
Musicista, conduttore e blogger/autore israeliano che vive in Danimarca.
(traduzione di Amedeo Rossi)
Quando il sionismo è l’essenza della vita, una rottura ha gravi conseguenze
Jonathan Ofir 9 gennaio 2018, Mondoweiss Rompere con il sionismo può essere un’esperienza che sconvolge la vita.
(traduzione di Amedeo Rossi)
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