L'INTERVISTA | Medio Oriente e terrorismo secondo Fulvio Scaglione - il Momento Abbiamo intervistato per “Il Momento” il giornalista Fulvio Scaglione,… t.co
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intervistato per “Il Momento” il giornalista Fulvio Scaglione, ex
vice-direttore di “Famiglia Cristiana” e noto reporter. È stato
corrispondente …
t.co
Abbiamo intervistato per “Il Momento” il giornalista Fulvio Scaglione,
ex vice-direttore di “Famiglia Cristiana” e noto reporter. È stato
corrispondente da Russia, Afghanistan, Iraq e ha seguito le vicende del
Medio Oriente, pubblicando a riguardo il libro “Il patto con il diavolo”
(Rizzoli, 2016). Collabora con varie testate cartacee e online, fra
cui, oltre a Famiglia Cristiana, Limes, Avvenire, Occhi della guerra,
Linkiesta, Micromega.
D: Lei conosce bene, anche per esperienza diretta di
reporter, il Medio Oriente e la situazione sociale e politica di quei
Paesi. Crede che la vittoria di Putin e Assad in Siria possa essere un
primo passo per una maggiore stabilità nell’area oppure no?
R: Non necessariamente. Già si vede, per esempio per quanto riguarda il Libano, che ci sono degli evidenti tentativi di rivincita del fronte perdente in Siria, composto per intenderci, con grandi generalizzazioni, da petromonarchie del Golfo Persico e Stati Uniti.
Il tentativo di destabilizzare il Libano è piuttosto evidente, come
altre manovre politico-diplomatiche, peraltro legittime, che non devono
scandalizzare: per esempio i progetti palesi di alleanza fra sauditi e
israeliani, i quali stanno solo cercando la maniera di farlo senza
irritare troppo il mondo arabo. Anzi è già un’alleanza di fatto…
Naturalmente un’alleanza di questo genere darebbe un peso molto maggiore
ai tentativi di contrastare l’allargamento dell’influenza politica
dell’Iran. Questo per dire che non è detto che la sconfitta militare
dell’Isis sia necessariamente l’anticamera di una maggiore stabilità.
Infatti basta vedere quello che è successo in Iraq dopo il 2003. Dopo
l’invasione angloamericana e la presa di potere degli sciiti al posto
dei sunniti – i quali erano la base del regime di Saddam Hussein – ci
sono stati anni e anni di guerriglia sanguinosissima.
Ci sono Paesi che hanno le risorse finanziare, la volontà
politico-religiosa e un vivaio di militanti pronti a battersi così vasto
che possono tenere in ebollizione qualunque regione del Medio Oriente
per anni e anni. Quindi continuo a ritenere che la questione del Medio
Oriente non sia una questione militare, ma una questione politica.
L’instabilità è garantita finché non la si pianta con questa false flag dell’esportazione della democrazia
– che in realtà significa abbattere i regimi non graditi e anche quelli
che, prima graditi, di volta in volta diventano sgraditi – e finché non
si accetta il fatto che questo mondo, Medio Oriente compreso, è troppo
vasto e diverso per essere ricondotto ad un unico pensiero, a un’unica
cultura politica e in generale ad un’unica cultura. Infatti più abbiamo
esportato democrazia, più instabilità c’è stata.
D: Come pensa che sarà il nuovo regno di Mohammed bin Salman, l’erede al trono dell’Arabia Saudita?
R: A giudicare dalle mosse di questo re, che ufficialmente non è
ancora re, ma si comporta come se lo fosse, il nuovo regno sarà molto
più disposto a investire in spedizioni militari e molto più aggressivo anche nell’arena internazionale.
Abbiamo visto cos’è successo all’ONU quando le Nazioni Unite hanno
cercato di varare delle inchieste indipendenti sui crimini di guerra
nello Yemen: l’Arabia Saudita ha semplicemente ricattato le Nazioni
Unite e i Paesi delle commissioni dicendo che non avrebbe più fatto
affari con quei Paesi e non vi avrebbe più investito se avessero
approvato quelle cose.
Quindi a giudicare dalle prime mosse immagino che l’attuale erede al
trono e domani re varerà qualche riforma di facciata, come il permesso
alle donne di guidare o di lavorare nei centri commerciali in attività
che prima erano loro proibite. Però nella sostanza non cambierà il progetto saudita wahabita,
che è quello di esercitare l’egemonia di fatto su tutto il mondo
islamico. È stato calcolato che l’Arabia Saudita, che ha il 3% della
popolazione islamica del mondo, esercita grazie ai miliardi che investe
ogni anno un’influenza più o meno diretta su circa il 90% delle
istituzioni islamiche del pianeta (scuole coraniche, università,
accademie, ecc.). Credo che ciò non cambierà col nuovo re.
Peraltro non cambierà il leitmotiv di questi ultimi decenni, quello che
io ho chiamato il patto con il diavolo, cioè l’alleanza sostanziale fra
due globalizzazioni: una è la globalizzazione del turbocapitalismo di
marca statunitense e in generale occidentale; l’altra è la
globalizzazione perseguita dal wahabismo che vuole arrivare al pensiero
unico nel mondo islamico.
D: Lei nel suo libro “Il patto con il diavolo” (Rizzoli,
2016) afferma che il vero lavoro di contrasto al terrorismo
internazionale deve avere come presupposto quello di bloccare le fonti
che finanziano il terrorismo islamico. Lei vede i segni di qualche
tentativo in tal senso, di una minima intenzione politica o anche solo
di una consapevolezza di ciò?
R: No, assolutamente no. Anzi direi il contrario. Quando ho scritto il libro (nel 2016 ndr) parlavo di Hollande e di quella leva politica. Ma basta vedere le mosse di Trump, di Macron, di Theresa May: sono esattamente sulle orme dei predecessori, anzi peggio.
Il record di vendite di armi all’Arabia Saudita, che era di Obama, è
stato battuto da Trump. La May ha incrementato i legami con l’Arabia
Saudita e con gli altri Paesi del Golfo Persico per le forniture
militari. Macron? Non parliamone: era ministro dell’industria e delle
finanze quando Hollande siglava i contratti con l’Arabia Saudita. Adesso
è presidente, figuriamoci. Fra l’altro, quando si sono avuti i segnali
del fatto che il nuovo principe saudita stava avvicinandosi ancor più al
trono, Macron era a Dubai per il Louvre e si è precipitato in Arabia
Saudita per essere il primo a prendere contatto con il nuovo regime.
D’altra parte è scientificamente provato che le petromonarchie del Golfo
Persico, Arabia Saudita in testa, sono i Paesi che finanziano il
terrorismo e che per esempio hanno finanziato l’Isis. Lo ha scritto
anche Hillary Clinton sia quando era segretario di Stato sia quando era
candidata alla presidenza degli Stati Uniti nelle mail che poi sono
state diffuse da Wikileaks. Tutti sanno che è così ma continuano
esattamente come prima.
Quando il ministro degli Esteri del Qatar, in seguito al contrasto con
l’Arabia Saudita, è venuto in Europa a fare un giro per i Paesi dell’UE è
stato ricevuto dalla Mogherini, la responsabile europea per le
politiche estere e di sicurezza. Quando è uscita da questo colloquio la
Mogherini ha detto ai giornalisti che l’Unione Europea ha sempre avuto
buoni rapporti con questi Paesi, intendendo evidentemente il Qatar e
l’Arabia Saudita, e intende continuare ad averli. Noi sappiamo
scientificamente, perché ce lo dice la Clinton e ce lo dicono infiniti
studi, che questi due Paesi sono due Paesi pesantemente finanziatori del
terrorismo, dunque il fatto è che l’Unione Europea ha sempre avuto buoni rapporti con i Paesi che finanziano il terrorismo e ci tiene ad averli. Questo è detto, è scritto, non è un’illazione.
Intendiamoci, poi va detta una cosa: non sono certo solo l’Arabia
Saudita o il Qatar o il Kuwait che finanziano il terrorismo islamista.
Anche l’Iran ha finanziato e sostenuto movimenti terroristici a sfondo
islamista, però bisogna tenere conto delle proporzioni e le proporzioni
sono assolutamente sbilanciate. Il terrorismo islamista sunnita,
cioè quello sostenuto dai Paesi del Golfo Persico, è responsabile della
stragrande maggioranza degli attentati e degli attacchi: non c’è nessun
paragone. Quindi se si vuol seriamente contrastare il terrorismo
islamista bisogna partire da lì. Se invece si vuole, come in effetti si
vuole, far finta di niente e accettare questo terrorismo islamista in
cambio di altri vantaggi geopolitici, benissimo, basta saperlo.
Benissimo no, ma almeno si sappia.
D: Quali sono i legami, se ci sono, fra il radicalismo
islamico in Italia e le fonti di finanziamento estere di cui abbiamo
parlato?
R: L’Italia, come ormai hanno notato tutti, è stata risparmiata
da attentati di ampia portata. Abbiamo avuto “robetta” in confronto a
quello che è successo altrove. Io credo che questo non succeda per caso.
Succede per diverse ragioni.
Una è sicuramente l’abilità dei nostri servizi, il know-how che hanno maturato in molti decenni di contatti con il Medio Oriente. Pensiamo a Sigonella, Calipari…
La seconda ragione secondo me è che l’Italia è un Paese ponte, un Paese di passaggio per l’Europa e nessuno brucia i ponti su cui deve passare.
Attentati pesanti in Italia vorrebbero dire più controlli e tensione
molto più alta: non conviene. Quindi io tendo a pensare che non ci sia
un grande investimento per sobillare, semmai c’è qualche investimento
per controllare (da parte dei finanziatori del terrorismo ndr).
Detto questo, siccome in Italia, come generalmente in Europa, seppur con
molte differenze fra Paese a Paese, non è lo Stato che costruisce le
moschee, esse sono frutto di investimenti privati. Allora diventa
difficile sapere chi in realtà mette i soldi, con quale scopo e chi va a
predicare. Poi di tanto in tanto si legge che qualche imam viene
rispedito a casa perché predica violenza, ma generalmente (anche se
immagino che i servizi segreti lo sappiano) noi non sappiamo cosa
succede in queste moschee, in questi luoghi di culto, che proprio perché
sono in qualche modo spontanei sfuggono al controllo. È tutta una serie
di deduzioni quella che faccio io, non ho informazioni di prima mano,
però mi viene il forte sospetto che se c’è un interesse strutturato per
l’Italia da parte della filiera che sostiene il terrorismo islamico
questo sia un interesse a tenere sotto controllo la situazione, più che a fomentare lo scontro.
Perché, diciamocelo, pur con tutta l’abilità dei servizi segreti, se si
possono organizzare attentati di un certo tipo in Francia, in Germania,
nel Regno Unito, tendo a pensare che sia possibile farlo anche in
Italia e che se ciò non avviene, non sia per caso, ma per una serie di
ragioni.
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