Jonathan Cook :Per i Palestinesi oltre al danno la beffa

9 dicembre 2017
E’ allettante interpretare l’annuncio di questa settimana circa il rinvio fino al nuovo anno della visita del vice-presidente degli Stati Uniti Mike Pence in Medio Oriente, come      avviso di viaggio. Viene dopo un’esplosione di agitazioni in quella zona, a causa del riconoscimento che ha fatto Donald Trump di Gerusalemme come capitale.
Durante le proteste di venerdì scorso, le forze di occupazione israeliane hanno ucciso 4 palestinesi e ne hanno feriti più di 250.
I funzionari americani, tuttavia, non sono preoccupati per la sicurezza di Pence. Infatti le previsioni di una terza insurrezione (Intifada) palestinese come reazione alla dichiarazione di Trump riguardo a Gerusalemme, potrebbe essere prematura.
Dopo decenni di plateali pregiudizi americani verso Israele, Trump ha confermato ai Palestinesi soltanto quello che già sapevano. Alcuni hanno anche accettato a malincuore la sua schiettezza. Sperano che abbia finalmente zittito le rivendicazioni degli Stati Uniti di essere un “onesto mediatore” in un interminabile “processo di pace” che semplicemente ha fatto guadagnare tempo a Israele consolidare l’occupazione.
La rabbia dei Palestinesi verso Israele e gli Stati Uniti è una miccia che brucia lentamente. Verrà fatta detonare nel momento  scelto da loro, non da Trump.
Invece, l’esitazione a Washington per la visita del vice-presidente, riflette la nuova realtà diplomatica incasinata che la Casa Bianca ha scatenato.
Pence era atteso qui per spianare la strada al piano di pace di Trump promesso da tempo e per mettere in evidenza la situazione critica dei Cristiani in Medio Oriente. La porta gli è stata ora chiusa fermamente in faccia su entrambi i fronti. I funzionari palestinesi hanno dichiarato un boicottaggi nei suoi riguardi, come hanno fatto i leader cristiani in Palestina e in Egitto.
Invece di cancellare la visita di Pence o di sfruttare l’attimo di tregua extra per cercare di ribaltare il danno, la ostinata amministrazione Trump ha segnalato che è ansiosa di causare altri guai.
Negato l’accesso ai funzionari palestinesi, il suo programma si concentrerà su Israele. In seguito a un precedente diplomatico stabilito dal suo capo in maggio, Pence è previsto che visiti il Muro del Pianto nella Città Vecchia di Gerusalemme occupata e immediatamente al di sotto, la spianta con la moschea Al-Aqsa.
La sua visita è stata tuttavia, è stata descritta come “ufficiale”, non privata e le sarà dato un simbolismo più serio, data la designazione espressa da Trump di Gerusalemme come capitale di Israele.
Per aggiungere il danno alla beffa, e contravvenendo alle dichiarazioni che Washington non determinerà in anticipo i confini di Gerusalemme divisa prima dei colloqui di pace, un anonimo alto funzionario statunitense ha dato alla visita di Pence un contesto ancora più preoccupante. Ha notato che non c’era nessuno scenario in cui gli Stati Uniti non consideravano che il Muro del Pianto finisse i mani israeliane.
Il cambiamento della politica statunitense riguardo a Israele, è stata una martellata ai tre pilastri principali che sostengono la causa della  condizione di essere stato della Palestina: l’Autorità Palestinese, l’Unione Europea e gli Stati Arabi.
Il maggior perdente è stato il Presidente palestinese Mahmoud Abbas. Washington gli ha strappato i vestiti da imperatore: ora è a capo di un governo palestinese in attesa che è improbabile che verrà mai unito a uno stato, fattibile o no.
Gli stati arabi che supponevano di essere la chiave di una strategia molto propagandata “dall’esterno –all’interno”, creando una struttura regionale per la pace, sono stati privati dell’unico argomento – Gerusalemme – che è interessa la maggior parte di loro.
L’Egitto si è dato da fare per aiutare Abbas nel fine settimana stendendo una bozza di risoluzione per l’ONU per annullare qualsiasi cambiamento di status per Gerusalemme. Un inevitabile verto degli Stati Uniti, ha reso, però, controversa, la mossa.
L’Europa che ha fatto la parte del “poliziotto buono” rispetto a quello prepotente americano, si è rivelata complice del comportamento sciagurato del suo socio.
La situazione difficile dell’Europa è sottolineata dalla sua retorica della pacificazione. Ha gridato a lungo ‘al lupo’, avvertendo che sarebbe presto arrivato un momento in cui non sarebbe stato più possibile una soluzione dei due stati, quando un’occupazione provvisoria si sarebbe trasformata in apartheid permanente.
Ora che il cuore di uno stato palestinese è stato pubblicamente divorato dl lupo, che cosa faranno l’Europa e Abbas?
I segnali sono che fingeranno che nulla è cambiato – anche soltanto per paura di che cosa potrebbe riempire il vuoto, se l’iniziativa di pacificazione si rivelasse una farsa inutile.
E’ però proprio la finzione di un processo di pace che ha tenuto i Palestinesi incatenati a un’illusione. Perpetuare una falsa speranza sulla condizione di stato non è di vantaggio per i Palestinesi; conserva una calma che aiuta Israele.
Questo è il motivo per cui la Casa Bianca ha accusato Abbas di aver abbandonato il dialogo la settimana scorsa. Soltanto uno stupido, però, continua a fare appello alla natura migliore di un delinquente sordo.
Ricade ora sull’Autorità Palestinese, sugli stati arabi e sull’Europa il peso di accettare la nuova realtà, e di affermare una politica indipendente dagli Stati Uniti.
Alcuni leader palestinesi, come la signora Haman Ashrawi, comprendono già questo. “La mossa di Trump è una nuova era,” ha detto la settimana scorsa. “Non si può tornare indietro.”
Gli obiettivi e le strategie palestinesi devono essere riesaminate. Cionondimeno, le pressioni per un ritorno alla faccenda della “pace” saranno intense, come al solito.
I Palestinesi comuni di Gerusalemme potrebbero essere i primi a segnalare la nuova direzione della lotta, una lotta che riconosce che uno stato palestinese è morto e sepolto.
In anni recenti in numero sempre maggiore hanno cominciato, dato che la legge israeliana gliene dà il diritto, a fare richiesta di avere la cittadinanza palestinese. Israele è stata evasiva per rimandare l’attuazione del suo impegno, anche se chiama Gerusalemme la sua “capitale unita”.
I Palestinesi dovranno far vergognare Israele, gli Stati Uniti e il mondo che osserva, adottando gli strumenti di una lotta anti-apartheid – di resistenza non violenta e di disobbedienza civile – per ottenere uguali diritti in un solo stato.
Al momento, le correnti sotterranee della rabbia palestinese turbinano principalmente
sotto la superficie, ma col tempo si alzeranno, e le conseguenze dell’azione di Trump diventeranno fin troppo evidenti.
Nella foto: la Moschea Al-Aqsa.
Una versione di questo articolo è apparsa per la prima volta sul quotidiano The National, di Abu Dhabi.
Jonathan Cook ha vinto il Premio Speciale  Martha Gellhorn per il Giornalismo. Tra i  suoi libri: “Israel and the Clash of Civilisations: Iraq, Iran and the Plan to Remake the Middle East” [ Israele e lo scontro di civiltà: Iraq, Iran e il piano per rifare il Medio Oriente] (Pluto Press) e Disappearing Palestine: Israel’s Experiments in Human Despair” [La Palestina che scompare: gli esperimenti di Israele di disperazione umana] (Zed Books).  Il suo nuovo sito web è: www.jonathan-cook.net.
Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo
www.znetitaly.org
Fonte: https://zcomm.org/znetarticle/insult-to-injury-for-the-palestinians
Originale: non indicato
Traduzione di Maria Chiara Starace
Traduzione © 2017 ZNET Italy – Licenza Creative Commons  CC BY NC-SA 3.0



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