Eric Salerno :È morto il processo di pace, lunga vita al processo di pace
Processo
di pace? Ma quale? Dove? Come? Il titolo su uno delle numerose analisi
sul riconoscimento di Gerusalemme come capitale d'Israele da parte del
presidente americano è categorico.
huffingtonpost.it
Processo di pace? Ma quale? Dove? Come?
Il titolo su uno delle numerose analisi sul riconoscimento di
Gerusalemme come capitale d'Israele da parte del presidente americano è
categorico. "Trump non ha ucciso il processo di pace, l'ha appena
dichiarato morto". Zvi Bar'el commentatore del quotidiano israeliano di
sinistra Haaretz, non ha dubbi.
E, paradossalmente, aggiunge, la mossa è insignificante. "Riconoscere
una città che non ha confini concordati e che non sarà tolta dal tavolo
negoziale e con un futuro che dovrà fare parte di un accordo tra le due
parti, è come riconoscere un pezzo di argilla come capitale d'Israele".
Allora le acque si calmeranno e il processo di pace, quello che Trump
dice di aver in mente, riprenderà? Probabilmente. Perché di sicuro
l'unica cosa che non è morta e sepolta è l'industria del processo di
pace. Quella che tiene in vita la speranza e ha consentito a Israele,
dai negoziati di Oslo in poi, a rendere sempre più difficile, se non
impossibile, una soluzione equa del conflitto tra israeliani e
palestinesi.
Sono
ormai anni che Abbas e Netanyahu non si incontrano nel quadro del
"processo di pace", ciò che oltre dieci anni fa, sul London Review of
Books, Henry Siegman, ex presidente del Congresso ebraico americano, definì
"l'inganno più spettacolare nella storia diplomatica moderna". Intorno
al quale e sua parte integrale è "l'industria del processo di pace" che
tiene occupati, scrive un altro analista del fenomeno, "legioni di
opinionisti, docenti, commentatori, finanziatori e organizzatori di
conferenze" le cui previsioni, ammonimenti, cartine e consigli riempiono
i giornali, siti dei blogger e onde radio".
Gli
accordi di Oslo dovevano essere la base di un negoziato che avrebbe
dovuto portare, nelle menti dei firmatari Arafat e Rabin e nel giro di
dieci anni, alla creazione di uno stato palestinese indipendente accanto
allo stato d'Israele. Le rispettive capitali sarebbero state a
Gerusalemme. Fino alla conclusione del negoziato, non certo facile, la
gestione del mondo palestinese nei territori occupati era stata
affidata, con un'autonomia limitata, all'Autorità nazionale palestinese.
Per Gershom Gorenberg, storico e giornalista israeliano, l'Anp "è il
mezzo duraturo attraverso il quale Israele delega il suo controllo sui
palestinesi nei territori occupati. I paesi donatori pagano". E l'Anp,
nonostante sia chiaro il blocco del dialogo, appoggia il "processo di
pace" perché garantisce la propria sopravvivenza. La comunità
internazionale versa nelle casse dell'Autorità nazionale palestinese
decine di milioni di dollari per mantenerla in piedi e investe in opere
pubbliche e altro che spesso viene distrutto nelle guerre periodiche
(come a Gaza) e demolito quando le autorità israeliane giudicano le
strutture "illegali", come a Gerusalemme Est, lungo il fiume giordano, e
in quella parte della Cisgiordania che molti leader israeliani meditano
di annettere ancora prima di tornare al tavolo delle trattative.
La
realtà è che il "processo di pace" ha consentito a Israele di aumentare
gli insediamenti, di rafforzare il suo controllo su Gerusalemme e della
strategica valle del Giordano. C'è chi ancora sogna in Cisgiordania uno
stato palestinese accanto a Israele; chi con ingenuità suggerisce uno
stato unico da condividere tra i due popoli; chi una specie di
federazione che consentirebbe a Israele di mantenere il controllo sui
palestinesi e dare un volto più umano all'occupazione. Diventa sempre
più evidente che senza forti (e improbabili) pressioni internazionali, i
dirigenti israeliani, a destra come a sinistra, continueranno a
considerare la Giordania l'unico "stato palestinese" che deve esistere
accanto allo "stato ebraico". L'altro giorno, Yehuda Shaul, uno dei capi
del movimento degli ex militari israeliani contro l'occupazione,
parlandomi del futuro, si è detto ottimista. "Succederà qualcosa di
sconvolgente e Israele sarà costretta a porre fine all'occupazione".
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