Brian K. Barber :I palestinesi a Gaza soffrono abbastanza senza essere diffamati come devianti sessuali e malati mentali
Opinion Palestinians in Gaza Suffer Enough Without Being Defamed as Sexual Deviants and Mentally Ill
- Trump, Gerusalemme e l’indifferenza araba verso la Palestina
- Per alcuni abitanti di Gaza che necessitano di cure mediche, l’attesa per un permesso di uscita porta alla morte
- Nella Striscia di Gaza vi sono timide speranze
- INTERVISTA. Ilan Pappe: come Israele ha trasformato la Palestina nella più grande prigione al mondo
- I palestinesi a Gaza soffrono già abbastanza senza dover essere anche diffamati come devianti sessuali e malati di mente.
Brian K. Barber e Yasser Abu Jamei
21 novembre, 2017,Haaretz,Palestine Square
L’intervista di Haaretz dell’11 novembre a uno psicologo che saltuariamente visita la Striscia di Gaza (I bambini di Gaza vivono all’inferno: Uno psicologo racconta di dilaganti abusi sessuali, droghe e disperazione.)
ritrae la società di Gaza come una comunità che ha completamente perso
le sue fondamenta morali – fino al punto che, afferma l’intervistato
Mohammed Mansour, dilagano le violenze sessuali e l’abuso di droghe e, a
tutti gli effetti, sono tutti malati di mente.
La nostra vasta e pluriennale esperienza come professionisti della salute mentale e ricercatori a Gaza è molto diversa.
In
sostanza, tutte le asserzioni fatte nell’articolo sulla popolazione di
Gaza nel suo complesso sono speculative, essendo basate o su nessuna
prova o semplicemente su impressioni, aneddoti o esempi di casi
dell’intervistato.
Questo
è vero non solo per le asserzioni enormemente esagerate di abuso
sessuale e di malattia mentale, ma anche per le seguenti affermazioni
fatte da Mansour che, in base alla nostra esperienza, crediamo,
fermamente, essere false:
– Che la comunità che si occupa di salute mentale a Gaza sia essa stessa complice dell’abuso sessuale;
– Che quell’abuso sia aumentato in modo misurabile dall’agosto di quest’anno;
– Che gli uomini sposati cerchino costantemente rapporti sessuali extraconiugali;
– Che i giovani uomini abusino sessualmente dei loro coetanei o dei bambini più piccoli per ottenerne il controllo;
– Che il noto abuso di tramadol aumenti la proporzione delle aggressioni sessuali;
–
Che tutte le convenzioni sociali a Gaza siano andate in pezzi, che non
ci si diverta, che Hamas sia l’unica barriera al collasso totale della
società (senza cui non ci sarebbe altro che crimine), e che a Gaza
ciascuno/a pensi soltanto a se stesso/a.
Nell’articolo
viene ammesso che non esiste una ricerca sistematica sull’abuso
sessuale a Gaza – il che rende ancora più curiosa la volontà di
descrivere e pubblicare tale disinformazione.
Tuttavia,
ignorata dall’articolo è l’attenta ricerca condotta da decenni su
campioni ampi e rappresentativi dei quotidiani abitanti di Gaza – alcuni
dei quali abbiamo noi stessi documentato – che ha dimostrato come,
malgrado condizioni sempre più terribili per la salute e la vita, la
stragrande maggioranza degli abitanti di Gaza non segnali alti livelli
di malattia mentale e come le relazioni coniugali e genitore-figlio
siano particolarmente solide.
Ignorati
anche nell’articolo sono gli effetti perniciosi della continua
occupazione, dell’assedio e delle limitazioni del movimento [da parte di
Israele] come fonti fondamentali della sofferenza che gli abitanti di
Gaza subiscono.
Sì,
gli abitanti di Gaza parlano della stretta striscia di terra in cui
vivono come di un “inferno”; sì, le condizioni economiche e di salute
sono terribili; sì, c’è frustrazione e disperazione rapidamente
crescente; e, sì, un numero crescente di giovani desidera ardentemente
uscire da Gaza per cercare migliori opportunità altrove.
Ma
descrivere Gaza come una società nel caos, disancorata dalla propria
cultura storicamente forte di resilienza collettiva e fermezza, e in cui
tutti cercano solo interessi personali, è semplicemente scorretto.
Almeno
tre valori fondamentali hanno guidato e continuano a guidare gli
abitanti di Gaza (e in generale i palestinesi): raggiungere il massimo
livello di istruzione possibile, formare delle famiglie, e creare mezzi
di sostentamento per sostenere quelle famiglie.
Non
ci sono prove del fatto che l’impegno dei palestinesi nei confronti di
questi valori sia diminuito, anche se le drastiche condizioni economiche
rendono sempre più difficile la realizzazione di questi valori, cosa
che causa profonda sofferenza soprattutto per i giovani di Gaza.
Tuttavia,
essi continuano a lottare per soddisfare il maggior numero possibile,
con i loro atteggiamenti caratteristici di “non c’è altra scelta che
continuare” e “un giorno raggiungeremo la piena felicità”.
In
effetti, gli abitanti di Gaza sono sopravvissuti a tutte le previsioni
che sarebbero crollati dopo ogni successiva battuta d’arresto nel corso
della loro vita. Così, dopo la guerra del 2008-9, si prevedeva che la
società di Gaza si sarebbe sgretolata, e ancora di più dopo la guerra
del 2014. Questo non è successo.
I
bambini ridono, giocano e sciamano verso la scuola. Le scuole – dalle
elementari alle università con laurea specialistica – traboccano di
studenti. Giovani donne e uomini cercano ogni opportunità per promuovere
la loro istruzione a Gaza e all’estero.
I
giovani di Gaza hanno caro il matrimonio come un obiettivo e aspirano
al giorno in cui potranno permettersi di costruire le loro famiglie. E
si arrabattano in tutti i modi per guadagnare denaro – comprese
innovative iniziative online – per sostenere le loro famiglie di origine
e quelle a venire.
Agricoltori
e pescatori lavorano ogni giorno sotto pesanti e minacciose
restrizioni. Innumerevoli organizzazioni della società civile, ONG,
strutture per la salute mentale e ospedali vanno avanti con il minimo di
risorse.
Le
famiglie si incontrano costantemente, osservano le feste, celebrano i
successi dei bambini, accolgono nuovi figli e lamentano le perdite.
Quando è possibile in un breve tempo libero, le famiglie vanno in
spiaggia a rilassarsi.
Queste
dinamiche sono evidenti a chiunque trascorra del tempo tra la
popolazione in generale, come fa uno degli autori di questo pezzo,
Yasser Abu Jamei, nel corso della sua vita quotidiana.
In
una visita di un mese a Gaza nel maggio di quest’anno, un coautore di
questo articolo, Brian Barber, per esempio, si è ripetutamente imbattuto
in celebrazioni di ogni tipo: cerimonie di laurea, consegne di
onorificenze accademiche a studenti meritevoli, riconoscimenti per vite
spese nel servizio pubblico a Gaza, e così via. La visita ha compreso
anche conversazioni interminabili nei salotti e nelle sale da pranzo
delle famiglie, dentro e fuori i campi profughi, con genitori e loro
figli delle scuole superiori, impazienti e ansiosi per i rigorosi
imminenti esami tawjihi [di maturità] di ammissione al college. Ha
compreso la convivenza con le famiglie e l’esperienza, sì, della
frustrazione, ma anche dei modi creativi con cui le famiglie affrontano
blackout di energia di più di 20 ore: con una gamma di dispositivi
pronti per le poche ore di energia, quando arrivano, (torce elettriche,
telefoni cellulari, carica-batterie di tutti i tipi), svegliandosi a
qualsiasi ora per fare il bucato, stirare e fare il bagno, e tirare le
corde di prolunga lungo i vicoli dei campi profughi per condividere
l’elettricità con i vicini che non hanno quei dispositivi di backup. Ha
compreso anche accompagnare per giorni il mukhtar (sindaco tribale) di
uno dei più grandi clan di Gaza appena trovava il tempo, nel suo fitto
programma di preside e studente di dottorato, per affrontare i bisogni
della sua gente, a risolvere conflitti di ogni tipo facendo incontrare
le parti e lavorando senza problemi con la polizia su questioni più
serie. Questa è la Gaza che conosciamo come padre e psichiatra di Gaza e
come psicologo sociale americano che ha trascorso molto tempo ogni anno
a Gaza per 23 anni. Non stiamo cercando di nascondere le reali
difficoltà incontrate dalla popolazione de facto incatenata di Gaza, ma
non vogliamo neanche una rappresentazione della vita a Gaza priva di
fondamento, del genere Hobbes-incontra-Il Signore della Mosche, per guadagnarsi una fama che non merita.
Questo articolo è stato pubblicato contemporaneamente su Haaretz e Palestine Square.
Informazioni
su Yasser Abu Jamei, MD, MSc è il direttore generale del programma di
salute mentale della comunità di Gaza, una ONG fondata nel 1993 dal
compianto Eyad El-Sarraj. Con i suoi tre centri comunitari, è
considerato uno dei principali fornitori di servizi sanitari nella
Striscia di Gaza.
Brian
K. Barber, PhD è Fellow di International Security Program presso New
America e Senior Fellow presso l’Institute for Palestine Studies,
entrambi a Washington, D.C., e Professore Emerito, Università del
Tennessee. Twitter: @briankbarber
(Traduzione di Angelo Stefanini )
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