I deprimenti risultati degli appuntamenti
a Gaza – Copertina Uno sposo fa un selfie con la sua sposa durante un
matrimonio di massa finanziato per coppie palestinesi a Rafah nel sud
della Striscia di Gaza. 8 settembre 2017 – Credit:IBRAHEEM ABU MUSTAFA /
REUTERS
Mohammed N. – 27 settembre 2017
La striscia di Gaza sotto assedio ha
molte storie nascoste a cui i media non possono accedere in una maniera
adeguata. Quelle storie sono popolate di individui che non rivelano i
loro nomi e i particolari a stranieri, per orgoglio o riserbo o
vergogna. Ogni storia ha i suoi particolari scioccanti e sorprendenti.
Devono essere raccontate in modo che un pubblico più ampio possa
cominciare a capire, solo un po’ più tangibilmente e personalmente, cosa
significa vivere nell’enclave.
A Gaza ci innamoriamo anche noi.
A volte ci si innamora di una cugina, di un’amica oppure di una studentessa.
Aveva appena 17 anni quando è venuta al
centro educativo dove ero volontariato come insegnante di inglese. Il
dirigente scolastico chiese alla madre di scegliere l’insegnante che
voleva educasse sua figlia. Ma la figlia è intervenuta. Ha indicato
direttamente me. Sapevo che sarebbe stato l’inizio di una storia
d’amore.
Nei successivi otto mesi lei e io poi
ci siamo innamorati. La sua famiglia sapeva, ma la mia no perché sapevo
che la mia famiglia non era finanziariamente pronta per un matrimonio.
Ho subito capito l’errore che avevo commesso, consentendo a un
attaccamento così profondo di crescere.
Sono il figlio primogenito dei miei
genitori. Vogliono che io mi sposi per poter godere di essere nonni, ma
sanno che non ho un appartamento in cui vivere o uno stipendio stabile
che permetta a me, mia moglie e ai nostri figli di sopravvivere. Mio
padre è disoccupato dal 2005 quando, insieme a migliaia di altri gazawi,
non ha più potuto lavorare in Israele dopo il suo ritiro. È diventato
uno di quell’80% di gazawi che dipende dall’assistenza sociale e dagli
aiuti internazionali.
I genitori della mia ragazza mi amavano
così tanto che dicevano di non poter vivere senza di me. “Se mai ci
lascerai, ucciderai le nostre anime” mi disse una volta la madre. Le sue
parole mi fecero piangere per ore, perché già sapevo che non sarebbe
mai successo che io sposassi sua figlia.
Bambini
palestinesi fanno i loro compiti durante un’interruzione di corrente in
una parte impoverita di Gaza City, 11 settembre 2017 – Credit: Mahmud
Hams/ AFP
Mi sentivo in trappola tra Scilla e
Cariddi. Avevo paura di prendere la cosa realisticamente e dire alla sua
famiglia che difficoltà finanziarie mi impedivano di sposare la figlia e
mi impauriva anche l’idea di farmi promettere dalla ragazza e dalla sua
famiglia di aspettarmi – per migliorare la mia situazione – perché non
volevo aspettare anni.
Tra paura e speranza, il rapporto è
andato avanti per circa due anni, e aveva quasi 20 anni quando sua madre
mi ha chiesto di incontrarmi da solo. Sapevo di cosa sua madre voleva
parlare. La incontrai in un ristorante popolare per famiglie a Gaza, e
lei cominciò a parlare della cultura sociale di Gaza e di come le
persone considerano le giovani donne quando passano l’età di 20 anni.
A Gaza, e nella maggior parte del mondo
arabo, le famiglie considerano le ragazze oltre i 20 anni come zitelle
senza speranza. Il che significa che molte non hanno alcuna possibilità
di sposarsi, per vari motivi. C’è un “surplus” di queste giovani donne
single perché tanti giovani emigrano in Occidente in cerca di lavoro,
perché gli uomini perdono in maniera spropositata la loro vita in
combattimento e perché gli uomini non hanno i mezzi finanziari per
sposarsi.
“Sai che mia figlia presto avrà 20 anni
e non so ancora se vuoi sposarla”. La madre iniziò il discorso che
aveva preparato. “Sai che possiamo aspettarti per anni, ma la tua
famiglia dovrebbe sapere e mi servono garanzie che tu la sposerai!”
Bambini palestinesi giocano sulla spiaggia di Gaza City, 21 settembre2017 – Mohammed Abed / AFP
Era suo diritto dirlo, e quel giorno mi
sono sentito la persona più colpevole e prepotente sulla terra. Capii
quanto la sua famiglia fosse attaccata a me e quanto io avessi bisogno
di essere uno di loro. Non potei dare la mia risposta lì sul momento.
Chiesi a sua madre di lasciarmi qualche giorno per pensare.
Le difficili condizioni finanziarie di
Gaza, tra cui una crisi occupazionale che supera il 45% – una delle più
alte al mondo – soffocano le possibiltà per centinaia di matrimoni di
avere luogo. Questo ha portato alla proliferazione di organizzazioni che
facilitano i matrimoni. Il loro ruolo principale è aiutare le persone
che non hanno i mezzi finanziari per sposarsi. Considerato che ogni
matrimonio nella Striscia di Gaza costa almeno 8000 dollari, queste
organizzazioni offrono agli sposi la possibilità di pagare in comode
rate nell’arco di due o tre anni.
Pensai di andare a registrarmi presso
una di queste organizzazioni, ma ero molto titubante. Sapevo che tutti
nel quartiere avrebbero saputo che mi ero sposato grazie a loro, e che
questo è considerato una vergogna. Io non voglio che nessuno di parli
male di me. Inoltre, non avrei potuto rimborsare le rate, e sarei così
caduto in una pericolosa trappola finanziaria; è probabile che per
inadempimento sarei anche potuto andare in prigione. Così sradicai
l’idea del matrimonio dalla mia mente.
Chiamai la madre e le dissi che non
avrei lasciato la figlia o lei ad aspettarmi. Non sarei stato in grado
di sposarmi per anni. Lei ha pianto per telefono tante volte, ma sento
ancora di avere fatto la cosa giusta.
È stato due anni fa. Fino ad ora la mia
ex fidanzata ha rifiutato ogni proposta di matrimonio che le è stata
suggerita. Sua madre mi ha chiamato una volta e ha detto che sua figlia
stava soffrendo di difficoltà psicologiche. Quel giorno ho capito cosa
significa vivere nella Striscia di Gaza.
l nome dell’autore è stato cambiato per proteggere la sua identità.
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Questa foto è ' stata scattata a Lesbo e la signora che, insieme a due amiche, tiene in braccio un neonato a cui sta dando il biberon, si chiama Emilia Kamvisi e ha 85 anni. Quel bambino non è suo nipote o il figlio di qualche vicina di casa. Lei non sa nemmeno esattamente dove sia la Siria, il paese in cui è nato e nel quale probabilmente non potrà crescere, ma è sbarcato lì, sulla sua isola, qualche giorno prima. E lei sta facendo quello che ogni essere umano degno di questo nome dovrebbe fare: lo sfama, lo accudisce, lo protegge . Qualcuno ha proposto Emilia per il Premio Nobel per la pace. Lei ha risposto: "Cosa ho fatto? Non ho fatto niente". (foto da thetoc.gr)
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