Ugo Tramballi Kurdistan e l'alleato che non ti aspetti: Israele | ISPI


Non ci sono amici né nemici dei curdi che abbiano gioito o semplicemente mostrato una moderata approvazione quando Masoud Barzani ha annunciato il referendum sull’indipedenza. Nessuno. Evidentemente non i paesi della regione che all’interno delle loro frontiere portano il ”fardello” di un Kurdistan: Iran, Iraq, Turchia e Siria. Ma neanche gli Stati Uniti e la Russia che avevano aiutato i peshmerga a combattere l’Isis.
Tutti tranne Israele. Questa ostinata solitudine non è il riconoscimento al coraggio dei peshmerga che sono stati i primi a resistere e fermare l’ondata dell’Isis, facendolo per molto tempo da soli. La loro tenacia è simile a quella dei soldati israeliani, ma non è nemmeno per questo. Non è la prima volta che Israele fa scelte in solitudine e spesso apparentemente di retroguardia. Sostenne fino all’ultimo il Sudafrica dell’Apartheid e ha difeso oltre il dovuto Hosni Mubarak. Non per simpatia ideologica ma perché il primo aveva aiutato gli israeliani a diventare una piccola potenza nucleare e il secondo garantiva un’alleanza strategica per la sicurezza d’Israele.
A prezzo dell’impopolarità internazionale, le scelte sono sempre state dettate dalla realpolitik, non dai principi democratici della società israeliana. Il sostegno ai curdi potrebbe sfuggire a questa regola: i confini di un improbabile stato curdo sarebbero lontani da quelli dello stato ebraico. Invece no, è ancora realpolitik.
Le aspirazioni d’indipendenza o di autonomia dei curdi, il massimalismo autolesionista in politica che assomiglia a quello dei palestinesi ma la determinazione e la compattezza delle loro milizie in combattimento, sono una garanzia per Israele: la convinzione cioè che i curdi saranno un importante elemento di disturbo fra Turchia, Siria, Iraq e Iran.
In quella regione le cose non sono andate come prevedevano gli israeliani. “La Siria non sarà più quella che abbiamo conosciuto fino ad ora”, mi disse a Gerusalemme una fonte dell’intelligence israeliana, un anno dopo l’inizio della guerra civile. “Il suo territorio sarà smembrato e diviso in cantoni”. La Siria, in sostanza, non era più percepita come la minaccia che era stata nei 60 anni precedenti. La nuova declinazione dei nemici in base alla pericolosità, era aperta dall’Iran. Seguivano l’Hezbollah libanese e Hamas. Solo a quel punto veniva “l’arcipelago islamista”.
Isis e al-Qaeda non erano percepiti come una minaccia temporalmente visibile. Anzi, erano un’opportunità. Fra Israele e loro si creò una collaborazione implicita e mai definita. Arrivati sul Golan siriano, gli islamisti non avevano mai sparato verso Israele. Raramente quell’“arcipelago” aveva minacciato di conquistare Gerusalemme o di “ributtare gli ebrei a mare”. Le loro priorità erano gli sciiti iraniani e libanesi, la conquista dei luoghi santi dell’Islam e l’eliminazione della casa reale degli al-Saud. Perfino la riconquista della Spagna moresca veniva prima della causa palestinese.
Ora lo stato islamico non esiste quasi più e il vuoto sta creando realtà nuove. O forse sta solo ripristinando quelle vecchie, precedenti al caos di questi anni. Il regime siriano sta vincendo la guerra civile: forse non tornerà in possesso di tutti i territori ma il potere centrale di Damasco si sta riconsolidando. La Siria è diventata un cliente dell’Iran, che al momento è il grande vincitore della partita regionale. Anche Hezbollah si è consolidato: ora è una forza imprescindibile della geopolitica mediorientale.
Oggi la fonte della sicurezza a Gerusalemme che l’analista israeliano Ben Caspit ha sentito per conto di Al-Monitor, descrivono il sorgere di una realtà molto diversa da quella di pochi anni fa: “Questa volta ci sarà una Siria connessa all’Iraq che sarà connesso all’Iran ed entrambi saranno connessi al Libano di Hassan Nasrallah, il segretario generale di Hezbollah. Se in passato il dittatore siriano era indipendente ed era impossibile per lui affrontare da solo Israele, presto potremmo scoprire che la Siria à diventata un protettorato iraniano”.
In altre parole, non è impossibile che sulla scena mediorientale torni il più antico dei suoi conflitti: quello arabo-israeliano più gli iraniani. Per questo i curdi diventano importanti nella visione strategica israeliana. In qualche modo prendono il posto e svolgono il ruolo che aveva l’Isis: disturbare i nemici tradizionali dello stato ebraico e possibilmente vanificare la minaccia che sta rimontando alle sue porte.

Ugo Tramballi, Il Sole 24 Ore

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