L’Egitto torna in campo in Palestina




L’Egitto torna in campo in Palestina. Lo fa partendo da Gaza e da Hamas per lanciare un segnale all’Iran e avere una carta in più da giocare nei confronti di Israele e delle petromonarchie del Golfo. Come è avvenuto in Libia, il presidente…
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Se e quando i palestinesi torneranno a votare per eleggere il successore di Abu Mazen alla presidenza dell’Anp, Haniyeh sarà il candidato di al-Sisi. Con un occhio a Israele, all’Iran e alle petromonarchie del Golfo.
Come è avvenuto in Libia, il presidente e generale Abd al-Fattah al-Sisi ha scelto la figura su cui puntare: sul suolo libico il generale Khalifa Haftar, l’uomo forte della Cirenaica. Nella Striscia, la scelta è caduta su Ismail Haniyeh, ex primo ministro dal 2006 al 2014 dell’Autorità nazionale palestinese (Anp) e attuale capo dell’Ufficio politico di Hamas. Una scelta che suona come un’investitura. Se e quando i palestinesi torneranno a votare per eleggere il successore di Abu Mazen alla presidenza dell’Anp, Haniyeh sarà il candidato del Cairo. Nei giorni scorsi, lo stesso Haniyeh si è recato in Egitto per “intensi colloqui” con il capo dell’intelligence egiziana, il generale Khaled Fawzy.

Al-Sisi non ha perdonato il sostegno dato da Hamas ai Fratelli musulmani egiziani e al deposto presidente Mohamed Morsi. Dopo il colpo di Stato perpetuato nel luglio 2013, la sua rappresaglia non si è fatta attendere. Dopo l’arresto, tra i capi d’imputazione contro Morsi uno dei più gravi e passibile di pena di morte è stato quello di avere attentato alla sicurezza dell’Egitto in combutta con un nemico esterno. Quel nemico era Hamas.

Alla “decapitazione” politica della Fratellanza, che si è trasformata nell’incarcerazione dei leader di questo movimento islamico, sono seguite misure concrete contro Hamas: la fine di ogni sostegno politico, economico, militare e soprattutto la chiusura dei tunnel che da Gaza arrivavano in Egitto passando sotto il valico di Rafah.

Per Hamas è stato un colpo durissimo. Quei tunnel alimentavano l’economia della Striscia oltre a rappresentare, insieme al mare, una delle vie di transito per le armi destinate ai miliziani delle Brigate Ezzedin al-Qassam, il braccio militare del movimento islamico palestinese. Tuttavia, si sa che in Medio Oriente le alleanze sono volubili e il nemico di ieri può trasformarsi nell’alleato di oggi. I matrimoni qui non sono mai d’amore, sempre d’interesse.

Sullo scacchiere mediorientale, una delle priorità per Il Cairo è contrastare l’egemonia sciita costruitasi sull’asse Baghdad-Damasco-Beirut e coinvolgente Gaza. L’intelligence egiziana era a conoscenza dei rifornimenti di armi destinati da Teheran a Hamas e del tentativo di ricucire l’alleanza operativa tra Hamas e i fidati Hezbollah libanesi. Nasce da qui il cambio di strategia deciso da al-Sisi per recuperare un rapporto con il gruppo islamico in funzione di contenimento della penetrazione sciita in Palestina. Al tempo stesso, Hamas ha un vitale bisogno di riaprire i canali sotterranei con l’Egitto per alleggerire la morsa dell’embargo imposto da Israele, che dura ormai da 12 anni. Vitale, perché senza il sostegno egiziano Hamas non riesce più ad alimentare quel welfare che ha garantito il proprio radicamento nella società palestinese.

Il supporto del Cairo rappresenta una duplice assicurazione sulla vita del movimento. La prima sul piano militare, per far fronte alla penetrazione di miliziani salafiti provenienti dal Sinai. La seconda sul piano sociale, perché gli aiuti veicolati dall’Egitto e sborsati da Arabia Saudita e Qatar sono essenziali per far fronte all’emergenza elettrica che da mesi sconvolge i due milioni di abitanti della Striscia e per rafforzare le esigue casse di Hamas.

Al-Sisi vuole essere lo sponsor della costruzione di un governo di riconciliazione tra Hamas e al-Fatah, il movimento di cui Abu Mazen è presidente. Un impegno che Haniyeh ha assunto al Cairo e che ora si prepara a gestire. La novità è l’approccio che vuole imprimere alla questione palestinese, cercando di rappresentare un ponte tra le correnti più radicali e quelle considerate più moderate. “Questa è una conferma che Hamas è rinnovabile – ha rimarcato in proposito il portavoce del movimento, Fawzi Barhoum – speriamo che la prossima fase con Haniyeh porti a una riconciliazione sul piano interno”.

Haniyeh è chiamato inoltre ad avviare relazioni più distese con l’Egitto. “Se il leader politico di Hamas è dentro Gaza, avrà più conoscenze sulla situazione della popolazione, del resto ogni uomo conosce meglio il proprio ambiente; se una persona vive fuori, non parlerà correttamente delle preoccupazioni del popolo, perché non le sentirà vicine e necessarie”, ha aggiunto Barhoum. L’elezione di Haniyeh, avvenuta il 6 maggio, ha rappresentato la vittoria dell’ala “pragmatica” del movimento su quella “militarista” che aveva portato a capo di Hamas Yahya al-Sinwar, comandante delle brigate al-Qassam.

È politicamente rilevante che l’elezione di Haniyeh sia stata preceduta di qualche giorno da un nuovo programma strategico contenente delle novità riguardo ai confini dello Stato palestinese. Nel documento in questione Hamas ha formalmente accettato per la prima volta l’idea che i confini della Palestina potessero essere quelli del 1967, precedenti alla guerra dei Sei Giorni vinta da Israele e persa da Siria, Iraq e Giordania. Si tratta di un cambio di rotta importante perché fino a questo momento Hamas ha sempre sostenuto che i confini palestinesi dovessero ricalcare quelli stabiliti dall’Onu nel 1947, molto più estesi.

Il movimento islamico, che non si spinge a riconoscere lo Stato d’Israele né accetta esplicitamente la cosiddetta soluzione “dei due Stati”, ha aggiunto che non cercherà di proseguire una guerra indiscriminata contro la popolazione ebraica ma concentrerà i suoi sforzi solo contro il sionismo, ossia quel movimento che ha come obiettivo la ricostruzione in Palestina di uno Stato ebraico.

La concessione più significativa fatta dal documento è contenuta nel seguente passaggio: “[Hamas] considera l’istituzione di uno Stato palestinese indipendente e sovrana come una formula di consenso nazionale”. In più, Gerusalemme è segnata come capitale lungo le linee del 4 giugno 1967 ed è previsto il ritorno dei profughi alle loro case d’origine. Il documento è il risultato di anni di discussioni tra le varie fazioni di Hamas ed è visto da diversi analisti come un tentativo da parte del gruppo di adottare un approccio più concreto e meno intransigente nei confronti di Israele.

Un approccio di cui Haniyeh è espressione e al-Sisi il garante, come e più di quanto sia stato l’”ultimo faraone” Hosni Mubarak.

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