Bernie Sanders . costruire una umanità comune





24 settembre 2017
Permettete che cominci ringraziando il College di Westminster, che ogni anno invita dei leader politici per discutere l’importante argomento della politica estera e del ruolo dell’America nel mondo. Sono onorato di essere qui oggi e vi ringrazio tantissimo per l’invito a parlare qui.
Uno dei motivi per cui ho l’ho accettato, è che credo fortemente che non soltanto abbiamo bisogno di iniziare un dibattito più vigoroso sulla politica estera, ma abbiamo anche la necessità di ampliare la nostra comprensione di ciò che è la politica estera.
Permettetemi, quindi, di chiarire: la politica estera è direttamente in relazione con la politica militare e ha totalmente a che fare con quasi settemila giovani americani uccisi in Iraq e in Afghanistan e con diecine di migliaia che tornano a casa feriti nel corpo e nello spirito a causa di una guerra che non avremmo mai dovuto cominciare.
Questa è la politica estera. E la politica estera vuol dire centinaia di migliaia di persone in Iraq e in Afghanistan che muoiono nella stessa guerra.
La politica estera riguarda le priorità di bilancio del governo degli Stati Uniti. In un periodo in cui spendiamo già di più per la difesa che le successive 12 nazioni messe insieme, la politica estera riguarda l’autorizzazione di un bilancio per la difesa c
di circa 700 miliardi, compreso un aumento di 50 miliardi approvato proprio la settimana scorsa.
Nel frattempo, all’ora esatta in cui il Presidente e molti dei colleghi Repubblicani
vogliono aumentare notevolmente le spese militari, vogliono eliminare  32 milioni di Americani dalla assicurazione sulla salute che attualmente hanno, perché, presumibilmente, sono preoccupati del deficit di bilancio. Mentre stanno aumentando di molto le spese militari, vogliono anche tagliare le spese per l’istruzione, la protezione ambientale e per le necessità dei bambini e degli anziani.
La politica estera è, perciò, ricordare ciò che Dwight D. Eisenhower ha detto quando ha lasciato l’incarico: “Nei consigli di governo, dobbiamo guardarci dall’ottenimento di influenza immotivata, sia cercata che non cercata, del complesso militare industriale. Il potenziale per il disastrosa aumento del potere malriposto esiste e persisterà.”
Ci ha anche ricordato che: “Ogni arma che viene fabbricata, ogni nave da guerra che viene varata, ogni razzo che viene sparato, significa, in ultima istanza, un furto a coloro che hanno fame e che non vengono sfamati, a coloro che hanno freddo e che non vengono vestiti. Questo mondo in armi non spende denaro soltanto. Spende il sudore dei lavoratori, il genio dei suoi scienziati, le speranze dei suoi bambini. Il costo di un moderno bombardiere pesante è questo: una moderna scuola costruita di mattoni in 30 città. Sono due centrali elettriche, ognuna delle quali serve una città di 60.000 abitanti. Sono due ospedali forniti di tutto. Sono circa 50 miglia di autostrada di cemento…”
Quello che Eisenhower ha detto 50 anni fa, è anche più vero oggi.
La politica estera significa se continuiamo a sostenere i valori di libertà, democrazia e giustizia, valori che sono stati un raggio di speranza per le persone in tutto il mondo oppure se appoggiamo regimi non democratici, repressivi che torturano, imprigionano e negano i diritti fondamentali ai loro cittadini.
Quello che significa anche la politica estera, è che se presenteremo le virtù della democrazia e della giustizia all’estero, e se saremo presi sul serio, è necessario che mettiamo in pratica questi valori qui in patria. Questo significa continuare la lotta per porre fine al razzismo, al sessismo, alla xenofobia e all’omofobia qui negli Stati Uniti e a chiarire che quando le persone in America dimostrano sulle nostre strade come neo-nazisti o suprematisti bianchi, non abbiamo alcuna ambiguità nel condannare ogni cosa per cui si battono. Non ci sono due lati di quel problema.
La politica estera non è soltanto collegata con le faccende militari, è direttamente connessa all’economia. La politica estera deve tenere conto il vergognoso reddito e la disparità di ricchezza che esistono globalmente e nel nostro paese. Questo pianeta non sarà sicuro o in pace fino a quando così poche persone hanno così tanto e così tante hanno così poco e quando avanziamo giorno dopo giorno verso una  forma oligarchica di società dove un piccolo numero di interessi speciali straordinariamente potenti esercitano un’enorme influenza sulla vita economica e politica del mondo.
Non c’è nessuna giustificazione morale o economica per le sei persone più ricche del mondo che possiedono tanta ricchezza quanto la  metà inferiore della popolazione mondiale – 3,7 miliardi di persone. Non c’è giustificazione per l’incredibile potere e dominio che Wall Street, le gigantesche aziende multinazionali e le istituzioni finanziarie internazionali hanno sugli affari degli stati sovrani in tutto il mondo.
In un periodo in cui il cambiamento del clima sta causando problemi devastanti in America e in tutto il mondo, la politica estera significa se lavoriamo con la comunità internazionale – con la Cina, la Russia, l’India e i paesi di tutto il mondo – per trasformare i nostri sistemi energetici    dai combustibili fossili e all’energia sostenibile. Una politica estera sensata comprende che cambiamento del clima è una minaccia reale per ogni paese della terra, che non è una bufala e che nessun paese da solo può combatterla efficacemente. E’ un problema per l’intera comunità internazionale e un problema che gli Stati Uniti dovrebbero  fare da guida,  non ignorare o negare.
Secondo me abbiamo bisogno di considerare la politica estera non soltanto come la crisi del giorno. Questo è importante, ma ci serve una visione più ampia.
Quasi 70 anni fa, l’ex Primo Ministro britannico Winston Churchill era in piedi su questo palco e ha tenuto lo storico discorso della “Cortina di Ferro” in cui inserì una concezione degli affari del mondo che è durata in tutto il 20° secolo, fino al crollo dell’Unione Sovietica. In quel discorso, ha definito il suo concetto strategico: “nulla di meno che la sicurezza e il benessere, la libertà e il progresso di tutte le case e le famiglie di tutti gli uomini e le donne in tutte le terre.”
“Per dare sicurezza a queste innumerevoli case,” ha detto, “esse devono essere protette dai due giganteschi predatori: la guerra e la tirannia.”
Come affrontiamo oggi questa sfida? In che modo combattiamo per la “libertà” e il “progresso” di cui Churchill parlava nel 1946? In un periodo di tecnologia e di ricchezza che esplodono, come passiamo da un mondo di guerra, di terrorismo e massicci livelli di povertà in un mondo di pace e di sicurezza economica per tutti? Come avanziamo verso una comunità globale in cui le persone hanno le occupazioni decenti, il cibo, l’acqua pulita, l’istruzione, l’assistenza sanitaria di cui hanno bisogno? In effetti questi non sono problemi facili da trattare, ma sono domande che non possiamo permetterci di ignorare.
All’inizio, penso che sia importante ammettere che il mondo di oggi è molto, molto
Diverso da quelli di Winston Churchill del 1946. Allora avevamo di fronte una superpotenza avversaria con un’enorme esercito permanente, con un arsenale di armi nucleari, con alleati in tutto il mondo e con mire espansionistiche. Oggi l’Unione Sovietica non esiste più.
Oggi affrontiamo minacce di un tipo diverso. Non dimenticheremo mai l’11 Settembre. Siamo al corrente dei terribili attacchi che hanno avuto luogo in capitali di tutto il mondo. Siamo più che consapevoli della brutalità di ISIS, al-Qaida e di gruppi analoghi.
Ora ci troviamo davanti alla minaccia di questi gruppi che ottengono armi di distruzione di massa; impedire questo deve essere una priorità.
In anni recenti ci troviamo sempre di più di fronte alla dittatura isolata della Corea del Nord che sta facendo rapidi progressi riguardo agli armamenti nucleari e ai missili balistici intercontinentali.
Sì, affrontiamo minacce reali e molto gravi per la nostra sicurezza, delle quali discuterò, ma sono molto diverse da quelle che abbiamo visto in passato e la nostra reazione deve essere ugualmente diversa.
Prima di parlare di alcune di queste altre minacce, lasciate che dica alcune parole su una sfida molto insidiosa che mina la nostra capacità di affrontare queste altre crisi, e che potrebbe davvero minare proprio il nostro modo di vivere.
Una grande preoccupazione che ho oggi è che molti nel nostro paese stanno perdendo la fede nel nostro comune futuro e nei nostri valori democratici.
Fin troppe delle nostre  persone, qui negli Stati Uniti e per la gente di tutto il mondo, le promesse di auto-governo dal popolo, per il popolo e del popolo, non sono state mantenute. E la gente sta perdendo la fiducia.
Negli Stati Uniti e in altri paesi una maggioranza di persone lavorano per più ore e per salari più bassi di quanto erano soliti fare. Vedono la classe dei ricchi che si compra le elezioni, e vedono un’elite politica ed economica che diventa più ricca, anche se il futuro dei loro figli diventa più difficile.
E quindi, quando parliamo di politica estera e della nostra fede nella democrazia, proprio in cima alla nostra lista di preoccupazioni c’è la necessità di rivitalizzare la democrazia americana per assicurare che le decisioni governative riflettano gli interessi di una maggioranza della nostra gente e non soltanto dei pochi – indipendentemente che questi siano Wall Street, il complesso militare-industriale o l’industria dei combustibili fossili. Non possiamo promuovere la democrazia all’estero in maniera convincente se non la viviamo fortemente qui in patria.
Forse perché sono del piccolo stato del Vermont, uno stato che è orgoglioso dei suoi consigli cittadini e sulla democrazia di base, sono fortemente d’accordo con Winston Churchill quando dichiarò la sua convinzione che “la democrazia è la peggiore forma di governo, al di fuori di tutte le altre forme.”
Sia in Europa che negli Stati Uniti l’ordine internazionale che il nostro paese ha contribuito a istituire negli scorsi 70 anni, un ordine che ha dato grande enfasi alla democrazia e ai diritti umani e che ha incentivato un maggior sviluppo commerciale ed economico, sta subendo un grosso stress. Molti europei stanno mettendo in dubbio il valore dell’Unione Europea. Molti Americani stanno mettendo in dubbio il valore delle Nazioni Unite, dell’alleanza transatlantica e di molte organizzazioni multilaterali.
Vediamo anche un aumento dell’autoritarismo e dell’estremismo di destra – sia interno che straniero – che indebolisce ulteriormente questo ordine sfruttando ed amplificando risentimenti, alimentando l’intolleranza e fomentando gli odi etnici e razziali tre coloro che, nelle nostre società, stanno lottando.
Abbiamo visto questo tentativo anti-democratico aver luogo nelle elezioni del 2016, proprio qui negli Stati Uniti, dove ora sappiamo che il governo russo era impegnato in uno sforzo massiccio per indebolire una delle nostre forze più grandi: l’integrità delle nostre elezioni, e la nostra fede nella nostra democrazia.
A proposito, ho trovato incredibile che quando il Presidente degli Stati Uniti lunedì ha parlato alle Nazioni Unite, non ha neanche citato quella indecenza.
Ebbene, io ne parlerò. Oggi dico al Signor Putin: non le permetteremo di minare la democrazia americana o le democrazie in tutto il mondo. Infatti il nostro obiettivo non è di rafforzare la democrazia americana, ma di operare in solidarietà con i sostenitori della democrazia in tutto il globo, compresa la Russia. Nella lotta delle democrazia contro l’autoritarismo, noi abbiamo intenzione di vincere.
Quando parliamo di politica estera, è chiaro che ci sono alcuni che credono che gli Stati Uniti sarebbero meglio tutelati ritirandosi dalla comunità globale. Non sono d’accordo. In quanto nazione più ricca e più potente della terra, dobbiamo aiutare a condurre la lotta per difendere ed espandere un ordine internazionale basato su regole in cui la legge, e non il potere, fa la cosa giusta.
Dobbiamo offrire alla gente la visione che un giorno, forse non durante la nostra esistenza, ma un giorno nel futuro, gli esseri umani di questo pianeta vivranno in un mondo in cui i conflitti internazionali saranno risolti pacificamente, non con omicidi di massa.
Che cosa tragica è che oggi, mentre centinaia di milioni di persone vivono in una povertà terribile, i mercanti di armi del mondo diventano sempre più ricchi dato che i governo spendono trilioni di dollari per le armi di distruzione.
Non sono ingenuo o incurante della storia. Molti dei conflitti che infestano il nostro mondo, sono di lunga data e complessi. Non dobbiamo, però, mai perdere la nostra visione di un mondo in cui, per citare il Profeta Isaia, “essi trasformeranno le loro spade in vomeri d’aratro,  e le loro lance, in falci; una nazione non alzerà più la spada contro un’altra, e non impareranno più la guerra.”
Una delle più importanti organizzazioni che promuovono una visione di un mondo diverso, sono le Nazioni Unite, la ex First Lady Eleanor Roosevelt, che aveva contribuito a creare l’ONU, la chiamava “la nostra più grande speranza per la pace futura. Da soli non possiamo mantenere la pace del mondo, ma collaborando con gli altri dobbiamo ottenere questa sicurezza così tanto attesa.”
E’ diventato di moda “stroncare” l’Unione Europea. Certo, l’Unione Europea deve essere riformata. Può essere inefficace, burocratica, troppo lenta o riluttante ad agire, anche davanti ad atrocità di massa, come vediamo proprio adesso in Siria. Vedere, però, soltanto le sue debolezze vuol dire non notare il lavoro enormemente importante che l’Unione Europea fa nel promuovere la salute globale, nell’aiutare i rifugiati, nel monitorare le elezioni e nel fare missioni internazionali di mantenimento della pace, oltra ad altre cose. Tutte queste attività contribuiscono a una riduzione dei conflitti, a guerre cui non si deve porre fine perché non cominciano mai.
Alla fin fine, è ovvio che ha molto più senso creare un forum in cui i paesi possono discutere dei problemi che li preoccupano, trovare compromessi e accordi. Il dialogo e il dibattito sono di gran lunga preferibili alle bombe, al veleno, al gas e alla guerra.
Il dialogo non può, tuttavia svolgersi alle Nazioni Unite tra i ministri degli esteri o i diplomatici. Dovrebbe aver luogo tra tutte le persone del mondo a livello di base.
Negli anni ’80 sono stato sindaco della città di Burlington, nel Vermont, quando l’Unione Sovietica era il nostro nemico. Stabilimmo un programma  con la città gemella  russa di Yaroslavl, che esiste ancora oggi. Non mi dimenticherò mai di aver visto i ragazzi e le ragazze russe in visita nel Vermont che si incontravano con i ragazzi americani e diventavano loro buoni amici. L’odio e le guerre sono spesso basate su paure e sull’ignoranza. Il modo di sconfiggere questa ignoranza e di diminuire questa paura è attraverso l’incontro con altri e la comprensione del modo in cui vedono il mondo. Una buona politica estera significa costruire rapporti tra le persone.
Dovremmo accogliere giovani di tutto il mondo e di tutte le estrazioni sociali e far loro passate del tempo con i nostri ragazzi nelle aule americane, mentre i nostri studenti, di tutti i livelli di reddito, fanno la stessa cosa all’estero.
Alcuni a Washington continuano a sostenere che la “egemonia globale benevola” dovrebbe essere l’obiettivo della nostra politica estera, e che gli Stati Uniti, grazie al loro straordinario potere militare, dovrebbero  stare a cavalcioni sul mondo e rimodellarlo a loro piacere. Sosterrei che gli eventi dei due decenni scorsi – in particolare la disastrosa guerra in Iraq con l’instabilità e la distruzione che ha portato alla regione – hanno completamente screditato quella visione.
L’obiettivo non è che gli Stati Uniti dominino il mondo, né, d’altra parte, il nostro scopo è di ritirarci dalla comunità internazionale e di sottrarci alle nostre responsabilità in nome dello slogan “L’America prima di tutto.” Il nostro obiettivo dovrebbe essere l’impegno globale basato sul partenariato invece che su dominio. Questo è meglio per la nostra sicurezza, meglio per la stabilità globale, e meglio per facilitare la collaborazione internazionale necessaria a rispondere a sfide condivise.
Ecco una verità di cui non sentite troppo spesso parlare sui giornali, alla televisione, o nelle aule del Congresso, ma è un verità che dobbiamo affrontare. Fin troppo spesso, l’intervento americano e l’uso del potere militare americano ha prodotto conseguenze non volute che hanno causato un danno incalcolabile. Sì, è ragionevolmente facile progettare il rovesciamento di un governo. E’ di gran lunga più difficile, tuttavia, conoscere l’impatto a lungo termine che quella azione avrà.Permettetemi di fare alcuni esempi: nel 1953 gli Stati Uniti, per conto degli interessi petroliferi dell’Occidente, appoggiarono il rovesciamento del Primo Ministro dell’Iran, eletto, Mohammed Mossadegh, e la re-installazione dello Scià dell’Iran che guidava un governo corrotto, brutale e impopolare. Nel 1979, lo Scià fu rovesciato dai rivoluzionari guidati dall’Ayatollah Khomeini, e venne creata la Repubblica dell’Iran. Come apparirebbe l’Iran oggi se il suo governo democratico non fosse stato
rovesciato? Che impatto ha avuto il colpo di stato guidato dagli americani sull’intera regione? Con quali conseguenze viviamo ancora, oggi?
Nel 1973, gli Stati Uniti appoggiarono il golpe guidato dal Generale Augusto Pinochet, contro il presidente del Cile, Salvador Allende, eletto democraticamente, La conseguenza sono stati 20 anni di governo militare autoritario e la scomparsa e tortura di migliaia di cileni – oltre all’intensificazione dell’anti-Americanismo in America Latina.
Altrove in America Latina, la logica della Guerra Fredda portò gli Stati Uniti a sostenere i regimi assassini a El Salvador e in Guatemala che hanno avuto come conseguenza guerre civili brutali e di lunga durata e che hanno ucciso centinaia di migliaia di uomini, donne e bambini innocenti.
In Vietnam, in base a una screditata “teoria del domino”, gli Stati Uniti sostituirono i francesi nell’intervento in una guerra civile che ha avuto come conseguenza  la morte di milioni di vietnamiti, per appoggiare il governo sudvietnamita corrotto e repressivo. Non ci dobbiamo mai dimenticare che in quella guerra morirono anche  oltre 58.000 americani.
Più di recente, in Iraq, in base a un’analisi analogamente sbagliata della minaccia posta dal regime di Saddam Hussein, gli Stati Uniti  hanno invaso e occupato un paese nel cuore del Medio Oriente. Così facendo, abbiamo sovvertito l’ordine del Medio Oriente e abbiamo scatenato forze in tutta la regione e nel mondo, per decenni a venire.
Questi sono soltanto pochi esempi della politica estera e dell’interventismo americano che si è dimostrato controproducente.
Permettetemi di farvi un esempio di un’iniziativa americana incredibilmente audace e ambiziosa che si è dimostrata di enorme successo e in cui non è stata sparata neanche una pallottola – un cosa da cui dobbiamo trarre insegnamento.
Poco dopo che Churchill era stato proprio qui al Westminster College, gli Stati Uniti hanno sviluppato un’iniziativa di politica estera, estremamente radicale, denominata Piano Marshall.
Pensateci per un momento: storicamente, quando i paesi vincevano guerre terribili, infliggevano sanzioni agli sconfitti. Nel 1948, invece, il governo degli Stati Uniti fece una cosa assolutamente senza precedenti.
Dopo aver perduto centinaia di migliaia di soldati nella guerra più brutale della storia, per sconfiggere la brutalità della Germania nazista e dell’imperialismo giapponese, il governo degli Stati Uniti decise di non punire e di non umiliare i perdenti. Al contrario, abbiamo contribuito a ricostruire le loro economie, spendendo l’equivalente di 130 miliardi di dollari proprio per riedificare l’Europa Occidentale dopo la II Guerra mondiale. Gli abbiamo anche fornito l’appoggio per ricostruire le società democratiche.
Quel programma è stato un successo straordinario. La Germania attuale, il paese dell’Olocausto, il paese della dittatura di Hitler, è ora una democrazia forte e il motore economico dell’Europa. Malgrado secoli di ostilità, non c’è stata più una importante guerra europea fin dalla II Guerra mondiale. Questo è uno straordinario successo della politica estera del  quale abbiamo tutto il diritto di essere orgogliosi. Purtroppo, oggi abbiamo ancora esempi degli Stati Uniti che appoggiano politiche che penso torneranno a tormentarci. Uno è la guerra saudita in Yemen che è in corso.
Mentre giustamente condanniamo l’appoggio russo e iraniano al massacro di Bashar al-Assad in Siria, gli Stati Uniti continuano a sostenere l’intervento distruttivo dell’Arabia Saudita in Yemen che ha ucciso migliaia di civili e cha ha creato una crisi umanitaria in uno dei paesi più poveri della regione. Queste politiche indeboliscono terribilmente la capacità dell’America di mandare avanti l’agenda dei diritti umani in tutto il mondo e danno i poteri a leader autoritari che insistono che il nostro appoggio
a quei diritti e a quei valori non è serio.
Lasciate che dica una parola su alcune delle sfide globali condivise che attualmente affrontiamo.
Per prima cosa vorrei citare il cambiamento del clima. Amici, è ora di essere seri in proposito: il cambiamento del clima è reale e deve essere affrontato con tutto il peso del potere, dell’attenzione e delle risorse  che ha l’America.
La comunità scientifica è praticamente unanime nel dirci che il cambiamento del clima è reale, che è causato dall’attività umana e che sta già causando danni devastanti in tutto il mondo. Inoltre, quello che ci dicono gli scienziati è, che se non agiamo coraggiosamente per affrontare la crisi del clima, questo pianeta vedrà ancora altra siccità, altre inondazioni – la recente devastazione causata dagli uragani Harvey e Irma sono esempi significativi – altre perturbazioni per condizioni atmosferiche estreme, maggiore acidificazione dell’oceano, maggiore innalzamento del livello del mare, e, come conseguenza delle migrazioni, ci saranno altre minacce alla stabilità globale e alla sicurezza.
La decisione del Presidente Trump di ritirarsi dall’accordo di Parigi non è stata soltanto incredibilmente stupida e miope, ma finirà anche con il danneggiare l’economia americana.
La minaccia del cambiamento del clima è un esempio chiarissimo di dove la leadership americana può fare la differenza. L’Europa non può farlo da sola, la Cina non può farlo da sola e gli Stati Uniti non possono farlo da soli. Questa è una crisi che
richiede una  forte collaborazione internazionale, se vogliamo lasciare ai nostri figli e nipoti un pianeta che sia sano e abitabile. La leadership americana – i vantaggi e gli incentivi economici e scientifici che soltanto l’America può offrire – è enormemente importante per facilitare questa collaborazione.
Un’altra sfida che noi e il mondo intero abbiamo di fronte, è la crescente ricchezza e la disparità di reddito e il movimento verso l’oligarchia – un sistema in cui un piccolo numero di miliardari e di interessi corporativi ha il controllo sulla nostra vita economica, sulla nostra vita politica, e sui nostri media.
Questo movimento verso l’oligarchia non è un problema soltanto americano; è internazionale. Globalmente,  l’1%  più ricco possiede ora più ricchezza del 99% più povero della popolazione mondiale.
In altre parole, mentre i molto molto ricchi diventano molto più ricchi, ogni settimana muoiono migliaia di bambini nei paesi poveri di tutto il mondo a causa di malattie facilmente evitabili, e centinaia di milioni vivono in un incredibile squallore.
La disparità, la corruzione, l’oligarchia e l’autoritarismo sono inseparabili. Vanno compresi come parte dello stesso sistema e combattuti nello stesso modo. In tutto il mondo abbiamo assistito all’ascesa di demagoghi che, una volta arrivati al potere, usano le loro cariche per depredare lo stato delle sue risorse. Questi cleptocrati, come Putin in Russia, usano argomenti che provocano divisioni e i soprusi pere arricchire se stessi e quelli che sono leali verso di loro.
La disparità economica non è, però, la sola forma di disparità che dobbiamo affrontare. Dato che cerchiamo di rinnovare l’impegno dell’America a promuovere i diritti umani e la dignità umana in tutto il mondo, dobbiamo essere un esempio vivente qui in patria. Dobbiamo rifiutare gli attacchi che dividono, basati sulla religione di una persona, o sulla razza, il genere, l’orientamento o l’identità sessuale, il paese di origine o la classe sociale. E quando vediamo dimostrazioni di neo-nazismo e di suprematismo bianco come quelle svoltesi a Charlottesville, in Virginia, dobbiamo essere espliciti nella nostra condanna, come non è vergognosamente stato il nostro presidente.
E come abbiamo visto molto chiaramente qui a St Louis la settimana scorsa, abbiamo bisogno di riforme serie  nella sorveglianza  e nel sistema della giustizia criminale, in modo che la vita di ogni persona sia ugualmente valorizzata e protetta. Non possiamo parlare con l’autorità morale di cui il mondo ha necessità,  se non lottiamo per raggiungere l’ideale che offriamo agli altri.
Uno degli ambiti in cui non siamo stati all’altezza di sostenere queste idee, è quello nella guerra al terrorismo. Voglio essere chiaro in proposito: il terrorismo è una minaccia molto reale, come abbiamo imparato così tragicamente l’11 settembre del 2001, e come molti paese sapevano già fin troppo bene.
Voglio però essere chiaro anche riguardo a qualcosa d’altro. In quanto struttura organizzativa, la Guerra Globale al Terrore è stata un disastro per il popolo americano e per la sua leadership. Orientare la strategia della sicurezza nazionale intorno al terrorismo, ha essenzialmente permesso a poche migliaia di estremisti violenti di dettare la linea politica per la nazione più potente della terra. Reagisce ai terroristi dando loro esattamente ciò che vogliono.
Oltre a prosciugare le nostre risorse e a distorcere la nostra visione, la guerra al terrore ha fatto in modo che minassimo nostri standard morali riguardo alla tortura, alla detenzione indefinita, e all’uso della forza in tutto il mondo, usando gli attacchi con i droni, e altri attacchi aerei che spesso hanno come conseguenza grandi numeri di vittime civili.
Un approccio militare forte, con poca trasparenza e responsabilità, non aumenta la nostra sicurezza, peggiora il problema.
Dobbiamo ripensare alla vecchia mentalità di Washington che giudica la “serietà” in base alla disponibilità ad usare la forza. Una dei malintesi fondamentali di questa mentalità, è l’idea che la forza militare sia decisiva in un modo in cui la diplomazia non è.
Sì, la forza militare talvolta è necessaria, ma sempre – sempre – come ultima risorsa. Inoltre arroganti minacce di forza che, mentre potrebbero fare felici pochi giornalisti, spesso possono indicare sia debolezza che forza, facendo intanto diminuire la deterrenza degli Stati Uniti, la loro credibilità e sicurezza.
Per dimostrare questo, vorrei far vedere le differenze tra due recenti iniziative politiche degli Stati Uniti: la guerra in Iraq e l’accordo nucleare iraniano.
Oggi viene ampiamente riconosciuto che la guerra in Iraq, alla quale ero contrario, era una cantonata di enorme grandezza.
Oltre alle migliaia di persone uccise, ha creato una cascata di instabilità in tutta la regione che stiamo ancora   oggi affrontando in Siria e altrove, e  che affronteremo   per molti anni a venire. Infatti, se non fosse stato per la guerra in Iraq, l’ISIS quasi certamente non esisterebbe.
La guerra in Iraq, come ho detto prima, ha avuto conseguenze non volute. E’ stata pianificata come dimostrazione dell’entità del potere americano ed ha finito per dimostrarne soltanto i limiti.
L’accordo nucleare con l’Iran, ha invece migliorato la sicurezza degli Stati Uniti e dei suoi partner e lo ha fatto senza sangue e con zero spese.
Da molti anni i leader di tutto il mondo si sono sempre di più preoccupati della possibilità di un’arma nucleare iraniana. Quello che l’amministrazione Obama e i nostri alleati europei erano in grado di fare, è stato di ottenere un accordo che ha congelato e smantellato grandi parti di quel programma nucleare, che lo ha posto sotto il regime con più  ispezioni intensive  della storia, e che ha rimosso la prospettiva di un’arma nucleare iraniana dalla lista delle minacce globali.
Quella è reale leadership. Quello è reale potere.
Proprio ieri, il generale in capo del Comando strategico degli Stati Uniti,  John Hyten,
ha detto: “I fatti sono che l’Iran sta operando in base agli accordi  che abbiamo sottoscritto.” Ora abbiamo una documentazione dei quattro anni dell’allineamento  dell’Iran, risalente all’accordo provvisorio del 2013.
Faccio appello ai miei colleghi al Congresso e a tutti gli Americani: dobbiamo proteggere questo accordo. Il Presidente Trump ha segnalato la sua intenzione di abbandonarlo, come ha fatto con l’accordo di Parigi, a prescindere dalla prova che questo sta funzionando. Sarebbe un errore.
Non soltanto libererebbe potenzialmente l’Iran dai limiti posti al suo programma nucleare, ma danneggerebbe in maniera irreparabile la capacità dell’America di negoziare futuri accordi per la non proliferazione. Perché qualsiasi paese del mondo vorrebbe firmare un accordo del genere con gli Stati Uniti se sapessero che un presidente sconsiderato e un Congresso irresponsabile potrebbero semplicemente abbandonare quell’accordo pochi anni dopo?
Se siamo sinceramente preoccupati del comportamento dell’Iran nella regione, come lo sono io, la peggior cosa possibile che potremmo fare è rompere l’accordo nucleare. Renderebbe più difficili tutti questi altri problemi.
Un altro problema che renderebbe difficile è quello della Corea del Nord.
Capiamoci: la Corea del Nord è governata da uno dei peggiori regimi del mondo. Per molti anni la sua dirigenza ha sacrificato il benessere della sua gente allo scopo di sviluppare le armi nucleari e i programmi missilistici per proteggere il regime della famiglia di Kim. Il continuo miglioramento da loro compiuto riguardo alle armi nucleari e al potenziale dei missili, è un minaccia crescente per gli Stati Uniti e per i nostri  alleati. Malgrado gli sforzi passati, hanno ripetutamente dimostrato la loro determinazione di andare avanti con questi programmi, incuranti dell’opposizione  e della condanna internazionale  praticamente unanime.
Come abbiamo visto con l’accordo nucleare con l’Iran del 2015, la reale leadership degli Stati Uniti è dimostrata dalla nostra abilità di sviluppare il consenso attorno ai problemi condivisi e a mobilitarlo verso una soluzione.
Quello è il modello che dovremmo perseguire con la Corea del Nord.
Come abbiamo fatto con l’Iran, se la Corea del Nord continua a rifiutarsi di negoziare seriamente, dovremmo cercare dei modi per rafforzare le sanzioni internazionali. Questo comporterà di operare a stretto contatto con altri paesi, particolarmente con la Cina, sulla quale la Corea del Nord conta per l’80% del suo commercio. Dovremmo, però, continuare anche a chiarire che questo è un problema condiviso, che non va risolto da nessun paese da solo, ma dalla comunità internazionale che lavora congiuntamente.
Un approccio che usa realmente tutti gli strumenti del nostro potere – politici, economici, della società civile – per incoraggiare altri stati ad adottare una governance  più inclusiva, alla fine ci renderà più sicuri.
Gli aiuti allo sviluppo non sono beneficienza, fanno avanzare la nostra sicurezza nazionale. Vale la pena osservare che le forze armate statunitensi sostengono fedelmente la diplomazia  della non-difesa e gli aiuti allo sviluppo.
La diplomazia    e gli aiuti ora daranno origine in seguito a maggiori necessità di difesa.
Gli aiuti degli Stati Uniti ai paesi stranieri dovrebbero essere accompagnati da un’enfasi più forte sull’ aiuto da dare alle persone per ottenere i loro diritti politici e civili di ritenere responsabili i governi dispotici nei confronti del popolo. Alla fine, i governi che sono responsabili delle necessità della loro gente diventeranno partner più affidabili.
Ecco la conclusione: secondo me, gli Stati Uniti devono cercare partenariati non soltanto tra i governi, ma tra i popoli. Una politica estera sensata ed efficace  riconosce che la nostra sicurezza e il nostro benessere sono connessi con la sicurezza e il benessere degli altri in tutto il mondo, con “tutte le case e le famiglie di tutti gli uomini e le donne in tutte le terre,” come Churchill ha detto proprio qui, 70 anni fa.
Secondo me, ogni persona su questo pianeta condivide un’umanità comune. Tutti noi vogliamo che i nostri figli crescano sani, abbiano una buona istruzione, dei lavori Questo significa essere umani.
Il nostro compito è di  incrementare  quella umanità comune e di fare tutto quello che possiamo per opporci a tutte le forze  che tentano di dividerci e di metterci l’uno contro l’altro. Come Eleanor Roosevelt ci ricordava, “Il mondo del futuro è opera nostra. Il domani è ora.”
Amici miei, andiamo avanti e costruiamolo domani.



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