Rami Khouri. I palestinesi a Gerusalemme Est mostrano come fermare Israele

 
 
 

I palestinesi a Gerusalemme Est mostrano come fermare Israele

Le proteste palestinesi e l’imposizione delle misure di “sicurezza” a Gerusalemme Est, cominciate il 14 luglio, sono l’ultimo capitolo di una saga che va avanti da quando Israele ha occupato la città nel giugno 1967, ma ora ci sono alcune novità interessanti. Eccone alcune, nel quadro dell’irrisolta battaglia tra israeliani e palestinesi.
La forza delle manifestazioni non violente dei palestinesi, con tanto di obiettivi e richieste precisi, ha spinto Israele ad abbandonare le nuove misure di sicurezza che aveva imposto sul complesso di Al Aqsa. Il successo e la forza delle proteste avranno conseguenze importanti.
Le decine di migliaia di uomini, donne e bambini che hanno steso i loro tappeti da preghiera vicino a questo luogo santo dell’islam, hanno lanciato un messaggio fondamentale a interlocutori diversi tra loro: Israele, i leader palestinesi, il mondo araboislamico e la comunità internazionale.
Negoziati migliori
Al governo israeliano e alla destra sionista più fanatica e colonizzatrice hanno fatto capire che sono pronti a reagire se saranno minacciati i loro diritti e che non si piegheranno di fronte a nessuno tranne che, letteralmente, a Dio, come fanno quando pregano.

Il messaggio rivolto alla loro frammentata e perlopiù inefficace leadership nazionale (Fatah e Hamas) è che i palestinesi possono farsi carico da soli dei loro interessi e del loro benessere quando necessario. E possono negoziare con gli israeliani per ottenere risultati migliori di quelli mai ottenuti dai rappresentanti di Hamas e Fatah.
Un importante nuovo sviluppo in questa fase dello scontro tra palestinesi e israeliani a Gerusalemme Est è stato il ruolo giocato dalla dirigenza religiosa, formata da quattro esponenti del waqf dei luoghi santi musulmani, in stretta collaborazione con i dirigenti delle comunità locali.
La lezione da trarre da questi ultimi scontri a Gerusalemme si rivelerà fondamentale per il futuro
Il messaggio per il mondo arabomusulmano, che sostiene in modo sporadico e inconsistente i palestinesi della parte araba di Gerusalemme Est, è che sarebbe stato sciocco da parte loro cercare stretti legami politici, economici o di sicurezza con il governo israeliano mentre Tel Aviv prende misure per consolidare il suo controllo su Gerusalemme Est, contro la volontà di migliaia di arabi palestinesi residenti.
Questo aspetto della protesta è particolarmente significativo se si pensa ai continui tentativi di Israele, apparentemente sostenuto dagli Stati Uniti, di avere relazioni più stabili con l’Arabia Saudita e altri stati del Golfo, allo scopo di spingere tutte le parti coinvolte nel conflitto arabo-israeliano verso una pace concordata. I palestinesi hanno dimostrato che riaffermare la loro presenza e i loro diritti a Gerusalemme Est è il modo giusto per spingere Israele a cambiare le sue politiche.
Il messaggio per il resto del mondo è che la comunità internazionale dovrebbe smettere di credere al vecchio adagio secondo il quale Israele rafforza i controlli sui movimenti e le azioni dei palestinesi perché è necessario alla sua sicurezza. Israele ha abbandonato tutte le misure prese unilateralmente – telecamere, porte d’accesso, sbarramenti e metal detector – quando si è vista sfidata da centinaia di migliaia di uomini, donne e bambini disarmati scesi in piazza per affermare il diritto a vivere con dignità nella loro città.
Alcune persone diranno che questa dimostrazione di autoaffermazione è motivata dal fatto che al centro della protesta c’è un luogo religioso, il complesso della moschea di Al Aqsa, secondo loro minacciato e oltraggiato dalle azioni degli israeliani. Ma la cosa non è del tutto corretta.
Un successo collettivo
Questo incidente si è trasformato in un scontro a causa delle relazioni complesse tra politica e religione, che a Gerusalemme Est sono presenti come in nessun altro luogo al mondo. I palestinesi di Gerusalemme sono vulnerabili, sottorappresentati, non protetti e senza guida dal 1967, perché né le autorità occupanti israeliane né la frammentata dirigenza palestinese hanno lavorato in favore dei loro diritti.

Dopo che gli israeliani hanno annullato tutte le loro misure di “sicurezza” imposte il 14 luglio e i dirigenti del waqf hanno annunciato che le preghiere pubbliche sarebbero riprese nella moschea, i prolungati e rumorosi festeggiamenti dei palestinesi sono stati un raro momento di successo collettivo per questa comunità.
Dunque, si può pensare a un coordinamento locale più organizzato tra leader religiosi e civili nella parte araba di Gerusalemme Est, soprattutto perché Israele continua a trovare modi per portare avanti la pulizia etnica contro gli arabi palestinesi che vuole cacciare dalla città.
L’ultimo esempio è il tentativo del governo israeliano di ridisegnare i confini della Gerusalemme Est araba, il che impedirebbe a più centomila arabi palestinesi di essere residenti della città. Se la cosa dovesse andare in porto, la proporzione di arabi tra i cittadini di Gerusalemme si ridurrebbe ulteriormente, rendendoli ancora più vulnerabili alle pressioni israeliane e più incentivati a partire. La lezione da trarre da questi ultimi scontri a Gerusalemme si rivelerà fondamentale per i futuri sviluppi nella città. Una città dove lo scontro tra arabi e sionisti per ottenerne il controllo dura ormai da decenni e prosegue ancora oggi.
(Traduzione di Federico Ferrone)
 

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