Nuova (e buona) luce sui filistei di Gabriele Monaco
Nuova (e buona) luce sui filistei di Gabriele Monaco
Interpretazioni
inedite di antiche fonti letterarie e di recenti scoperte archeologiche
riabilitano l'immagine dei biblici filistei. E forniscono nuovi indizi
sulle loro origini.
Il
vocabolo “filistei” identifica un popolo che ha abitato la Palestina
dal XIII secolo a.C., ma anche una persona gretta, insensibile alla
bellezza, ottusa. Se la fama dei filistei è così nera da sopravvivere a
millenni di storia è soprattutto grazie al ritratto, tutt'altro che
positivo, che di loro traccia l'Antico Testamento. Filisteo era il
gigantesco guerriero Golia, sconfitto dal futuro re Davide con la sua
fionda; filistea era Dalila, che tradì Sansone; filistei erano gli
uccisori di re Saul. Un popolo di traditori, cospiratori - e soprattutto
politeista -, di cui gli israeliti furono acerrimi nemici. Alcune
scoperte archeologiche potrebbero però costringerci a rivedere questa
immagine e a riabilitare il popolo filisteo.
Un lungo articolo sull'argomento pubblicato dal quotidiano israeliano Haaretz
ricostruisce la storia della popolazione levantina, di cui sappiamo per
certo che, tra il 1200 e l'800 a.C., abitava la Palestina nella zona
dell'attuale striscia di Gaza, occupando cinque città: Gaza, Ascalona,
Ashdod, Ekron e Gat. Il dubbio degli storici è come ci siano arrivati.
L'ipotesi più nota era che fossero una di quelle genti soprannominate
“popoli del mare”. Invasori, pirati e saccheggiatori, forse originari
della zona dell'Egeo, compaiono quasi dal nulla intorno al 1170 a.C., e
razziano la Palestina, distruggendone le città, nel momento in cui la
civiltà dell'Età del bronzo sta cedendo il passo a quella dell'Età del
ferro.
Una biografia del faraone Ramses III, il papiro di Harris conservato a Londra dal British Museum, racconta della vittoria riportata dal faraone intorno al 1190 a.C. contro uno di questi popoli invasori, i peleset, antico nome dei filistei. Secondo il papiro, in seguito alla loro sconfitta i peleset
vennero fatti schiavi in territorio egiziano. Gli storici ritenevano
che fossero stati deportati a Gaza, allora fortezza egizia, e che poi,
quando i faraoni persero il controllo della regione, si fossero
guadagnati l'indipendenza fondando il loro regno. Lì, come raccontano le
fonti bibliche, avrebbero vissuto in una condizione di continua
guerriglia con gli israeliti. Ma una nuova interpretazione del papiro di
Harris, insieme ad alcune iscrizioni sulla tomba di Ramses III (il
tempio di Medinet Habu) e a dei ritrovamenti nella zona di Antiochia
sembrano provare una teoria alternativa.
Shirly Ben-Dor Evian, curatrice del dipartimento di archeologia egizia del Museo di Israele a Gerusalemme, in uno studio pubblicato sull'Oxford Journal of Archaeology,
reinterpreta il papiro di Harris alla luce di scavi e ritrovamenti
fatti negli anni scorsi nel sud-est della Turchia. Secondo la sua
ricerca, gli archeologi hanno avuto troppa fretta nel far combaciare il
papiro di Harris con l'Antico Testamento, localizzando in Gaza il luogo
dove i filistei furono tenuti in schiavitù. Il papiro dice che vennero
condotti in Egitto, senza specificare dove, e secondo Ben-Dor Evian è
più probabile che siano stati deportati a ovest del delta del Nilo, nel
cuore dell'impero egizio, dove sarebbero stati sotto il diretto
controllo del potere centrale. Inoltre, in alcune iscrizioni trovate a
Medinet Habu, il tempio funebre di Ramses III, si fa riferimento ai
filistei con la parola teher, la stessa usata per identificare i
popoli che combatterono dalla parte degli ittiti contro Ramses II nella
battaglia di Kadesh. Uno scontro avvenuto però nel 1274 a.C., oltre un
secolo prima del presunto arrivo dei «popoli del mare». Ben-Dor Evian
ipotizza quindi che i filistei non fossero pirati invasori venuti
dall'Egeo alla fine dell'Età del bronzo, ma che anzi Ramses III potrebbe
aver ingigantito i fatti, rappresentando i peleset come
saccheggiatori e distruttori per giustificare il suo entrare in guerra
contro di loro. I filistei perciò potrebbero essere originari dell'area
che oggi corrisponde al sud-est della Turchia e al nord della Siria.
L'ipotesi di Ben-Dor Evian è supportata dai reperti trovati
nel sito di Tell Tayinat, alcuni chilometri a nord di Antiochia,
nell'odierna Turchia, una città che allora si trovava nel territorio
dell'Impero ittita. Si tratta di un gran numero di manufatti di
terracotta in stile filisteo, anomali per la zona in cui sono stati
trovati, e perciò ritenuti oggetti di importazione. Analisi
petrografiche hanno però rivelato che furono realizzati sul posto.
Inoltre, diverse iscrizioni trovate a Tell Tayinat fanno riferimento a
«Taita, re di Walistin», che oggi si ritiene potesse essere pronunciato palistin, identificando quindi il popolo filisteo.
Sconfitti
e deportati a sud da Ramses III, oppure dediti alla pirateria
approfittando dell'indebolimento delle grandi potenze del tempo, dalla
Turchia e dalla Siria i filistei sono poi arrivati nella zona dove anche
l'Antico Testamento li posiziona, cioè l'attuale Striscia di Gaza. Del
popolo bellicoso, continuamente in guerra contro gli israeliti, non ci
sono tracce archeologiche. La città di Gat, da cui proveniva il
leggendario Golia, non mostra i segni di distruzione che la
caratterizzerebbero se davvero fosse stata contesa tra i due popoli. Né
ci sono le tracce di una grande e improvvisa invasione filistea in
Palestina. Secondo il professor Aren Maeir dell'Università di Bar Ilan,
l'immagine di un popolo che ha soppiantato la popolazione indigena
razzia dopo razzia non trova riscontro, dato che pochissime delle città
cananee antecedenti alla comparsa dei filistei mostrano segni di un
attacco su vasta scala. Al contrario: l'ipotesi ormai più accreditata è
quella di una lenta migrazione e di un'infiltrazione graduale in
Palestina dei filistei, con la conseguente commistione di culture. I
filistei hanno portato influenze dalla Grecia, da Cipro e dall'Anatolia
(le loro pratiche funebri, ad esempio, erano tipiche della zona
dell'Egeo) per poi sviluppare una loro identità più specificamente
levantina.
Stretti legami culturali si sono
formati soprattutto con i vicini israeliti. Gli scavi a Gat, a cui il
professor Maeir lavora da oltre vent'anni, sembrano confermare l'ipotesi
che i due popoli vivessero l'uno accanto all'altro in relativa armonia.
«A Gat abbiamo trovato un altare che ricorda le descrizioni degli
altari giudaici nelle Scritture, e proprio accanto ad esso una giara
dedicata a un tempio filisteo, con sopra un nome giudeo» ha detto il professor Maeir a Haaretz.
Non più pirati e invasori, quindi. Al contrario, i filistei furono per gli israeliti dei buoni vicini di casa.
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2 agosto 2017
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