Morire di terrorsimo nell'indifferenza generale

 
 
 
A chi interessano i 18 morti di Ouagadougou? A leggere i giornali italiani di questa mattina quasi a nessuno nel nostro Paese, se si fa eccezione per l'Avvenire, quotidiano cattolico sempre attento al...
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 A chi interessano i 18 morti di Ouagadougou? A leggere i giornali italiani di questa mattina quasi a nessuno nel nostro Paese, se si fa eccezione per l'Avvenire, quotidiano cattolico sempre attento al Sud del mondo. Eppure, avremmo tutto l'interesse a lanciare un forte allarme dopo quello che è successo domenica notte nella capitale del Burkina Faso tra l'indifferenza generale: una strage perpetrata al caffè-ristorante Aziz Istanbul, nella strada più importante della città, a pochi metri da un altro locale, il Cappuccino, dove nel gennaio 2016 un primo attacco terrorista aveva causato 30 morti.
Per tanti motivi. Prima di tutto perché è disumano abituarci a sottovalutare ulteriormente le tragedie africane – comprese le catastrofi naturali e ambientali - che già pesano troppo poco mediaticamente in tutto l'Occidente, dall'Europa all'America del Nord.
Secondo. Perché si tratta di un attentato terrorista di radice islamista al pari di quelli registrati dolorosamente in Europa, peraltro con morti di diverse nazionalità, africane e non, tra cui un canadese, un turco e un francese. Ormai, pericolosamente, stiamo facendo abitudine a questo tipo di eventi dalle nostre parti e ancora di più nei confronti di quelli che accadono a 4 mila chilometri di distanza.
Terzo motivo, quello che più ci dovrebbe preoccupare. Il Burkina Faso, anche se pochi lo conoscono qui in Italia, non è un Paese così lontano come si pensa. Nel senso che è uno Stato strategico nella lotta al terrorismo insieme a Mali, Niger e Nigeria. E' ormai questa, la fascia sahelica subsahariana, non più il Mediterraneo, la frontiera dell'Europa, come dimostrano anche le vicende dei flussi migratori. E' lì che l'Europa deve intervenire, aiutare, rafforzare l'impegno a favore della pace.
Il Burkina Faso era, fino a poco tempo fa, uno dei Paesi più tranquilli, anche se tra i più poveri, dell'Africa, esempio di coabitazione tra diverse etnie e di convivenza tra Islam e cristianesimo. Una nazione che ha da sempre accolto numerose Ong e organizzazioni umanitarie, impegnate nei settori dell'agricoltura, dell'educazione e della sanità e dove la Comunità di Sant'Egidio ha affrontato uno dei problemi più gravi esistenti, registrando – con il programma "Bravo!" - oltre 3 milioni di persone, per lo più minori, che non erano mai state iscritte all'anagrafe. Un popolo di "invisibili", che facilmente potevano essere vittime del traffico di esseri umani. Un Paese che stava e sta dando esempio di come, un po' alla volta – anche con la ripresa della cooperazione italiana – si può guardare al futuro con più ottimismo.
La vicina guerra - se non dimenticata ormai trascurata - nel Nord del Mali ha prodotto una nefasta influenza e due gravi attentati terroristici, quasi nello stesso luogo, centralissimo, della capitale, stanno mostrando la fragilità di uno Stato che è da poco uscito, in modo per lo più pacifico, da una grave crisi politico-militare. Un Paese che non va lasciato solo e che andrebbe almeno ricordato, quando è sotto attacco, sulle pagine dei giornali. Per il loro (prima di tutto) interesse, ma anche per il nostro. Perché il Burkina Faso non è poi così lontano.
 
 

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