Gli israeliani che prendono molto sul serio la ricostruzione del Terzo Tempio
Ayelett Shani – 10 agosto 2017, Haaretz
Eran
Tzidkiyahu, una guida per il conflitto israelo-palestinese, spiega
perché gli attivisti del Tempio sono così determinati – e come la loro
missione entra in conflitto con una parte fondamentale dell’identità
palestinese.
Colloquio
con: Eran Tzidkiyahu, 36 anni, ricercatore presso il “Forum per la
Riflessione Regionale” e guida di percorsi “geopolitici”. Dove: ai piedi
del Monte del Tempio. Quando: domenica [6 agosto]
Cosa vuol dire che lei è una “guida geopolitica”?
Significa
che sono impegnato nel conflitto dalla prospettiva dei suoi aspetti
geografici e politici. Essenzialmente, porto in giro le persone e mostro
loro il conflitto sul campo – sul Monte del Tempio [la Spianata delle
Moschee per i musulmani, ndt.], nei territori, nelle colonie. In luoghi
che sono sacri per gli ebrei, i cristiani e i musulmani.
Quali persone sono interessate a questo tipo di visite?
Rappresentanti
di varie organizzazioni della società civile, studenti e docenti di
università israeliani e del resto del mondo, ebrei americani, gruppi di
rabbini. Non molto tempo fa ho guidato importanti funzionari del Mossad
[servizio segreto israeliano, ndt.]
Stamattina
presto siamo anche saliti sul Monte del Tempio. Il poliziotto
all’entrata ha chiesto se volevamo una scorta, ci ha avvertito di non
toccare niente, di non entrare nelle moschee. Ha detto che la situazione è delicata.
Penso
che ci dobbiamo fermare un attimo e guardare questo posto da di fuori.
Cerco di leggere lo spazio come se fosse un testo. Non sono interessato
solo agli eventi principali che si stanno svolgendo, ma anche alle
piccole cose che li circondano. La guardia, il rancore degli Haredim
(ebrei ultra-ortodossi) che attendono sul ponte. Le conversazioni dei
poliziotti.
Interessante. Cosa vede lei che io non posso vedere?
Per
esempio, tutte le entrate al Muro del Pianto (Spianata) sono molto
larghe. Solo l’entrata (per i non-musulmani) al Monte del Tempio è
stretta e in disparte. Lo Stato non è interessato a che vi si entri,
intenzionalmente non fa un ingresso in un terminal con 10 punti di
controllo. No, è piccolo e gli ebrei che stanno lì vi vengono trattenuti
per un bel po’ di tempo.
Prima
che perquisissero la mia borsa, lei mi ha chiesto se avessi portato una
copia del Libro dei Salmi. Lei ha detto che ci avrebbe potuto provocare
più problemi del tablet e del registratore. Che cosa intende?
Gli
ebrei non hanno il permesso di portare oggetti religiosi sul Monte del
Tempio. La polizia impone lo status quo che vieta agli ebrei di
praticare riti sul Monte. E se qualcuno non è al corrente di ciò ed è in
possesso di un simile oggetto, il suo ingresso al Monte del Tempio sarà
notevolmente ritardato.
Ma c’era un folto gruppo di ebrei haredim [ebrei ultra-ortodossi, ndt.] che aspettavano di salire. Non portavano siddurim (libri di preghiera)?
Per
loro ci sono armadietti speciali in basso in cui sistemare i loro
oggetti. Chiunque tiri fuori un libro ebraico sulla spianata del Monte
del Tempio è immediatamente arrestato dalla polizia. Una novità che ho
notato oggi per la prima volta è che hanno sistemato dei parasole lungo
il percorso. Qualcuno ha preso la decisione di fare ombra a questa
stretta e scomoda colonna di persone che aspettano in fila.
E lei cosa ne pensa?
Secondo
me riflette un cambiamento di approccio da parte della polizia. Penso
sia una prova del grande numero di pressioni esercitate sulle autorità
responsabili del Monte del Tempio, da vari gruppi a favore del Tempio.
Che questi gruppi stanno diventando sempre più potenti.
Forse mi potrebbe dire qualcosa di questi gruppi del Tempio.
Attualmente
è un vero insieme di organizzazioni, gruppi ed individui che pongono il
Monte del Tempio in cima ai loro programmi, sia che si tratti di
ottenere diritti per salire e pregare sul Monte o per promuovere la
costruzione del Terzo Tempio. Negli anni ’90 questi gruppi erano
marginali, erano considerati fuori posto. Oggi una parte notevole delle
loro richieste è entrata nell’opinione comune. In larga misura il
(deputato del Likud) Yehudah Glick è il responsabile dell’unificazione
di questi gruppi in un ente unico che agisce per promuovere
strategicamente i suoi obiettivi. Insieme al (ministro della Sicurezza
Pubblica) Gilad Erdan, al (ministro della Cultura e dello Sport) Miri
Regev e al comandante del distretto di polizia di Gerusalemme, ha avuto
successo nel raggiungere risultati concreti.
Specifichi i risultati.
Del
Monte del Tempio si parla nei corridoi della Knesset e nell’ufficio del
primo ministro. Il “Comitato per gli Affari Interni e l’Ambiente”
guidato da Regev ha tenuto molte audizioni sul diritto degli ebrei di
pregare sul Monte del Tempio. Il Murabitun ed il Murabitat (gruppi
musulmani, il primo delle donne, il secondo degli uomini, che si
considerano i guardiani del Monte del Tempio) sono stati dichiarati
illegali. I gruppi di ebrei salgono al Monte del Tempio in numeri e
frequenza in continuo aumento. Ma il risultato principale, come ho già
detto, è la penetrazione nell’opinione generale. Oggi ogni israeliano
laico può affermare che abbiamo diritti sul Monte del Tempio, e molti di
loro appoggiano persino il diritto di pregarvi.
E’ un cambiamento nell’opinione pubblica.
Che
si esprime anche in concreto. Dal livello di Gilad Erdan, che si
esprime contro lo status quo che si suppone debba garantire, alla fuga
di notizie dal governo in materia di metal detector, che dimostrano che
la loro condotta non è limitata solo a ciò che è pratico e fattibile –
che ci sono anche aspetti che riguardano la religione, l’identità,
persino credenze messianiche; a cose che posso vedere con i miei occhi.
E’
la polizia che dovrebbe incaricarsi degli ebrei che salgono al Monte
del Tempio. Di impedirlo, di ritardarlo, di ridurlo. I sostenitori del
Tempio sono, ovviamente, in buoni rapporti con i poliziotti sul Monte
del Tempio, e i poliziotti li riconoscono. Lo scorso anno ho visto
emergere un evidente rapporto più stretto tra i poliziotti e i
sostenitori del Tempo. Quest’anno, circa un mese prima dell’uccisione
dei poliziotti drusi (il 14 luglio 2017), il generale della polizia
Yoram Halevi è salito sul Monte con un gruppo di sostenitori del Tempio,
dove è stato fotografato con loro. E’ il comandante del distretto ed ha
ricevuto sul Monte la loro benedizione, che è stata fotografata e
documentata. Questa è pura follia. Nel suo blog Arnon Segal, un
attivista del Tempio, ha scritto che questa (specifica) salita al Monte
del Tempio è stata una “salita dello Stato nazionale” dedicata alla
memoria di Hallel Ariel, la ragazza uccisa [da un attentatore
palestinese, ndt.] a Kiryat Arba (nel 2016). I suoi genitori sono
attivisti estremamente entusiasti ed impegnati del Tempio. Sua madre
parla continuamente di una consapevolezza del Tempio.
Che cosa vorrebbe dire “consapevolezza del Tempio?
Vivere
la propria vita con la consapevolezza che il proprio scopo in questo
Paese in quanto ebreo è di vivere in base ai comandamenti della Torah e
che c’è un grande numero di comandamenti che non possono essere
osservati senza il Tempio. Per cui si deve vivere con una totale
dedizione verso di esso. Per esempio, lavora con donne nel cuocere il
pane speciale che deve essere preparato per il Tempio. Per questa gente
il Tempio è la ragione per cui sono qui.
A lei sembra una cosa sincera?
Certo.
Sono persone interessanti e serie, e non ho nessuna intenzione di
ignorarle. In parte per le potenziali ripercussioni di quello che stanno
facendo, e in parte perché stiamo parlando di persone intelligenti che
hanno una profonda coscienza religiosa e nazionale, alcune delle quali
sono totalmente coinvolte anima e corpo. Più li guardo e li ascolto da
vicino, più vedo questa esperienza come assolutamente sincera.
Capisco che lei è in stretto contatto con loro.
Li
conosco tutti personalmente. Ho anche seguito tutto un corso per guide
del percorso del Monte del Tempio tenuto dalla “Fondazione per il
Patrimonio del Monte del Tempio”.
Cos’è un corso per guida del percorso del Monte del Tempio?
Alla
luce del fatto che sempre più ebrei stanno salendo al Monte, le
organizzazioni del Monte del Tempio hanno deciso di lanciare
un’iniziativa: l’obiettivo è che ogni ebreo che va al Monte trovi un
altro ebreo che lo accompagnerà, gli dirà cose su di esso e gli
spiegherà la storia e la teologia.
Non riesco ad immaginare lei inserito in un corso come quello.
Quando
mi sono unito al corso loro erano veramente molto preoccupati. Mi hanno
chiesto quali erano le mie motivazioni, perché conoscono me e le mie
opinioni. Quando ho detto che volevo solo capire, hanno accettato che
partecipassi – a condizione, naturalmente, che non avrei scritto nessun
post su Facebook né condiviso con qualcuno i contenuti del corso.
Ma c’è un progetto ovvio.
Certamente.
Il corso è tenuto da importanti attivisti del Tempio. Lo stesso Yehudah
Glick mi ha consegnato il certificato che ho completato il corso.
Qual era il contenuto del corso?
C’era
un contenuto principalmente storico-religioso riguardante il Tempio e
il Monte. Molta attenzione era dedicata alle dimensioni del Tempio. Una
delle principali ragioni del divieto halachitico (diritto ebraico) per
la salita al Monte del Tempio ha a che fare con la preoccupazione in
merito all’ingresso in zone sacre proibite, per cui questo è
estremamente importante per loro, in quanto vogliono sapere dove gli è
permesso camminare e dove è proibito. Per loro la questione più
interessante è dove si trovasse in realtà esattamente l’altare sulla
piattaforma rialzata ad est della Cupola della Roccia [la Moschea di
Omar, che si trova sulla Spianata delle Moschee, ndt.].
Perché?
Perché
non c’è bisogno di un tempio per offrire sacrifici. Il sacrificio della
Pasqua ebraica, per esempio. Loro dicono: “Perché non dovremmo entrare
con un capretto e offrire il sacrificio della Pasqua sul Monte del
Tempio?” Dopotutto, ciò non dovrebbe violare la santità per i musulmani.
E’ consentito. E’ persino prescritto. Per questo è importante sapere
dov’è l’altare.
Non posso neanche cominciare a dirle quanto mi risulta difficile identificarmi con tutto ciò.
Guardi,
quando lei sta lì in piedi sul Monte, con quelle persone e sono in
piedi sui gradini settentrionali e guardano la Cupola della Catena
[piccola costruzione musulmana adiacente alla Cupola della Roccia,
ndt.], loro non vedono quello che vede lei. Stanno vedendo il luogo
dell’altare dei sacrifici. Il luogo del Tempio. Si trovano in un’altra
dimensione.
Come in una specie di visione? E’ questo che lei ha sentito quando si trovava tra di loro?
Assolutamente.
Loro sono al settimo cielo. Non vedono le cose che li circondano – la
fila o i poliziotti o il Waqf [l’associazione musulmana che si occupa
della gestione della Spianata delle Moschee, ndt.]. Vogliono andare
subito su, e nel momento in cui attraversano le porte, alcuni di loro si
inchinano e si prostrano. Ciò è consentito dall’ebraismo solo sul Monte
del Tempio. Prostrazione totale, mani e piedi stesi a terra. In
qualunque altro luogo ciò sarebbe considerato idolatria ed è vietato.
Questa gente sta vedendo sul Monte un passato e un futuro mitologici, e
non il presente.
Sì. Questo spiega decisamente molto.
Per
quanto li riguarda, la costruzione del Tempio è un’idea logica e
corretta. Guardi, dopotutto “Sion” non è costruire kibbutz. Se lei
avesse chiesto ad un ebreo 200 anni fa quale fosse il significato del
“Ritorno a Sion”, avrebbe risposto: “Tornare alla Terra Santa e
ricostruire il Tempio.” Per questo la gente prega ed è dove la
consapevolezza “sionista” era diretta – fino all’avvento del Sionismo.
Il Sionismo è essenzialmente un ripudio di questo discorso, un tentativo
di secolarizzarlo, di renderlo nazionalista. Il sionismo ha tentato di
sfuggire a questa idea del Tempio, ed ora lo stiamo vedendo tornare.
Sta tornando o è stato ripreso dal Sionismo religioso?
Essenzialmente
è rientrato in gioco come risposta alla possibilità di un compromesso
territoriale. La gente di “Gush Emunim” [organizzazione dei coloni
israeliani, ndt.] non è concentrata sul Tempio. [Gli accordi di] Oslo
sono stati la crisi che ha portato settori più ampi dell’opinione
pubblica sionista religiosa a dimostrare interesse per il Monte del
Tempio. Nel marzo 1996 il consiglio rabbinico “Yesha” (che rappresenta i
rabbini dei coloni) emanò un appello per salire al Monte del Tempio.
Era al culmine del mese di Ramadan, e il venerdì seguente la diffusione
dell’appello 250.000 palestinesi si recarono a pregare lì. Questa è la
dinamica nelle due parti [in conflitto]. Pochi mesi dopo, scoppiarono
gli scontri del tunnel del Muro del Pianto e il Movimento Islamico
(israeliano) decise di impegnarsi a pieno nella questione di Al-Aqsa.
Lo
status quo, gli accordi non scritti tra le autorità e il Waqf, che
avevano retto per 30 anni crollarono. Essenzialmente sia il consiglio
rabbinico “Yesha” che i dirigenti del Movimento Islamico in Israele sono
uniti attorno allo stesso luogo sacro. Non si tratta di una
coincidenza. E’ impossibile parlare del Monte del Tempio come guida
dell’identità ebraica senza parlare di Al-Aqsa (con cui i musulmani si
riferiscono a tutta la Spianata) come guida dell’identità palestinese.
Allo stesso modo in cui questa idea è sorta in un momento in cui c’era
un tentativo di raggiungere un compromesso e forse porre fine al
conflitto, la stessa cosa è successa dal lato palestinese. Non si tratta
di una questione accademica o di un argomento filosofico: si tratta di
un dato di fatto per tutti i palestinesi.
Ne è convinto?
Poco
prima che ci incontrassimo, un vecchio palestinese nel quartiere
musulmano mi ha detto: “In quanto palestinese, sono obbligato a
proteggere questo luogo: le parlo col cuore e non con la testa.” Non è
che ogni palestinese di Jenin [in Cisgiordania, ndt.] o di Umm al-Fahm
[cittadina arabo-israeliana, ndt.] stia pensando tutto il tempo ad
Al-Aqsa, ma al centro dell’identità palestinese, a cosa li differenzia
dal mondo arabo e islamico attorno a loro c’è il loro rapporto con
Al-Aqsa ed il senso della missione eterna di proteggerla nel corso della
storia contro la conquista degli eretici. E’ un messaggio palestinese
nazionale non meno che islamico religioso. Nello stesso modo in cui gli
ebrei vedono come santo il periodo del Secondo Tempio, l’etica di Masada
e di Hanukkah, l’ultimo periodo di sovranità ebraica, così l’Islam in
questo Paese si unisce attorno all’idea della protezione dei luoghi
santi di Gerusalemme -“Al-Aqsa, il cui luogo su cui sorge noi
benediciamo” (dalla Surah 17:1 del Corano) – come il terzo luogo più
sacro per l’Islam, là stiamo proteggendo i luoghi sacri dell’Islam dai
pericoli che incombono. Queste sono le basi molto profonde dell’identità palestinese qui.
Non
vogliamo ripercorrere tutta la lunga storia di scontro sul Monte del
Tempio, ma quello che li accomuna tutti, penso, è una dinamica di
reazione. Una parte vi viene trascinata in seguito alle azioni della
parte avversa.
Le
persone, sia da parte palestinese che da quella israeliana, la vedono
come se “l’altra parte stia facendo ciò a noi,” mentre in effetti la
situazione è come la descrive lei, c’è un flusso continuo di risposte e
contr-risposte.
Forse
potrebbe descrivermi questo luogo attraverso gli occhi dei palestinesi.
Attraverso gli occhi dei singoli che vengono qui sul Monte per pregare
cinque volte al giorno.
Il
Monte del Tempio non è solo il terzo luogo più sacro per i musulmani in
Israele, è il parco più grande di Gerusalemme est, lo spazio aperto più
grande in una zona che per il resto è un disastro urbanistico. E’
l’unico luogo in cui c’è un certo livello di libertà e di indipendenza
per i palestinesi, perché è il posto in cui la sovranità israeliana non è
totale e l’occupazione israeliana è meno presente. Pertanto si possono
vedere famiglie riunite per fare un picnic, persone che l’attraversano
senza una ragione speciale in pieno giorno, solo per starci, per
pregare, per mangiare. Questo fenomeno è gradualmente cambiato negli
ultimi anni, e questo è proprio quello che i palestinesi sentono che
stanno perdendo – non solo il loro simbolo nazionale, ma anche il
proprio spazio di libertà personale a cui sono legati non solo al
livello religioso ma anche a quello individuale. Di nuovo, si deve
capire – non ci sono parchi, non ci sono giardini, c’è solo il Monte del
Tempio. I ricordi dell’infanzia di molti di loro sono radicati in
questo luogo. Alla luce del rapporto di forze in questo spazio,
interpretano tutto quello che succede da parte israeliana come un
tentativo di privarli del loro spazio qui.
Riguardo
alla sovranità, ieri ho letto una vecchia citazione dello storico
Shlomo Ben-Ami, che sosteneva che più abbiamo il controllo sul Monte del
Tempio, più ne siamo ostaggi.
Ha
ragione. Siamo ostaggi della questione della sovranità sul Monte del
Tempio. La nostra sovranità qui è il problema e non la soluzione.
Ogni
volta che c’è un esplosione di proteste, quando viene messa a dura
prova, scopriamo che in realtà non abbiamo la sovranità [sul Monte del
Tempio].
Secondo
me questo è vero per tutta Gerusalemme. Lo Stato di Israele crede che
la soluzione a Gerusalemme sia nel mettere in pratica la sovranità, ma
sono già 50 anni che la sovranità a Gerusalemme si è manifestata solo
come potere, ed ogni bambino che frequenta un corso preparatorio in
scienze politiche può affermare che più si usa la forza fisica, meno tu
possiedi realmente un vero potere istituzionale. Una sovranità che si
esprime attraverso battaglioni di poliziotti di frontiera non è una
sovranità profonda, e non ci sarà una soluzione per il Monte del Tempio
finché parleremo in termini di sovranità assoluta. Chi è il proprietario
“riconosciuto” del Monte del Tempio? Importa realmente? Il processo
giuridico è desiderabile per la gestione di questa faccenda? In fin dei
conti non abbiamo la sovranità né sul Monte del Tempio né su Gerusalemme
est, e questa è la realtà. Non siamo neanche in grado di sistemarvi dei
metal detector.
Qualcuno fa riferimento alla sensazione di successo tra i palestinesi in seguito a questo recente ciclo (di violenze). Lei che cosa ha sentito dire?
Ho
sentito amici palestinesi, anche del tutto laici, parlare con assoluto
entusiasmo del potere e dell’organizzazione comunitaria. Dicono di non
essersi mai sentiti così. Se erano stati bambini durante al Seconda
Intifada, o nati dopo, non sono mai stati abituati a questa sensazione
di comunità; hanno conosciuto solo la sopravvivenza giorno per giorno,
spaventati da chiunque vedessero. Improvvisamente si sono sentiti
legati, una sensazione di comunità, una speranza che potesse cambiare. I
media palestinesi sono pieni di appelli a trarre le conclusioni da
questa vittoria. La prima conclusione è che Israele non può opporsi ad
azioni organizzate di massa non violente.
Di
chi è stata l’idea che i fedeli musulmani rifiutassero di entrare sulla
Spianata (finché fossero rimasti sul posto i metal detector)? Delle
preghiere di sfida fuori dalle porte?
Non
lo so. Stavo seduto qui qualche giorno da con degli amici, esperti di
Gerusalemme, tra loro dei palestinesi, e non riuscivamo a trovare una
risposta su chi abbia iniziato tutto questo – i leader religiosi, il
Waqf o gli abitanti. Dopotutto, il Waqf non avrebbe potuto sapere che
gli abitanti lo avrebbero appoggiato.
Come appare sul campo?
Un
sacco di gente nelle strade. Le donne della città gli hanno portato una
grande quantità di cibo. Stiamo parlando di cinque preghiere al giorno,
che è praticamente tutto il giorno. Gente che arriva da ogni parte del
Paese. Il giorno prima ero a Baka al-Gharbiyeh [cittadina a maggioranza
araba in Israele, ndt.], dove ho incontrato intellettuali arabi molto
noti che stavano dicendo – domani andremo su ad Al-Aqsa, tutta la
famiglia. Abbiamo una missione qui, abbiamo un dovere. La polizia ha
messo sbarramenti su una strada. Di notte hanno controllato ogni
macchina per cercare di scoraggiare la gente dal cercare di
attraversarli, ma ciononostante decine di migliaia lo hanno fatto.
Qual è esattamente il ruolo che il Waqf ha giocato nella vicenda dell’organizzazione spontanea?
Quello
che è successo qui nelle ultime due o tre settimane è sorto dalla
piazza palestinese di Gerusalemme est. A Gerusalemme non c’è una
dirigenza. Semplicemente non esiste. C’è il Waqf. E’ l’istituzione più
vasta e più influente. In seguito a questi avvenimenti, il Waqf e la
piazza si sono incontrati. Un’istituzione ben organizzata con potere,
danaro e gerarchia ha incontrato una piazza che stava desiderando
ardentemente una dirigenza e un’azione collettiva. Gli interessi
convergevano – il Waqf ha guadagnato dalla piazza un rinnovato potere, e
la piazza ha guadagnato una dirigenza. A un certo livello, è la stessa
piazza di Gerusalemme che si è preoccupata per anni di Al-Aqsa.
Quando
(il re di Giordania) Abdullah e Bibi (Netanyahu) si sono messi
d’accordo sull’installazione di telecamere nel 2015, la piazza
semplicemente non lo ha permesso. Ora la piazza è di nuovo entrata sulla
scena. Secondo me c’è stato un cambiamento profondo nella concezione
delle attività organizzate a Gerusalemme est. Stanno emergendo nuove
strutture, un nuovo modus vivendi. E’ ragionevole ipotizzare che qui
sorgeranno nuovi dirigenti. Qui è successo qualcosa di molto importante –
un’organizzazione popolare non violenta che ha obbligato Israele a
cedere. L’internet palestinese si sta già occupando dell’argomento.
Cosa vede lei? Cosa stanno scrivendo?
“Siamo
riusciti ad incidere su Israele e dobbiamo continuare così.” Questa
opinione pubblica, che ha sempre subito accordi sulla propria testa, è
ora l’opinione pubblica che ha guidato gli avvenimenti, e (il presidente
turco) Erdogan e (il presidente USA) Trump e re Adbullah e Bibi possono
solo rimanere ai margini. La piazza di Gerusalemme sta attualmente
riscoprendo la propria forza.
Pensa che Netanyahu l’abbia capito?
Non lo so. Sulla questione del Monte del Tempio, Netanyahu si è costantemente nascosto dietro poliziotti di basso rango.
Cosa pensa di Yoram Halevi, il comandante del distretto di Gerusalemme, di cui abbiamo parlato prima?
Non
lo conosco. A giudicare solo dal suo risultato, è un disastro. Yoram
Halevi sale sul Monte del Tempio con gli attivisti del Tempio, cambia il
loro status, si esprime in modo arrogante in materia di metal detector,
come se si trattasse dell’ingresso in un supermercato. Stiamo parlando
di una mancanza di professionalità e di comprensione del terreno. E’
questa idea di voler impartire una lezione, di agire in modo
inflessibile, tanto da scatenare la protesta popolare.
Voleva “evitare che i palestinesi avessero l’impressione della vittoria.”
E’
quello che ha detto. E alla fine ha perso. Se è davvero un
professionista serio, è apparentemente motivato da altre considerazioni.
La conclusione di questa conversazione è davvero sconfortante.
In
realtà sono ottimista. Penso che se togliamo dall’equazione la
questione della sovranità, sarà possibile pensare a soluzioni creative. A
un discorso di cooperazione. Quando saremo uguali, non ci sarà la
differenza nell’equilibrio di forze che esiste attualmente: potremmo
proseguire questo dialogo, e gli ebrei potrebbero pregare sul Monte del
Tempio come fanno i musulmani.
Non ci conterei molto.
Perché
no? E’ successo in Irlanda, con gli accordi del Venerdì Santo. Anche là
c’era un conflitto di secoli, con un aspetto religioso. E’ un lungo
percorso, e spetta a noi tentare e prendere quel percorso – o soccombere
al pessimismo. Non possiamo cambiare il corso della storia, possiamo
solo scegliere il nostro percorso.
Sa,
sono tornato qui, dopo tre anni in Francia, nel mezzo dell’operazione
“Margine protettivo” (nel 2014). Dalla tranquilla Strasburgo proprio
dentro alle sirene dell’allarme aereo. Non è stata una cosa semplice, ma
non dubito di aver fatto la scelta giusta. Sento che la mia vita è
ricca di valori e di senso, nonostante le sfide e le preoccupazioni sul
futuro dei bambini.
Strasburgo
mi ha ispirato. Dopotutto è stata al centro del conflitto tra Francia e
Germania per secoli ed è diventata un simbolo della riconciliazione
europea. C’è un grande numero di coppie franco-tedesche che vivono lì e
che non sono in grado di comprendere come qualcuno possa aver combattuto
per questo, così come i bambini nati dopo la riconciliazione in
Irlanda.
Se
c’è una cosa che ho imparato è che devi essere umile quando si tratta
di storia e non dire che qualcosa non accadrà perché può sempre
succedere. Un bambino nato un minuto dopo la firma degli accordi sarà
incapace di capire come noi abbiamo potuto pensare o vivere in modo
diverso.
(traduzione di Amedeo Rossi)
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