Zvi Bar'el : Ecco perché gli Stati arabi sono palesemente silenziosi sulla crisi del Monte del Tempio
Ecco perché gli Stati arabi sono palesemente silenziosi sulla crisi del Monte del Tempio…
zeitun.info
Zvi Bar’el – 23 luglio 2017, Haaretz
Le
tensioni sul luogo sacro potrebbero spingere gli Stati arabi in rotta
di collisione con i movimenti islamici, ma la calma dipende dalla
rimozione dei metal detector israeliani dal Monte.
Quando
il primo ministro Benjamin Netanyahu si è impegnato in discorsi
vanagloriosi in merito agli incontri con leader arabi – compresa la
recente indiscrezione su un incontro segreto di cinque anni fa con il
ministro degli Esteri degli Emirati Arabi Uniti – sembrava ignorasse le
forze islamiche che stavano attente a queste iniziative diplomatiche. Le
recenti tensioni sul Monte del Tempio [denominazione israeliana della
Spianata delle Moschee, ndt.] di Gerusalemme ha messo in chiaro che ogni
mossa diplomatica o per la sicurezza è anche immediatamente misurata su
una prospettiva che trascende l’importanza religiosa dei luoghi santi.
La
moschea di Al-Aqsa sul Monte del Tempio, come la Kaaba alla Mecca e la
Tomba dei Patriarchi [denominazione israeliana della moschea di Ibrahim,
ndt.] a Hebron, è un luogo islamico inseparabile dai problemi nodali
del conflitto israelo-palestinese. Sono luoghi che, se danneggiati,
provocano nell’opinione pubblica sdegno che può spingere i regimi negli
Stati arabi ed in altri Stati musulmani in rotta di collisione con i
movimenti islamici dei rispettivi Paesi.
Ciò
li spinge anche in conflitto con un’opinione pubblica musulmana
sensibile, che può delegittimare rapporti più stretti tra Israele e
Paesi arabi e con un’opinione pubblica araba laica, che vede gli
avvenimenti come un tentativo deliberato da parte di Israele di
appropriarsi dei siti palestinesi.
Il
riconoscimento del potere del popolo e la minaccia che l’opinione
pubblica araba rappresenta sono uno dei più importanti prodotti emersi
dalle Primavere arabe, soprattutto quando ciò riguarda Israele ed i
luoghi santi. Queste questioni costituiscono un ampio, anche se forse
l’unico, comun denominatore che questi settori dell’opinione pubblica
condividono.
Finora
in questi Paesi la rabbia araba e musulmana non si è tradotta in
dimostrazioni pubbliche nella forma di manifestazioni di massa o in
articoli aspramente critici. Gli avvenimenti sul Monte del Tempio della
scorsa settimana o simili hanno già meritato titoli in prima pagina
nella maggior parte del mondo arabo, ma finora – forse per la prima
volta – non si sono viste le consuete proteste anti-israeliane nelle
strade del Cairo, di Amman e del Marocco.
Come
previsto, il sito web della Fratellanza Musulmana ha accusato il
presidente egiziano Abdel-Fattah al-Sisi di aver capitolato davanti ad
Israele. Un sito web ha parlato del presidente egiziano e dei “sionisti”
come forze alleate. In un’ intervista con un sito egiziano, un membro
del Comitato Popolare per la Difesa del Sinai, Ahmed Samah al-Idarusi,
ha lamentato che, rispetto al passato, “ora riscontriamo un silenzio
diplomatico e culturale egiziano tale che neppure le elite sono capaci
di rilasciare un solo comunicato congiunto di condanna.”
Lo
stesso Sisi ha chiesto ad Israele di agire immediatamente per calmare
le tensioni riguardo al Monte del Tempio. Ma la sua retorica è stata
molto più tenue che nel settembre 2015, quando ha accusato Israele di
dissacrare sfacciatamente la santità del luogo.
Secondo
informazioni dall’Egitto, il ministro delle Dotazioni Religiose del
Paese, Mukhtar Gumaa, ha chiesto ai predicatori delle moschee di evitare
di fare commenti sulla moschea di Al-Aqsa nei loro sermoni del venerdì e
di parlare invece solo di come trattare bene i turisti stranieri in
Egitto.
L’Arabia
saudita, il cui re, Salman, ha fatto pressione sugli Stati uniti perché
spingano Israele a riaprire il complesso del Monte del Tempio ai fedeli
musulmani, si è astenuta dal fare dichiarazioni in materia – e il
silenzio non è stato solo da parte di importanti dirigenti sauditi. E’
stato anche impossibile trovare notizie dettagliate nella stampa saudita
di venerdì sulla sequenza di avvenimenti sul Monte del Tempio.
Solo
un evento mediatico è diventato virale, ed è stato quando uno
spettatore di un programma trasmesso dalla televisione in lingua araba
con sede a Londra Al-Hiwar ha chiamato la stazione ed ha dichiarato:
“Sono contrario ad una vittoria di Al-Aqsa, perché una vittoria di
Al-Aqsa sarebbe una vittoria di Hamas e del Qatar!”
Può
darsi che questo spettatore rappresenti una nuova opinione,
considerando che l’attuale conflitto tra l’Arabia saudita e il Qatar e
Hamas è ciò che determinerà la natura della risposta araba. Da questo
punto di vista, finché il Qatar verrà considerato un sostenitore della
Fratellanza musulmana e di Hamas, e finché gli eventi sul Monte del
Tempio saranno attribuiti ad Hamas, i disaccordi tra arabi giocheranno
un ruolo importante nella politica araba.
Ma
anche se questa opinione non può essere ignorata, ciò non significa che
sarà possibile per questi Stati mettere un freno alle rivolte
dell’opinione pubblica musulmana, che obbligherà i regimi arabi ad
unirsi nella battaglia per il loro luogo sacro se vi continueranno
violenti scontri.
Israele,
che si sta scambiando segnali con l’Arabia saudita e sta portando
avanti precipitose consultazioni con il re giordano Abdullah e il
presidente egiziano Sisi, sta ora cercando una soluzione a doppio
taglio: affrontare la sicurezza sul Monte del Tempio e gestire la sua
perdita di prestigio. Può prevedere di ottenere una simile soluzione se
decide di togliere i metal detector che sono stati piazzati dopo
l’attacco del 14 luglio sul Monte del Tempio, che ha ucciso due
poliziotti israeliani.
Secondo
fonti giordane, le soluzioni che sono state discusse finora non hanno
prodotto un accordo. Una proposta è stata che i metal detector siano
utilizzati da poliziotti giordani in borghese; un’altra che gli attuali
metal detector che si dovrebbero attraversare siano sostituititi da
dispositivi manuali, oppure che l’operazione di controllo con i metal
detector sia gestita da una forza di polizia congiunta
israeliana-palestinese-giordana.
Il
problema è che ognuna di queste proposte danneggia la reputazione di
Israele, che sta pretendendo la sovranità totale quando si tratta degli
ingressi al Monte, o la richiesta dei palestinesi, che per il momento
stanno rifiutando ogni coinvolgimento israeliano sul Monte del Tempio e
sugli ingressi ad esso.
La dichiarazione del presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese Mahmud Abbas, secondo cui l’ANP sta
interrompendo i contatti con Israele, potrebbe non aiutare, ma ciò non
impedisce uno scambio di segnali con i funzionari della sicurezza
palestinese nel contesto della cooperazione per la sicurezza o uno
scambio di idee tra Israele, i palestinesi e i giordani.
Sabato
un dirigente giordano ha detto ad Haaretz che il re Abdullah comprende
la necessità di controlli per la sicurezza, ma ha aggiunto: “Quando la
questione viene percepita come una lotta per il prestigio tra Israele ed
i palestinesi, e, cosa non meno [importante], come una lotta politica
interna nel governo israeliano, il re non può chiedere ai palestinesi di
cedere in nome della stabilità del governo israeliano.”
Questi
commenti contengono un indizio dell’attesa dei giordani di un gesto da
parte di Israele che dia argomenti al monarca giordano per convincere
Abbas ad accettare nuovi accordi per la sicurezza sul Monte del Tempio.
E’ possibile che Netanyahu riceva messaggi simili dal presidente
egiziano.
Ora
la questione decisiva è in quale misura il primo ministro israeliano
possa accettare di spogliare i metal detector del simbolismo che hanno
assunto ed acconsentire a proposte che siano accettabili anche per i
dirigenti arabi. In questo processo, potrebbe anche rafforzare le
fondamenta delle relazioni con loro.
(traduzione di Amedeo Rossi)
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