Richard Silverstein :Senza precedenti e incendiario: perché il boicottaggio di Al-Aqsa è importante
Senza
precedenti e incendiario: perché il boicottaggio di Al-Aqsa è
importante TOPICS:Al AqsaCisgiordaniaGazaGerusalemmeIsraelemetal
detectorMiddle…
Le
nuove misure di sicurezza sull’Haram al-Sharif violano gli accordi tra
Giordania ed Israele, non evitano la ripetizione dell’ultimo attacco di
venerdì e alimentano ulteriormente l’odio.
Lo
scorso venerdì tre palestinesi con cittadinanza israeliana della città
settentrionale di Umm al Fahm hanno attaccato poliziotti fuori
dall’Haram al-Sharif [la Spianata delle Moschee, ndt.], il terzo luogo
più sacro per l’Islam (noto agli ebrei israeliani come il “Monte del
Tempio”).
Negli
ultimi anni Israele ha imposto una serie di misure che restringono
l’accesso dei musulmani al luogo, mentre periodicamente ha anche
incrementato aggressioni armate da parte di poliziotti contro la moschea
di Al-Aqsa e i fedeli che vi si trovavano.
Queste
violazioni della sacralità dei luoghi hanno fatto infuriare i musulmani
in tutto il mondo, ma soprattutto i palestinesi, sia in Israele che in
Cisgiordania. Molte delle continue violenze degli attacchi di ‘lupi
solitari’ contro bersagli israeliani, che hanno lasciato circa 50
israeliani e 250 palestinesi uccisi, sono state motivate da sdegno
religioso contro la condotta di Israele.
L’attacco
di venerdì è stato il più audace in tempi recenti. Tre membri di un
clan locale, tutti denominati Muhammad Jabareen, sono riusciti a far
passare armi all’interno della città santa di Gerusalemme, poi le hanno
recuperate ed hanno sparato contro la polizia. Hanno ucciso due
poliziotti drusi israeliani e ne hanno leggermente ferito un altro.
Come
è tipico di queste situazioni, lo Shin Bet ha imposto un ordine
restrittivo delle informazioni su alcuni aspetti del caso. Ha rifiutato
di dire il nome degli aggressori, benché avesse le loro carte d’identità
e sapesse chi erano. Ho pubblicato i loro nomi e foto delle carte
d’identità con l’aiuto di fonti riservate della sicurezza israeliana. In
seguito la misura restrittiva è stata tolta.
Dopo
aver attaccato la polizia, gli uomini armati sono fuggiti all’interno
dell’Haram al Sharif, dove le forze di sicurezza israeliane li hanno
inseguiti ed uccisi. Un video girato da palestinesi mostra uno degli
aggressori a terra disarmato. Dopo essersi alzato ed aver tentato di
scappare, viene abbattuto da una scarica di proiettili.
E’
normale che in simili circostanze le forze israeliane uccidano gli
attaccanti indipendentemente dal fatto che siano armati o che abbiano
causato danno ad altri. Il metodo di esecuzione è a volte definito il
“colpo di grazia”. Una volta che un palestinese ha ucciso o ferito un
israeliano in questi attacchi, la sua vita è considerata nella
maggioranza dei casi persa.
Tante accuse, nessuna responsabilità
In
altri Paesi, dopo una minaccia grave alla sicurezza, le autorità
prenderebbero approfonditamente in esame le circostanze che hanno
consentito che avvenisse l’incidente, una assunzione di responsabilità
che l’opinione pubblica pretenderebbe a gran voce.
Mentre
i responsabili israeliani della sicurezza potrebbero aver condotto
questa analisi, pochi hanno messo in discussione come lo Shin Bet
[servizio di intelligence interno, ndt.] e la polizia abbiano permesso a
tre uomini armati di lanciare un attacco così sanguinoso. Invece questi
due organi si sono impegnati in una guerra tra loro, additandosi per
incolparsi l’un l’altro. Nel frattempo nessuno si è assunto la
responsabilità concreta.
La
principale discussione riguarda se i metal detector, che sono stati
installati immediatamente dopo l’attacco, avrebbero dovuto essere stati
usati prima, e se avrebbero evitato l’aggressione.
Tuttavia non c’è una tale sicurezza, salvo che la polizia israeliana voglia obbligare ogni
palestinese che entra da ogni porta della Città Vecchia a sottomettersi
a simili controlli. Ciò richiederebbe la militarizzazione totale di una
delle più sacre città al mondo e il posizionamento di decine, se non
centinaia, di metal detector. Ciò significherebbe lunghe file per chi
desidera entrarvi, anche per i turisti che alimentano una parte
importante dell’economia locale.
I poliziotti e gli aggressori
L’identità
etnica sia dei poliziotti morti che dei loro assassini è di particolare
importanza. I poliziotti erano drusi israeliani. La loro religione è
una derivazione dell’islam, ma sono sempre stati considerati una
minoranza e a volte perseguitati.
Dalla
fondazione di Israele nel 1948, lo Stato ha coltivato relazioni di
amicizia con i drusi ed essi in cambio hanno servito nell’esercito
israeliano, a differenza del resto dei musulmani palestinesi, che
rifiutano il servizio militare.
Anche
se ciò sta cambiando negli ultimi anni, i drusi sono visti come ancora
più aggressivi del soldato ebreo israeliano medio. I soldati drusi sono
stati coinvolti in molte uccisioni controverse di civili disarmati a
Gaza ed altrove.
I
rapporti tra i drusi e gli ebrei israeliani sembrano seguire un tipico
modello coloniale, in cui il potere dominante cerca di dividere la
popolazione nativa maggioritaria favorendo una singola tribù minoritaria
a danno del resto. In altre parole, divide et impera.
Gli
sparatori erano, come ho detto, di una città del nord di Israele. Umm
al Fahm è un focolaio a sostegno della sezione settentrionale del
Movimento Islamico, guidato dal leader musulmano, l’ imam Raed Salah. E’
anche la sua città natale. E’ stato più volte arrestato per aver
incitato alla resistenza contro la gestione israeliana dei luoghi santi
musulmani di Gerusalemme.
Negli
ultimi anni la maggior parte degli attacchi palestinesi contro
israeliani sono stati perpetrati da persone che vivevano a Gerusalemme,
nei dintorni o in Cisgiordania. Relativamente pochi di questi attacchi
hanno coinvolto palestinesi con cittadinanza israeliana, che sono in
genere considerati una popolazione più leale e “affidabile” di quella
fuori da Israele (in Cisgiordania e a Gaza).
Con
questa rivolta, che ora coinvolge la minoranza palestinese israeliana,
Israele entra in un periodo ancora più teso ed instabile di quello che
ha affrontato in passato.
Resistenza alla repressione
La
risposta ufficiale israeliana all’attacco è stata pronta e pesante.
Tutta la Haram al-Sharif è stata chiusa per la prima volta da quando un
cristiano evangelico australiano con problemi mentali tentò di iniziare
una guerra santa facendo saltare in aria la moschea di Al-Aqsa nel 1969.
Andando
persino oltre, le forze di sicurezza hanno chiuso tutta la Città Santa
con molteplici posti di controllo destinati ad evitare che chiunque
entrasse nella parte palestinese della all’interno delle mura. Mercanti
con i negozi nel suk sono stati minacciati con pesanti sanzioni se li
avessero tenuti aperti. Anche questa è stata un’iniziativa senza
precedenti.
Mentre
Israele l’ha presentato come un tentativo di impedire ai palestinesi di
mettere in atto proteste di massa che avrebbero potuto portare a una
nuova “Intifada”, ciò ha colpito i palestinesi come una forma di
punizione collettiva per l’attacco contro la polizia israeliana. Simili
azioni sono una violazione delle Convenzioni di Ginevra, a cui in simili
circostanze Israele spesso attribuisce scarso valore.
Lunedì
Israele ha riaperto l’Haram al-Sharif e in parte la Città Vecchia,
benché la maggior parte delle porte nella zona siano rimaste chiuse. Ma
ci sono stati cambiamenti radicali nelle procedure della sicurezza.
Personale della sicurezza ha installato metal detector e
videosorveglianza in modo unilaterale. Questa è stata una violazione del
cosiddetto status quo, a cui il primo ministro israeliano Benjamin
Netanyahu ha falsamente detto che Israele si stava attenendo.
In
base a queste regole, qualunque cambiamento dei luoghi sacri deve
essere accettato sia dalle autorità giordane (che sono i custodi dei
luoghi musulmani) che israeliane. Ma Israele ha messo in pratica questi
cambiamenti senza alcuna consultazione.
Se i britannici reprimessero i cattolici
Il
risultato è stato un prolungato boicottaggio musulmano al luogo sacro.
Nei tre giorni successivi i fedeli hanno pregato appena fuori dai nuovi
metal detector installati, rifiutando di sottoporsi a questo atto
avvilente. I musulmani vedono questo come una dissacrazione dello status
sacro del luogo e un insulto alla loro fede.
Immaginate
se i britannici, che hanno quella anglicana come religione di Stato,
decidessero che i fedeli cattolici rappresentano una minaccia alla
sicurezza nazionale e imponessero metal detector, videocamere e una
massiccia presenza della polizia fuori dalla principale cattedrale
cattolica. Ci sarebbe sicuramente una rivolta di massa, non solo tra i
cattolici ma probabilmente anche tra gli anglicani.
La
classe politica israeliana tratta il problema palestinese in modo
schizofrenico. Rifiutano di vedere gli interessi dei palestinesi come
parte dei più complessivi interessi israeliani. Essi si dividono in due
classi diverse: gli interessi degli ebrei israeliani che sono di
primaria importanza e tutto il resto che è isolato e secondario.
E’
così che Netanyahu, di fronte a una gravissima crisi di fiducia tra la
minoranza palestinese-israeliana, può ignorare la questione e iniziare
un viaggio di cinque giorni nelle capitali centro-europee (tra cui
Budapest e Varsavia), i cui governi appoggiano massicciamente il suo
programma islamofobo e contro i rifugiati.
I
media israeliani vedono il viaggio come un disperato tentativo di
uscire dal peso di un crescente scandalo che coinvolge la corruzione
legata all’acquisto di sottomarini nucleari tedeschi per 10 miliardi di
dollari.
Nessuno
suggerisce che Netanyahu dovrebbe posticipare il suo viaggio per
affrontare la crisi di Gerusalemme. Non c’è neppure un ripensamento
nelle sue valutazioni politiche, nonostante il primo ministro in
difficoltà abbia appena annunciato che avrebbe ridotto di un giorno la
sua visita.
– Richard Silverstein scrive
sul blog Tikun Olam, dedicato a denunciare gli eccessi dello Stato
della sicurezza nazionale israeliano. Il suo lavoro appare su “Haaretz”,
su “Forward”,” sul “Seattle Times” e sul “Los Angeles Times”. Ha
contribuito alla raccolta di saggi dedicata alla guerra del Libano del
2006 “Tempo di denunciare apertamente” (Verso) e ha un altro saggio
nella raccolta che sta per uscire: “Israele e Palestina: prospettive di
statualità alternative” (Rowman & Littlefield).
Le
opinioni espresse in questo articolo sono dell’autore e non riflettono
necessariamente la politica editoriale di Middle East Eye.
(traduzione di Amedeo Rossi)
zeitun.info
Jordan’s
police released an account of the killings of two Jordanians by an
Israeli Shin Bet agent, who was deputy chief of security for the Israeli
embassy in Amman. The official account contradicts in substantial ways
the Israeli version, which has been the only account reported in the
media for…
www.richardsilverstein.com|Di Richard Silverstein
Commenti
Posta un commento