Paola Caridi : La linea rossa, a Gerusalemme
La
linea rossa, a Gerusalemme 21 luglio 201721 luglio 2017 - Paola Le
immagini mostrano più delle parole, ormai da tempo. Mai, mai almeno
negli ultimi 15 anni, Salaheddin Street è stata così simbolica. La
strada commerciale di Gerusalemme est, la strada che conduce a una delle
Porte della Città Ve...
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Le immagini mostrano più delle parole, ormai da tempo. Mai, mai
almeno negli ultimi 15 anni, Salaheddin Street è stata così simbolica.
La strada commerciale di Gerusalemme est, la strada che conduce a una
delle Porte della Città Vecchia meno conosciute ma più frequentate dalla
popolazione palestinese. Salaheddin street, la strada che finisce,
proprio accanto alle Mura antiche di Solimano il Grande, con il posto di
polizia israeliana e l’ufficio postale dove (senza alcuna privacy) i
palestinesi di Gerusalemme votarono nelle elezioni politiche del 2006.
Salaheddin street, la strada più vivace di Gerusalemme est, è diventata
stamattina una moschea a cielo aperto. Le immagini mostrano una strada
piena di fedeli, giù fino in fondo, fin dove può arrivare l’obiettivo.
Un’altra delle linee rosse di Gerusalemme è stata superata Si chiama
Al Aqsa, la Spianata delle Moschee. Non è la prima volta, certo. Poco
più di vent’anni fa, nel 1996, un’altra delle linee rosse nel cosiddetto
Bacino Sacro di Gerusalemme fu superata anche allora dal premier
Benjamin Netanyahu. La linea rossa del tunnel che corre lungo che mura
che reggono l’enorme Spianata delle Moschee, voluta dal governo
israeliano per sostenere con storia e archeologia la presenza ebraica
dentro la Città Vecchia, fu una rottura consapevole dello status quo che
vige nel cuore di Gerusalemme. Non è mai da dimenticare che, per lo
sviluppo storico del conflitto israelo-palestinese, la Città Vecchia è
occupata dalle autorità israeliane dal 1967, esattamente da mezzo secolo
fa. Vige, dunque, il diritto internazionale che regola i comportamenti
della potenza occupante (Israele) su una porzione di città in cui vive
la popolazione palestinese.
Nel 1996, la crisi del Tunnel Asmoneo
costò la vita di almeno cento palestinesi e 17 israeliani. Ce lo
possiamo immaginare, vent’anni dopo, come simile a quello che sta
succedendo da tre giorni a Gerusalemme. Con una differenza, evidente non
solo nella foto che ho scelto per questo post, ma nelle decine e decine
di foto, nei video che – a differenza di allora – riempiono il nostro
archivio individuale, digitale delle notizie. La città è militarizzata, i
giornali locali parlano di tremila poliziotti, in tenuta antisommossa e
giubbotti antiproiettile. In una città in cui la presenza di armi è di
quasi esclusivo monopolio di forze di sicurezza e coloni israeliani. E
le forze di sicurezza israeliane sono intervenute su civili che
pregavano, stringendo come in un cordone la Città Vecchia. La resistenza
non violenta, sinora, è la componente più importante di quella che, tra
i palestinesi, viene chiamata la “crisi degli scanner”.
La crisi comincia con un’altra linea rossa superata. Un attentato
compiuto sulla Spianata delle Moschee da tre palestinesi con
cittadinanza israeliana provenienti dall’area di Umm al Fahm. Cittadini
israeliani, dal punto di vista giuridico. Un uomo di 29 anni, due
ragazzi di 19, uccidono due poliziotti di frontiera israeliani. Drusi,
per la precisione, perché sono drusi i poliziotti di frontiera
israeliani che sono dislocati in luoghi sensibili. Come tutta l’area
della Spianata delle Moschee e delle porte che immettono sulla zona
sacra, il terzo luogo santo dell’islam. La violenza, da anni, ha ormai
superato quel singolare livello di guardia che ne faceva un luogo
differente rispetto al resto di Gerusalemme. Un attentato di questo
tipo, però, non ha praticamente precedenti, negli ultimi decenni. Anche
perché indica quanto la violenza a Gerusalemme si connoti come, a suo
modo, una guerra civile. Una guerra della città. Un conflitto che va
oltre il confronto tra palestinesi e israeliani. Le vittime
dell’attentato del 14 luglio non sono israeliani ebrei. Avevano un
passaporto israeliano, fedi diverse, humus culturale profondamente
diverso. I tre attentatori venivano da una cittadina considerata
roccaforte del Movimento Islamico, una formazione politica e d’opinione
fortemente conservatrice, in Israele. Venivano dal triangolo di Umm al
Fahm.
Dopo l’attentato del 14 luglio, le autorità israeliane hanno deciso
la linea dura, nonostante molte – soprattutto tra i ranghi della
sicurezza – erano state le voci contrarie a un innalzamento di misure
che avrebbero dato fuoco alle polveri. Alla base di una tensione che in
molti sapevamo sarebbe scoppiata, vi è stata la decisione di installare
dei metal detector a ridosso delle grandi porte che immettono sulla
Spianata, soprattutto vicino alla Porta dei Leoni, ingresso attraverso
il quale passano molti dei fedeli musulmani, e alla porta del Waqf, la
massima autorità islamica che sovrintende alle Moschee e al patrimonio.
Visto con occhi europei, e con gli occhi di chi è sempre più
sensibile in Italia ai temi della sicurezza, non si riesce a comprendere
come mai installare dei metal detector possa accendere un fuoco che si
diffonde con tale rapidità. Vista con gli occhi dei palestinesi, che da
anni vedono messa a rischio la loro stessa presenza, esistenza a
Gerusalemme est, e dunque in Città Vecchia, quello che succede da tre
giorni a questa parte in città assume tutta un’altra dimensione. A
gestire i metal detector che immettono sulla Spianata delle Moschee è la
polizia israeliana, cioè la potenza occupante: non è la polizia
riconosciuta come uno dei corpi di uno Stato, quella a cui viene
demandata la sicurezza dei cittadini. Che la tensione potesse scoppiare,
d’altro canto, lo scrivono da oltre un decennio i consoli europei a
Gerusalemme, preoccupati proprio di quello che, ora, sta succedendo.
Parole scritte, ma al vento. Parole che stigmatizzano la presenza dei
coloni all’interno dei quartieri che fanno da cintura alla Città
Vecchia, e persino dentro il Quartiere Musulmano della zona antica.
Parole che sottolineano come la pressione di esponenti radicali
israeliani per cambiare lo status quo sulla Spianata delle Moschee può
solo far esplodere una rabbia già evidente. Per i palestinesi, la paura
di fondo è quello che hanno visto a Hebron/Khalil: la hebronizzazione
della parte storica della città, a causa della presenza dei coloni
israeliani.
Micce che rischiano di essere accese da almeno dieci anni, ogni
giorno di più. Oggi, sono state accese. E tutti noi, che a Gerusalemme,
di fronte alla Città Vecchia abbiamo vissuto così a lungo, ci chiediamo
cosa succederà domani. Perché noi, quelli che sono stati abitanti di
Gerusalemme, non lo sappiamo. Sappiamo, però, che le decisioni prese su
Gerusalemme e sui suoi abitanti non sono né indolori, né possono essere
prese come se si fosse in una gara di braccio di ferro.
Uno dei tragici episodi di oggi, peraltro, è il simbolo di ciò di
cui parlavano i consoli europei, analisti, giornalisti, studiosi (mi
metto in questo novero). A uccidere un ragazzo palestinese di 17 anni
alla nuca, dicono i testimoni e scrivono i giornali israeliani, è stato
un colono. Immortalato in una foto che gira su twitter, armato con un
fucile ad alta precisione, un fucile da cecchino. Il ragazzo, Mohammed
Sharaf, si era da poco diplomato, come testimonia la sua foto con la
classica toga e il tocco. Come diplomato da poco era Mohammed Lutfi, 18
anni, ucciso dalla polizia israeliana. Vorrei, per loro, la stesso
spazio che giustamente è stato dedicato ai morti israeliani.
Aggiornamento: Gli scontri continuano. Sono stati arrestati alcuni dei leader politici palestinesi di Gerusalemme. I morti accertati sono 3, tutti ragazzi palestinesi. Anche se si parla di una quarta vittime. In almeno due casi, i funerali delle vittime sono stati fatti subito, per evitare che i soldati israeliani sequestrassero i corpi e li restituissero, come quasi sempre è successo, dopo molti mesi e lunghe trattative. Il corpo di una delle vittime è stato portato fuori dall’ospedale praticamente di nascosto, prima che arrivassero i soldati. Basta una semplice ricerca su twitter (preferibilmente in arabo, ma anche in inglese può essere sufficiente) per trovare foto e video sulle vittime.
Povera Gerusalemme, città che nasconde i suoi abitanti al mondo.
I nodi della cattiva Storia, a Gerusalemme
Chi ha vissuto a Gerusalemme sa che è proprio Gerusalemme la linea rossa da non superare. Quello che sta succedendo in Città Vecchia è una miccia già accesa. Ma la prudenza non c’è, di questi tempi. E la ‘guerra civile’, stavolta, rischia di scoppiare. Continua a leggere
Holy (and cruel) basin – 2
Imagine a new paradigm for Israel/Palestine. Imagine today a new
paradygm for Jerusalem. The Holy Places. How many hobstacles would you
find?
These are few lines I wrote some months ago, after my recent journey in the Middle East and my visit to Jerusalem. I visited the Haram al Sharif, in November, and I met some of the leading religious Muslim figures. I walked on the same stones that where the tragic stage on the last attack on the Mosques’ Esplanade. Continua a leggere
These are few lines I wrote some months ago, after my recent journey in the Middle East and my visit to Jerusalem. I visited the Haram al Sharif, in November, and I met some of the leading religious Muslim figures. I walked on the same stones that where the tragic stage on the last attack on the Mosques’ Esplanade. Continua a leggere
Holy (and cruel) basin
“any concession or abrogation of existing rights tended to
become the thin end of a wedge before which other rights were apt to
disintegrate. Chairs, they feared, would become wooden benches, wooden
benches iron benches, iron benches fixed stone benches, with the
corollary that covering from above against sun and rain and from the
side against cold was equally a matter of humanity; so that the Waqf
would one day find houses belonging to others erected against their
wishes upon their own property. Such exaggerated suspicions had been for
centuries at the root of most of the constantly recurring trouble
between the various Christian rites at the Holy Sepulchre”. Continua a leggere
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