Jonathan Cook :Uno stato Gaza-Sinai una possibilità per i palestinesi?







Gaza è stata al centro di intensi colloqui a porte chiuse nelle settimane recenti col crescere dell’inquietudine tra gli stati arabi per la crisi umanitaria che si sta sviluppando nell’enclave costiera.
I palestinesi del luogo stanno soffrendo un’estate torrida con a malapena alcune ore di elettricità al giorno, dopo che l’Autorità Palestinese (PA) di Mahmoud Abbas si è rifiutata di finanziare servizi essenziali. Abbas sta cercando di indebolire i suoi rivali di Hamas che governano Gaza e di affermare la propria autorità.
Sullo sfondo si sta approssimando rapidamente una scadenza nefasta. Ci si aspetta che Gaza sia “inabitabile” nel giro di pochi anni, secondo previsioni delle Nazioni Unite. La sua economia è stata distrutta da anni di attacchi militari israeliani e di un embargo congiunto israeliano-egiziano; la sua popolazione è prevalentemente indigente e le sue falde acquifere sono sempre più inquinate dall’acqua marina.
La popolazione rapidamente crescente di Gaza, due milioni di abitanti, sta già soffocando in un minuscolo brandello di territorio. A maggio il Comitato Internazionale della Croce Rossa ha avvertito che Gaza era sull’orlo di un “collasso sistemico”.
Israele ha buoni motivi per temere il futuro. Un’altra tornata di scontri con Hamas e pesanti perdite tra i palestinesi comuni danneggeranno ulteriormente la sua immagine. E presto o tardi i palestinesi comuni probabilmente si solleveranno e abbatteranno le recinzioni di sicurezza che li imprigionano.
Per questo motivo Israele e i suoi sostenitori a Washington – così come gli stati arabi – sono alla disperata ricerca di un rimedio.
E’ in questo scenario che i palestinesi hanno meditato sul significato di una serie di recenti incontri segreti tra Egitto, Hamas e Mohammed Dahlan, un capo esiliato di Fatah e nemico di Abbas. Stanno preparando il terreno per una soluzione permanente per Gaza, e una soluzione che sarà in larga misura alle condizioni di Israele?
Pressioni sull’Egitto?
Una possibilità – nota per essere molto favorita da Israele – consisterebbe nell’organizzare la creazione di uno stato palestinese a Gaza e poi premere sull’Egitto perché gli consenta di estendersi nel territorio confinante del Sinai settentrionale.
Secondo questo piano non solo la maggior parte della popolazione di Gaza finirebbe nel Sinai, ma lo stesso farebbero potenzialmente milioni di profughi palestinesi.
Atef Eisa, un giornalista di Gaza City, ha dichiarato ad Al Jazeera che gli incontri tra Egitto, Hamas e Dahlan sono stati il principale argomento di discussione nell’enclave: “La gente intende che Israele vuole Gaza permanentemente separata dalla West Bank. Si chiede se il Sinai potrebbe essere un modo per ottenerlo”.
Sospetti di uno stato Gaza-Sinai non sono nuovi. In realtà c’è forte evidenza che Israele ha premuto aggressivamente, assieme agli Stati Uniti, per creare uno stato palestinese nel Sinai dopo il ritiro dei suoi soldati e coloni dalla Striscia di Gaza più di un decennio fa.
Ora circolano voci che il piano Sinai viene resuscitato. Gli astri sono allineati a favore di Israele? L’amministrazione statunitense di Donald Trump è apertamente dalla sua parte; Hamas è al suo massimo livello di debolezze e Israele è sempre più vicino all’Egitto e all’Arabia Saudita.
“Non c’è dubbio che è questo che a Israele piacerebbe veder accadere”, ha dichiarato ad Al Jazeera Shwqi Issa, un analista palestinese ed ex ministro della PA.
Issa ritiene che Israele sia ora fermamente determinato a trasformare Gaza nello stato palestinese, come parte di una soluzione regionale che potrebbe anche vedere le città palestinesi della West Bank, attualmente sotto Abbas, ricadere alla fine sotto la responsabilità giordana.
Una simile soluzione regionale – che Israele definisce la sua strategia “dall’esterno all’interno” [outside-in] dipende dall’aiuto egiziano. “La principale difficoltà dell’opzione Sinai consiste nel placare le preoccupazioni dell’Egitto”, ha detto Issa. “Israele e gli Stati Uniti possono gestire la cosa solo come parte di uno spettacolare ridisegno dell’intero Medio Oriente”.
Il piano di “Gaza allargata”
Il piano richiede che il Cairo accetti un umiliante compromesso sulla sua sovranità cedendo territori in Sinai, forse in cambio di terre israeliane nel Negev. Comprometterebbe anche richieste arabe di lungo corso che uno stato palestinese sia realizzato nella Palestina storica.
Ma, cosa più importante, il regime militare di Abdel Fattah el-Sisi è preoccupato per un’espansione dell’influenza di Hamas nel Sinai, che rafforzerebbe il sostegno alla Fratellanza Mussulmana egiziana, organizzazione sorella di Hamas e principale avversaria del governo di Sisi.
Tuttavia la misura dell’opposizione egiziana è lungi dall’essere chiara, specialmente considerato che può subire dure pressioni dall’amministrazione Trump e dagli stati del Golfo a guida saudita per alleviare i problemi di Gaza.
In effetti servizi dei media israeliani suggerivano nel 2014 che Sisi poteva aver accettato di cedere a Gaza 1.600 chilometri quadrati nel Sinai, ampliando di cinque volte la dimensione dell’enclave. Ciò avrebbe realizzato la visione israeliana di uno stato palestinese demilitarizzato che chiama “Gaza allargata”.
Abbas risulta aver rigettato interamente il piano.
Non sorprendentemente dirigenti sia egiziani sia palestinesi hanno pubblicamente negato le notizie. Ciò nonostante Abbas e i suoi funzionari sono parsi successivamente corroborare alcuni aspetti della narrazione.
In un incontro di lealisti di Fatah dell’agosto 2014 Abbas risulta aver detto che “un alto dirigente egiziano” gli aveva detto: “Si deve trovare un rifugio per i palestinesi e noi abbiamo tutta questa terra libera”.
Una settimana dopo egli ha dichiarato alla televisione egiziana che il piano israeliano era stato “purtroppo accettato da alcuni qui [in Egitto] … Non chiedetemi altro al riguardo. Noi l’abbiamo abolito”.
Abbas non è stato chiaro se tali riferimenti erano e Sisi o al suo predecessore, Mohamed Morsi, che aveva brevemente guidato un governo della Fratellanza Mussulmana prima di essere rovesciato dall’esercito egiziano.
Al tempo stesso un articolo sul giornale arabo con sede a Londra, Asharq Al-Awsat, indicava quanto a lungo il piano del Sinai poteva essere stato in gestazione. Un assistente di Hosni Mubarak, il presidente egiziano fino alla sua deposizione nel 2011, ha citato l’affermazione dell’ex leader: “Stiamo combattendo sia gli Stati Uniti sia Israele … Tra un anno o due il problema dei campi profughi palestinesi nel Sinai sarà internazionalizzato”.
Indizi dell’alleato di Netanyahu
Indicazioni che il piano del Sinai può essere stato resuscitato ad alto livello arrivano da Ayoub Kara, un ministro governativo e alleato del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu.
A febbraio, poco prima che Netanyahu e Trump si incontrassero a Washington, Kara ha scritto via Twitter che i due leader avrebbero “adottato il piano dell’egiziano Sisi. Uno stato palestinese a Gaza e nel Sinai”.
Kara ha aggiunto che ciò offrirebbe una soluzione regionale del genere di cui funzionari di Netanyahu e di Trump hanno parlato recentemente: “E’ così che apriremo una via alla pace, anche con la coalizione sunnita [di stati arabi]”.
Dirigenti egiziani si sono di nuovo affrettati a diramare smentite. Ma le dichiarazioni di Kara hanno suscitato tanto allarme che un gruppo di avvocati egiziani di spicco ha avviato una causa contro qualsiasi mossa del Cairo per reinsediare i palestinesi nel Sinai.
In quello che potrebbe essere considerato un precedente territoriale, il parlamento egiziano ha approvato nel mese scorso il trasferimento di due isole, Tiran e Sanafir, all’Arabia Saudita in cambio di miliardi di dollari di investimenti nella malata economia dell’Egitto.
Soluzione regionale
Ci sono buoni motivi per i quali Israele può ritenere che tutte le tessere stiano finendo al loro posto per realizzare uno stato palestinese prevalentemente fuori dai confini della Palestina storica.
Hamas è al suo livello più basso che mai, con dirigenti israeliani che dicono che il movimento sta “lottando per la vita”. Dopo le mosse egiziane e a guida saudita per emarginare il Qatar e il sostegno turco Hamas è quasi privo di amici.
La carota di una Gaza Allargata sarebbe per Hamas l’occasione per governare uno spazio territoriale più sostanzioso, risolvendo la crisi umanitaria dell’enclave e riabilitando il movimento islamico agli occhi della comunità internazionale.
Naji Shurrab, un politologo dell’Università Al-Azhar di Gaza, ha dichiarato al Jerusalem Post che la creazione di uno stato palestinese a Gaza sarebbe il primo passo. Ma ritiene che vi sarebbe incluso anche territorio del Sinai una volta affrontate le preoccupazioni egiziane per la sicurezza.
Israele si è dichiarato pubblicamente con i suoi stretti legami di sicurezza con l’Egitto e con l’altro stato regionale chiave, l’Arabia Saudita. I due condividono le preoccupazioni di Israele riguardo al ridimensionamento dell’influenza iraniana sulla regione e sembrano dare priorità a tale alleanza anziché alla causa palestinese.
Ci sono indicazioni che la Casa Bianca si sta impegnando in una vigorosa diplomazia della navetta con l’Arabia Saudita, l’Egitto e la Giordania per contribuire a quello che Trump ha definito “l’accordo definitivo” per la pace.
La figura centrale di Dahlan
E per quanto riguarda Abbas, che in precedenza ha respinto il piano della Gaza Allargata?
E’ molto più debole di quanto era pochi anni fa e si è alienato l’Arabia Saudita e l’Egitto con la sua continua aspra faida con Mohammed Dahlan, il suo rivale chiave nel movimento Fatah e l’uomo che gli stati arabi vorrebbero vedergli succedere.
Yoni Ben Menachem, un ex funzionario dei servizi segreti israeliani, ha dichiarato alla rete israeliana Channel 1 in precedenza questo mese che Sisi intende deporre Abbas.
Dahlan vive in esilio a Dubai, nel Golfo, a quanto si afferma canalizzando fondi dagli Emirati Arabi Uniti a Gaza e nella West Bank occupata per comprarsi popolarità e influenza politica. Ci sono anche sospetti consolidati che Dahlan sia vicino a dirigenti di Washington.
Di fatto Dahlan sta rapidamente emergendo come figura centrale, promosso da Riyadh e dal Cairo. Potrebbe essere lui la chiave per sbloccare il piano della Gaza Allargata?
Nelle settimane recenti una serie di incontri segreti a tre tra Dahlan, Hamas e figure della sicurezza egiziana ha tentato di ideare un nuovo accordo di condivisione di potere a Gaza.
Notizie suggeriscono che l’Egitto accetterà di riaprire il valico di Rafah da Gaza al Sinai se la sicurezza sarà controllata da lealisti di Dahlan anziché da Hamas. Secondo alcune notizie Dahlan può addirittura diventare primo ministro di Gaza, con leader di Hamas sotto di sé.
Hamas rassicura il Cairo
Hamas ha cercato di dimostrare la sua buona fede creando una zona cuscinetto a Gaza per impedire a combattenti dello Stato Islamico dell’Iraq e del Levante (ISIL, noto anche come ISIS) che hanno attaccato soldati egiziani nel Sinai settentrionale, di usare gallerie per trovare rifugio nell’enclave. “Queste misure servono da messaggio di assicurazione alla parte egiziana”, ha dichiarato a giornalisti Tawfiq Abu Naeel, capo dei servizi di sicurezza di Gaza.
Quello che sta lentamente emergendo appare in modo sospetto un progetto di uno “stato di Gaza”.
Questa soluzione potrebbe rassicurare l’Egitto e Israele che l’influenza di Hamas può essere contenuta e che il movimento può persino contribuire alla lotta contro l’ISIL. Da un Dahlan forte ci si potrebbe aspettare che limiti i tentativi di Hamas di armarsi, impedire il lancio di missili contro Israele e bloccare qualsiasi alleanza con la Fratellanza Mussulmana dell’Egitto.
Supponendo che il modello abbia successo e con Abbas probabilmente presto fuori dai giochi il piano del Sinai potrebbe essere appropriatamente rivelato con Dahlan e Hamas che mantengono l’ordine in uno stato palestinese nel Sinai settentrionale, patrocinato dall’Arabia Saudita e dall’Egitto.
Tutto questo potrebbe essere venduto al mondo in osservazione come un gesto supremamente umanitario: la fine delle sofferenze dei palestinesi a Gaza e nella regione.
Rimane tuttavia da chiedersi se Israele e gli Stati Uniti sono in grado di portare a termine la cosa.

Da Znetitaly – Lo spirito della resistenza è vivo
Originale: Aljazeera
Traduzione di Giuseppe Volpe
Traduzione © 2017 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3.

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