Jonathan Cook : Le ritorsioni sempre più sadiche di Israele rafforzano negli Ebrei un senso collettivo di vittimismo.
Le ritorsioni sempre più sadiche di Israele rafforzano negli Ebrei un senso collettivo di vittimismo.
The National, 11 luglio 2017.
Quando, l’anno scorso, Israele ha approvato una nuova legge contro il
terrorismo, Ayman Odeh, un leader della vasta minoranza di Palestinesi
con cittadinanza israeliana, ha descritto le misure draconiane di questa
nuova legge, definendole “l’ultimo respiro” del colonialismo. Ha
inoltre affermato: “Mi sembra di vedere … il panico dei Francesi alla
fine dell’occupazione d’Algeria”.
Il panico e la crudeltà hanno toccato il fondo la settimana scorsa,
quando i funzionari israeliani hanno intentato una causa da 2,3 milioni
di dollari contro la famiglia di Fadi Qanbar, che a gennaio aveva
lanciato un camion contro dei soldati a Gerusalemme, uccidendone
quattro. Fadi è stato ucciso immediatamente sul posto.
La causa esige dall’ormai vedova di Fadi, Tahani, di rimborsare ad
Israele il risarcimento che lo stato ha pagato alle famiglie dei
soldati. Se non dovesse riuscire a procurarsi questa somma astronomica,
il debito passerà ai suoi quattro figli, il più giovane dei quali
attualmente ha solo sette anni.
Secondo alcune fonti, sembra che Israele stia preparando molti casi simili.
Come altre famiglie di Palestinesi che hanno commesso attacchi, i
Qanbar sono dei senza-tetto dopo che Israele ha sigillato con il cemento
la loro casa di Gerusalemme Est. Dodici loro parenti sono stati altresì
privati dei documenti di residenza, e ciò avviene come preludio alla
loro espulsione dalla Cisgiordania.
In verità, nessuna di queste persone ha commesso qualche illegalità:
il loro crimine è semplicemente quello di essere un parente stretto, la
moglie o semplicemente un amico di qualcuno che Israele definisce come
“terrorista”.
Questa tendenza sta aumentando. Come se non bastasse, Israele ha
richiesto all’Autorità Palestinese di non pagare più l’esiguo stipendio
mensile che dà a famiglie come quella dei Qanbar in cui il capofamiglia
sia stato ucciso o imprigionato. Nel sistema giudiziario militare
israeliano, la probabilità di essere condannati è di oltre il 99% per i
Palestinesi. Molti tra i condannati – parliamo di centinaia di detenuti –
sono inoltre incarcerati senza alcuna accusa.
Attraverso le imposte che raccoglie per conto dell’Autorità
Palestinese, Israele è in grado di sequestrare 280 milioni di dollari,
una somma equivalente al totale degli stipendi pagati alle famiglie,
cosa che potrebbe mandare in bancarotta l’Autorità Palestinese.
Mercoledì prossimo, i sostenitori di Israele presenteranno al Senato
degli Stati Uniti un analogo disegno di legge che intende bloccare
qualsiasi aiuto finanziario all’Autorità Palestinese (PA), se questa non
smette di “finanziare il terrorismo”. Issa Karaka, un funzionario
palestinese, ha dichiarato l’impossibilità da parte della PA di
accettare una tale legge, in quanto: “Quasi ogni famiglia palestinese …
ha un familiare prigioniero o martire”.
Israele ha portato ad estremi mai raggiunti le punizioni collettive –
una gravissima violazione del diritto internazionale – dilatando i
margini di tali punizioni fino a confini una volta immaginabili solo in
una favola da incubo come il 1948 di George Orwell.
Israele sostiene che un potenziale attaccante può essere dissuaso
solo se sa che i suoi cari subiranno una dura punizione. In altre
parole, Israele è disposto a usare qualsiasi mezzo per schiacciare la
determinazione dei Palestinesi a resistere alla sua brutale occupazione,
lunga oramai cinque decenni.
Stando all’evidenza dei casi, tuttavia, quando le persone raggiungono
una tale disperazione da esser disposte a morire nella lotta contro i
loro oppressori, a quel punto non si preoccupano più delle conseguenze
per le loro famiglie. Questa è stata la conclusione di un’indagine fatta
dall’esercito israeliano più di un decennio fa.
In verità, Israele è consapevole che la sua politica è inutile. Non
serve a dissuadere gli attacchi, ma fa parte di una complessa attività
di spostamento psicologico. Forme di vendetta sempre più sadiche stanno
rafforzando un senso collettivo e storico di vittimismo ebraico,
spostando l’attenzione degli Israeliani dal fatto reale che il loro
paese è a tutti gli effetti un brutale stato di insediamento coloniale.
Questo giudizio può sembrare severo, ma è sostenuto da uno studio,
pubblicato recentemente, sugli effetti riscontrati negli operatori che
utilizzano droni per eseguire esecuzioni extragiudiziali, nel corso
delle quali dei civili sono spesso uccisi per “danni collaterali”.
Un sondaggio statunitense ha rivelato che i piloti responsabili della
guida remota dei droni, molto presto sviluppano sintomi da stress
post-traumatico per aver inflitto così tanta morte e distruzione.
L’esercito israeliano ha poi ripetuto lo studio sui piloti che avevano
guidato dei droni su Gaza durante l’attacco del 2014 – atto estremo di
punizione collettiva, durante il quale circa 500 bambini palestinesi
sono stati uccisi nei bombardamenti durati quasi due mesi contro quella
piccola comunità.
I medici sono rimasti sorpresi nel constatare che i piloti non
mostravano segni di depressione o di ansia. I ricercatori ipotizzano una
possibile spiegazione: i piloti israeliani potrebbero sentirsi
paradossalmente più giustificati perché sono più vicini a Gaza rispetto
ai piloti statunitensi che operano in Afghanistan, in Iraq o in Yemen, e
si sentirebbero in questo senso le vere vittime, esposte in modo
diretto alla minaccia – nonostante facessero cadere, non visti, una
pioggia di morte sui Palestinesi.
Il voler mantenere ad ogni costo l’immagine di Israele come vittima
esclusiva porta a uno scandaloso sistema di due pesi e due misure. La
scorsa settimana il tribunale supremo israeliano ha sostenuto il rifiuto
da parte di alcuni funzionari di sigillare le case di tre ebrei che,
nel 2014, hanno rapito e poi bruciato vivo Mohammed Abu Khdeir, un
ragazzo di Gerusalemme di soli sedici anni.
Nel mese di maggio il governo israeliano ha rivelato di aver negato
il risarcimento spettante a Ahmed Dawabsheh, di soli sei anni, l’unico
sopravvissuto ad un incendio appiccato due anni fa da alcuni estremisti
ebrei alla sua casa, in cui persero la vita tutti i suoi familiari.
Il gruppo per i diritti umani B’Tselem ha recentemente avvertito che
Israele si è auto-esonerato dall’obbligo di risarcimento verso tutti i
Palestinesi sotto occupazione uccisi o resi disabili dall’esercito
israeliano – anche nel caso di illeciti penali.
Questo continuo aggiungere il danno alla beffa nei confronti dei
Palestinesi è possibile solo perché l’Occidente ha concesso a Israele di
crogiolarsi nel proprio status di vittima per così tanto tempo. È
giunto il momento di rompere questa bolla di auto-illusione e di
ricordare a Israele che l’oppressore è lui, non i Palestinesi.
Traduzione di Orena Palmisano
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