Giorgio Bernardelli : Le crisi del Medio Oriente si scaricano su Gaza
C'è
allarme. Le prime avvisaglie di una nuova crisi alle porte rimbalzano
dalle cronache di questi giorni che riferiscono del taglio dell’energia
elettrica nella Striscia, dettato da una resa dei conti politica.
terrasanta.net
C'è allarme. Le prime
avvisaglie di una nuova crisi alle porte rimbalzano dalle cronache di
questi giorni che riferiscono del taglio dell’energia elettrica nella
Striscia, dettato da una resa dei conti politica.
Tra
i tanti anniversari che scandiscono questo 2017 in Medio Oriente ce n’è
uno che è stato ricordato ben poco: il 15 giugno ricorrevano i dieci
anni dell’inizio del blocco di Gaza, messo in atto da Israele e
dall’Egitto dopo che Hamas assunse il controllo totale della
Striscia. Dieci anni di valichi tenuti aperti solo quel tanto che basta a
far sopravvivere un territorio tra i più densamente popolati al mondo,
dove oggi vivono 1,9 milioni di persone in appena 360 chilometri
quadrati. E scanditi da tre guerre che hanno ulteriormente aggravato la
situazione.
Gaza resta un grande buco nero del Medio Oriente, uno
di quei posti dove si preferisce non posare lo sguardo per non
scoperchiare una pentola di contraddizioni che non stanno ovviamente
tutte dalla stessa parte. Ma l’impressione è che - ancora una volta -
presto ci ritroveremo di nuovo a farci i conti. E le prime avvisaglie si
ritrovano proprio nelle cronache di questi giorni intorno alla
questione del taglio dell’energia elettrica nella Striscia.
Come sempre accade, le radici della vicenda stanno ben più lontano. Nell’aprile scorso, nell’ennesimo round dello scontro tra Fatah e Hamas
mai sopito in questi dieci anni, il presidente palestinese Mahmoud
Abbas ha scelto la strada della resa dei conti: o il controllo di Gaza
passa sul serio all’Autorità Palestinese oppure Ramallah smette di
pagare a Israele le quote per l’erogazione di servizi come l’elettricità
nella Striscia. Non ci voleva molto a immaginare quale sarebbe stata la
risposta di Hamas. Ma Abbas è andato dritto per la sua strada e
a quel punto anche il ministro della Difesa israeliano Avigdor
Lieberman, da cui dipende l’amministrazione di questi servizi, ha fatto
altrettanto: ha annunciato che senza pagamenti avrebbe tagliato al
minimo l’erogazione dell’elettricità a Gaza, cosa che puntualmente è
avvenuta in questi giorni. La ragione ufficiale avanzata da entrambi è
che Hamas raccoglie tasse dalla popolazione locale, ma quei
soldi vengono utilizzati «per minacciare la sicurezza di Israele»
anziché per i servizi ai cittadini.
Tutto questo non succede
evidentemente da ieri. Ma il punto è che oggi il contesto politico
generale del Medio Oriente ha reso molto più debole Hamas; e lo
scontro nel Golfo con il Qatar - l’ultimo sponsor rimasto al movimento
dei Fratelli Musulmani, nel cui alveo la formazione islamista
palestinese si è sempre collocata - sta rendendo gli equilibri ancora
più precari. Puntuale - dunque - torna la tentazione di dare una
spallata a Gaza (e c’è chi parla addirittura di venti di guerra).
Come
sempre, però, scoperchiare la pentola è un gioco parecchio rischioso,
come già tre guerre dovrebbero aver dimostrato. Perché proprio le
sofferenze della popolazione civile sono l’arma più forte che Hamas
ha nelle sue mani per puntellare il proprio potere. Il taglio
dell’elettricità è destinato infatti ad avere ripercussioni pesanti
soprattutto sulla vita quotidiana nella Striscia: Gaza dipende infatti
quasi interamente dalla rete israeliana per i suoi rifornimenti di
energia; così oggi si ritrova ad avere elettricità solo per poche ore al
giorno, con conseguenze facilmente immaginabili in strutture come gli
ospedali. Tra l’altro una delle prime infrastrutture che Hamas
ha provveduto a staccare per fare fronte alla crisi energetica sono gli
impianti di depurazione delle acque. Così le fogne ora scaricano
direttamente in mare, che diventa così sempre più inquinato. Ma il mare
ovviamente non sta fermo e arriva anche sulla costa israeliana. E il
proliferare delle alghe va a danneggiare anche i costosissimi impianti
di desalinizzazione sui quali Israele conta per risolvere la questione
del suo fabbisogno idrico (in una fotografia perfetta delle
contraddizioni della politica dell’isolamento di Gaza).
Nel frattempo Hamas
prova a correre ai ripari anche politicamente. Adeguandosi in fretta al
mantra dominante nella regione: il nemico del mio nemico può diventare
mio amico. Così dall’agenzia palestinese Maan veniamo a sapere dei contatti tra la nuova leadership del movimento islamista e Mohammed Dahlan, dieci anni fa il leader di Fatah
a Gaza, il grande rivale, entrato però poi in rotta di collisione anche
con Mahmoud Abbas. E guarda caso Dahlan ormai da anni vive ad Abu
Dhabi, negli Emirati Arabi Uniti, cioè sulla sponda politicamente oggi
opposta al Qatar. Può darsi sia solo una mossa tattica di Hamas
per uscire dall’isolamento. Ma anche questa rende bene l’idea del
groviglio di contraddizioni e giochi di potere che non meno delle
politiche di Israele stanno alla radice del dramma di questi dieci anni a
Gaza.
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Clicca qui per leggere l'articolo di Al Monitor sul taglio dell’elettricità a Gaza
Clicca qui per leggere il bilancio di Maan sui dieci anni del blocco di Gaza
Clicca qui per leggere l’articolo sul riavvicinamento tra Hamas e Dahlan
Perché "La Porta di Jaffa"
A dare il nome a questo blog
è una delle più celebri tra le porte della città vecchia di
Gerusalemme. Quella che, forse, esprime meglio il carattere singolare di
questo luogo unico al mondo. Perché la Porta di Jaffa è la più vicina
al cuore della moderna metropoli ebraica (i quartieri occidentali). Ma è
anche una delle porte preferite dai pellegrini cristiani che si recano
alla basilica del Santo Sepolcro. Ecco, allora, il senso di questo
crocevia virtuale: provare a far passare attraverso questa porta alcune
voci che in Medio Oriente esistono ma non sentiamo mai o molto
raramente.
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