Gerusalemme, le due destre israeliane e l'asse con Riad


POOL New / Reuters "Ora basta! Non possiamo sbattere la porta in faccia all'inviato del presidente degli Stati Uniti. Non dimenticate che il nemico più pericoloso resta sempre l'Iran". Poche volte, Benjamin Netanyahu perde la pazienza. Ieri è una di…
 Ora basta! Non possiamo sbattere la porta in faccia all'inviato del presidente degli Stati Uniti. Non dimenticate che il nemico più pericoloso resta sempre l'Iran". Poche volte, Benjamin Netanyahu perde la pazienza. Ieri è una di quelle volte. Di fronte ai ministri, che fanno parte del Gabinetto di difesa, schierati sulla linea più dura contro l'"Intifada al-Aqsa", il premier israeliano ha tagliato corto e, col sostegno dei capi dei servizi di intelligence presenti alla riunione, ha annunciato la decisione di smantellare i metal detector alla Spianata delle Moschee. Decisione che viene pubblicamente lodata da Jason Greenblat, l'inviato personale di Donald Trump per il Medio Oriente. Per gli ultranazionalisti come il ministro dell'Istruzione, Naftali Bennett, si tratta di un cedimento, per altri ministri del Likud, il partito del premier, è un passo indietro che può essere seguito, però, da due passi in avanti. Avanti, verso la "Gerusalemme spiata".
Il governo Netanyahu aveva deciso l'installazione dei metal detector perché le armi usate nell'attacco del 14 luglio erano stato nascoste, secondo l'intelligence israeliana, all'interno della Spianata. Il luogo sacro ha uno statuto particolare, in base a un accordo fra Israele e la Giordania, e la responsabilità ricade in parte su un organo religioso islamico, il Waqf. Per i palestinesi, e gran parte del mondo islamico, i nuovi controlli violano lo status. Le proteste sono degenerate partire da venerdì scorso, e ci sono stati tre morti palestinesi e tre israeliani. Secondo quanto riferito da un alto funzionario che era presente alla riunione, gli scanner saranno sostituiti con "mezzi tecnologicamente avanzati" che permetteranno di condurre "ispezioni accurate". Gli apparati tolti saranno sostituiti nei prossimi mesi da telecamere "a tecnologia avanzata" ma questa misura non sembra andare incontro alle richieste dei responsabili islamici della Spianata che si oppongono a qualsiasi tipo di controllo israeliano sugli ingressi al luogo santo. Insieme ai metal detector sono state rimosse anche alcune delle telecamere che nei giorni scorsi erano state montate agli ingressi della Spianata.

Il Gabinetto di sicurezza israeliano ha stanziato 100 milioni di shekel (25 milioni di euro) per realizzare entro sei mesi il nuovo piano di sicurezza che prevede appunto anche telecamere a tecnologia avanzata con alta risoluzione che consentono di individuare esplosivi e armi nascoste e sono dotate di sistemi di riconoscimento facciale. "Il Gabinetto accetta le raccomandazioni degli ufficiali della sicurezza di rimpiazzare i metal detector con ispezioni di sicurezza - ha spiegato il governo - basate su tecnologie avanzate (smart inspection) ed altri mezzi in modo da assicurare la sicurezza dei visitatori e dei fedeli della Città Vecchia di Gerusalemme". Ma una riunione durata oltre 4 ore non poteva, e infatti non è stata, concentrarsi solo sulle misure tecniche più appropriate per far fronte ad una fiammata palestinese che ha spiazzato, almeno in parte, le autorità, politiche e militari, d'Israele.

Fonti bene infornate a Gerusalemme raccontano all'HuffPost di un confronto serrato, a tratti "infuocato", la cui portata non ha riguardato solo la contingenza, sia pur drammatica, di una settimana di sangue. Il confronto-scontro è stato anzitutto politico. E ha messo ancora più in evidenza le "due anime" che convivono nel Governo Netanyahu. Un esecutivo di destra, o meglio di "destre" che non si ritrovano sempre nella linea "moderata" del premier. "Il fatto è – spiega all'Hp una fonte molto vicina a Netanyahu – che 'Bibi' ha fatto del legame, anche personale, con Trump il punto di forza della sua politica estera e più di ogni altra cosa ha apprezzato la sua svolta sull'Iran, in totale discontinuità con le aperture volute da Obama". Ed è proprio sulla base dell'assunto, che in Medio Oriente è storia, secondo cui "il nemico del mio nemico, è mio amico", che negli ultimi tempi si è assistito ad un riavvicinamento, sull'onda del viaggio di Trump a Riad, tra Israele e Arabia Saudita.

La polarizzazione tra Iran e Arabia Saudita ha offerto così l'occasione per un cambio di rotta agli storici equilibri regionali: Gerusalemme e Riad non si considerano più nemici "senza se e senza ma". Le dichiarazioni a questo proposito dei rispettivi ministri degli Esteri Lieberman e Al Jubeir rilasciate a febbraio alla Conferenza sulla Sicurezza di Monaco rasentano il corteggiamento reciproco. Ed è in questo contesto che va inserita la "questione palestinese. Le forti pressioni saudite affinché Israele accetti un piano di pace duraturo (con riconsegna del Golan e di una fetta della Cisgiordania) sembrano più orientate a togliere all'Iran il ruolo di difensore della Palestina (e dell'Islam) che a sponsorizzare la causa dei fratelli arabi più oppressi. A questo si aggiungono i contatti segreti informali tra israeliani e sauditi segnalati dalla stampa araba, le voci della prossima apertura di una sede diplomatica saudita a Tel Aviv, i voli aerei diretti introdotti tra Arabia e Israele e la sempre meno oscura collaborazione militare mediata dagli Usa.
Il colloquio e la stretta di mano tra il ministro della Difesa israeliano Moshe Yaalon e il principe saudita Faisal al Saud alla Conferenza di Monaco di febbraio sono in questo senso emblematici. Ad aprile, il ministro dell'Energia israeliano, Yuval Steinitz, ha dichiarato che in Medio Oriente fosse in atto una vera "rivoluzione" in termini di rapporti di vicinato fra Israele, Emirati Arabi Uniti, Qatar e Arabia Saudita. Lo stesso ministro, a margine di queste dichiarazioni, aveva visitato Abu Dhabi per inaugurare una missione diplomatica israeliana, che serviva come base per mettere in atto gli accordi sulle tecnologie in materia di produzione dell'energia elettrica e delle fonti rinnovabili. Yisrael Katz, ministro dei Trasporti israeliano, sempre ad aprile, aveva invece annunciato l'iniziativa del corridoio ferroviario "Rails for Regional Peace", un progetto che dovrebbe collegare Israele, Giordania, Arabia Saudita e Golfo Persico. Un progetto di fondamentale importanza anche secondo l'amministrazione americana.
Sia Steinitz che Katz sono considerati tra i ministri più vicini al premier. In questa chiave, qualche insediamento in meno, e la rimozione dei metal detector, valgono bene il rafforzamento, in funzione anti-iraniana, dell'asse con Riad e Washington. A ciò va aggiunto, per venire ai giorni di sangue, che lo Shin Bet (il servizio di sicurezza interno israeliano), su informazioni delle intelligence giordana e saudita, attribuirebbe l'attacco dei tre palestinesi armati alla Porta dei Leoni, a una cellula di Hezbollah, creato e finanziato in Libano dagli iraniani. E' il pragmatismo di Netanyahu, che deve, però, fare i conti con l'anima ideologica della sua coalizione: quella che ha come priorità assoluta la realizzazione del disegno di "Eretz Israel", la Grande (Terra di) Israele. E' la destra ispirata da un messianismo che vede nella colonizzazione di Giudea e Samaria (la Cisgiordania biblica) un imperativo inderogabile. Così come la riconquista della Spiana: "«Siamo vicino a un degrado molto grave della situazione", avverte la ex ministra degli Esteri Tzipi Livni. "Siamo a un solo passo dalla trasformazione del conflitto fra Israele e i palestinesi in un evento pan-musulmano contro lo Stato di Israele".
Il referente politico di questa destra è Naftali Bennett, leader di "Focolare ebraico", il partito legato a doppio filo con il movimento dei coloni. Il credo dell'ambizioso ministro dell'Istruzione è così sintetizzabile: "più costruzioni e pugno di ferro". E' lui ad aver imposto a un recalcitrante Netanyahu, il voto alla Knesset (60 a favore, 52 contro) lo scorso 6 febbraio, sulla controversa legge che "regolarizza", con una validità retroattiva, gli insediamenti ebraici e le case edificate su terreni privati palestinesi in Cisgiordania. Dubbi sulla legalità di alcune disposizioni previste nella nuova legge sono stati sollevati dal procuratore generale Avichai Mandelblit, che si è detto non certo di poterla difendere nel caso fosse impugnata nei tribunali. Perplessità di fronte alle quali il ministro della Giustizia Ayelet Shaked ha tagliato corto sostenendo che, se necessario, lo Stato troverà un altro procuratore in grado di reggere il confronto.
"Se dipendesse da me – ha affermato in un discorso pubblico Bennett, subito dopo la vittoria di Trump nelle presidenziali Usa - farei un discorso in cui direi: non lo creiamo qui. Abbiamo una possibilità di tirarci fuori da questo buco in cui siamo bloccati da così tanti anni che si chiama fondazione di uno stato palestinese su territorio che appartiene ad Israele" ha più tardi detto alla radio dell'esercito. Il motivo è presto detto: "Ogni volta che abbiamo ceduto la terra, abbiamo ottenuto in cambio violenza, non pace. Ma la pace viene solo quando si è molto forti e il rispetto per noi crescerà e assisteremo a meno conflitti soltanto quando tutti nella regione sapranno che siamo determinati a non dare nemmeno un millimetro di territorio ai nostri nemici". Su questa linea oltranzista, Bennett può contare sul sostegno dell'ala "dura" del Likud e delle organizzazioni più conservatrici della potente comunità ebraica statunitense. In una posizione intermedia si colloca il ministro della Difesa, e leader di Israel Beitenu, Avigdor Lieberman.
Fama di super falco, Lieberman ha ribadito di recente la sua idea di pace: "Sono a favore di uno scambio di territori e della popolazione (che vi vive). Non capisco perché la zona del triangolo e di Umm al-Fahm debba far parte di Israele se i suoi abitanti si considerano palestinesi. E perché devo sovvenzionare il capo del movimento islamico Raed Salah e pagare lo stipendio alla parlamentare araba Hanin Zoabi, se non riconoscono lo Stato ebraico? Vogliono far parte dello Stato palestinese? Prego, si accomodino". Con questo scambio, secondo Lieberman, insediamenti come Ma'ale Adumim, Givat Ze'ev, Gush Etzion e Ariel potranno far parte di Israele...".
Lo scontro tra le "due anime" della destra israeliana è tutt'altro che risolto e dal suo esito, molto più che da quello in atto in campo palestinese tra l'Anp di Abu Mazen e Hamas, dipenderà il futuro, se esisterà, del negoziato con i Palestinesi. Decisivo, in tal senso, può risultare l'orientamento dell'inquilino della Casa Bianca: l'"amico Donald" ha infatti un impatto sul mondo di destra israeliano molto più incisivo di quello avuto dal suo detestato predecessore: Barack Hussein Obama.

ALTRO:destreEsterigerusalemmei
huffingtonpost.it

Commenti

Post popolari in questo blog

Hilo Glazer : Nelle Prealpi italiane, gli israeliani stanno creando una comunità di espatriati. Iniziative simili non sono così rare

giorno 79: Betlemme cancella le celebrazioni del Natale mentre Israele continua a bombardare Gaza

Video:Defamation - di Yoav Shamir Film

La Spoon River degli artisti di Gaza. Scrittori, poeti, pittori: almeno 10 vittime nei raid. Sotto le bombe muore anche la cultura palestinese