Hamas apre a Israele e ignora la Fratellanza Musulmana per sopravvivere
Hamas
cede sui confini del 1967 Doha (al-Mayadin, al-Jazira). Per la prima
volta, il movimento islamico palestinese Hamas legge la cronologia degli
eventi degli…
limesonline.com
Oggi: il nuovo documento di Hamas fa discutere per le sue aperture di fatto a Israele. Le forze curdo-siriane stringono il cappio attorno a Raqqa. Sempre in Siria, prosegue la lotta intestina tra le fazioni della Ghuta, a est di Damasco, sempre più sotto pressione dalle forze governative.
Hamas cede sui confini del 1967
Doha (al-Mayadin, al-Jazira).
Per la prima volta, il movimento islamico palestinese Hamas legge la
cronologia degli eventi degli ultimi decenni a partire dalla guerra dei
Sei Giorni del giugno del 1967, conosciuta come Naksa (la ricaduta) e in continuità con la Nakba (la catastrofe) del 1948.
Nella conferenza stampa di ieri a Doha,
in Qatar, sede dell’ufficio politico in esilio di Hamas, il responsabile
Khaled Mishaal ha presentato “il nuovo documento politico”, ammettendo
che il movimento islamico è dovuto scendere a patti “con la realtà”. La
retorica vuole che non si rinunci alla “totalità della Palestina” ma si
riconoscano i confini del 1967 come legittimi. Israele non è
riconosciuto formalmente come Stato, ma rispetto alla carta di Hamas del
1988 sono stati eliminati i riferimenti considerati anti-semiti e gli appelli alla distruzione dello Stato ebraico.
Un’altra differenza importante con il
testo di 30 anni fa è l’assenza di un legame diretto ed esplicito tra
Hamas e la casa madre, la Fratellanza musulmana. Mishaal parla di infitah, apertura, un termine molto noto nella storia politica del mondo arabo degli ultimi decenni.
L’infitah è stato un concetto chiave dei regimi egiziani da Sadat in poi e di quello siriano dagli anni Novanta. Le aperture in quei casi erano per lo più economiche e servivano ai poteri di allora per prendere tempo, mostrarsi desiderosi di migliorare la situazione socio-economica nei propri paesi, dare fiducia ai mercati e agli interlocutori stranieri.
L’infitah è stato un concetto chiave dei regimi egiziani da Sadat in poi e di quello siriano dagli anni Novanta. Le aperture in quei casi erano per lo più economiche e servivano ai poteri di allora per prendere tempo, mostrarsi desiderosi di migliorare la situazione socio-economica nei propri paesi, dare fiducia ai mercati e agli interlocutori stranieri.
Analogamente, ma con le dovute
differenze, Hamas sembra voler rinegoziare con alleati e rivali la
propria sopravvivenza nel contesto palestinese e in quello regionale.
Mentre l’Egitto continua a stringere la corda attorno ai dirigenti
dell’ala locale della Fratellanza, sono ripresi all’inizio dell’anno
i rapporti tra il movimento palestinese e il Cairo. Da Doha, Mishaal è
tornato a più miti consigli anche con l’Iran, un tempo alleato di Hamas
poi distanziatosi a causa della posizione presa dal gruppo sulla questione siriana (2011-13).
L’altro grande attore di riferimento è la Turchia. Nonostante la vittoria al referendum costituzionale del presidente Tayyep Recep Erdoğan,
da tempo Ankara non è più considerata da molti in grado di gestire i
dossier mediorientali in piena autonomia. Poco prima del tentato
golpe ci sono state le aperture turche a Israele e alla Russia, mentre
nessuno sviluppo di rilievo è all’orizzonte nelle relazioni tra Hamas e
l’Arabia Saudita.
Se il movimento islamico cerca sponde per mantenersi forte e presente nello scenario locale e regionale è bene che lanci messaggi di apertura. Di “flessibilità”, come ha detto lo stesso Mishaal, “senza rinunciare ai nostri punti fissi“.
Hamas ha diffuso un nuovo programma politico che contiene delle
novità riguardo ai confini dello stato palestinese. Nel documento Hamas
accetta per la prima volta formalmente l’idea che i confini della
Palestina siano quelli del 1967,
cioè quelli precedenti alla guerra dei Sei Giorni vinta da Israele e
persa da Siria, Iraq e Giordania: è una novità importante, perché fino a
ieri Hamas sosteneva che i confini palestinesi dovessero ricalcare
quelli stabiliti dall’ONU nel 1947, molto più estesi. Hamas, che
comunque nel documento non arriva a riconoscere lo stato d’Israele né
accetta esplicitamente la cosiddetta soluzione “dei due stati”, aggiunge
che non cercherà di fare la guerra indiscriminata contro la popolazione
ebraica, ma concentrerà i suoi sforzi solo contro il sionismo, cioè
quel movimento che ha come obiettivo la ricostruzione in Palestina di
uno stato ebraico
. Il documento è il risultato di anni di discussioni tra le varie fazioni di Hamas ed è visto da diversi analisti come un tentativo da parte del gruppo di adottare un approccio più pragmatico e meno intransigente nei confronti di Israele.
Il documento è stato annunciato ieri da Khaled Meshal, che guida la corrente più “moderata” di Hamas, vicina al Qatar, e che si oppone dalla fazione composta dai cosiddetti “iraniani”, cioè dai membri di Hamas più vicini all’Iran e intenzionati a proseguire a tutti i costi la guerra con Israele.
La concessione più significativa fatta dal documento è contenuta nel
passaggio che dice che Hamas «considera l’istituzione di uno stato
palestinese indipendente e sovrano – con Gerusalemme capitale lungo le
linee del 4 giugno 1967, con il ritorno dei profughi alle case dalle
quali erano stati mandati via – come una formula di consenso nazionale».
Questa frase sembra indicare l’accettazione da parte di Hamas di
un’altra entità statale fuori dai suoi confini, nonostante non si faccia
diretta menzione di Israele. La citazione dei confini del 1967 è
altrettanto importante
. I confini del 1967, in realtà, sono i confini risultanti dalla guerra arabo-israeliana combattuta nel 1948 all’indomani della nascita dello stato d’Israele. Quel conflitto fu una disfatta per gli arabi e per i palestinesi, mentre per Israele fu un enorme successo: gli israeliani conquistarono un terzo dei territori che l’ONU aveva assegnato ai palestinesi l’anno precedente. I cosiddetti “confini del 1967” sono anche quelli a cui si rifanno praticamente tutti i negoziati di pace tra Palestina e Israele.
Ci sono almeno due cose che si possono dire sulla nuova posizione di Hamas. La prima è che il documento potrebbe provocare un avvicinamento tra le due storiche fazioni palestinesi, Hamas (che controlla la Striscia di Gaza) e Fatah (che governa sulla Cisgiordania): Fatah ha posizioni molto più moderate di Hamas ed è favorevole al dialogo con gli israeliani.
La seconda è che nel documento non sono citati i Fratelli Musulmani egiziani, a differenza di quanto succedeva nella carta fondativa di Hamas del 1988. Secondo diversi analisti, la scelta di non citare i Fratelli Musulmani sarebbe una concessione di Hamas al presidente egiziano Abdel Fattah al Sisi, che è andato al potere in Egitto proprio a seguito di un colpo di stato contro Mohammed Morsi, leader dei Fratelli Musulmani. Alcuni analisti vedono questa apertura nei confronti dell’Egitto come una possibilità per la comunità internazionale di avviare nuovi negoziati tra israeliani e palestinesi grazie a un’eventuale mediazione di al Sisi.
Secondo Abu Saada dell’Università di al Azhar, «Hamas sta cercando di camminare su una linea sottile che passa tra i suoi esponenti più intransigenti e quelli più moderati. Da una parte, i moderati possono dire che accettano uno stato palestinese lungo i confini del 1967, dall’altra gli intransigenti possono dire di non riconoscere Israele come stato sovrano».
Israele aveva già criticato il documento giorni fa, prima ancora che venisse reso pubblico: lo aveva definito un tentativo di Hamas di ingannare il mondo, presentando sé stesso come un movimento moderato.
. Il documento è il risultato di anni di discussioni tra le varie fazioni di Hamas ed è visto da diversi analisti come un tentativo da parte del gruppo di adottare un approccio più pragmatico e meno intransigente nei confronti di Israele.
Il documento è stato annunciato ieri da Khaled Meshal, che guida la corrente più “moderata” di Hamas, vicina al Qatar, e che si oppone dalla fazione composta dai cosiddetti “iraniani”, cioè dai membri di Hamas più vicini all’Iran e intenzionati a proseguire a tutti i costi la guerra con Israele.
. I confini del 1967, in realtà, sono i confini risultanti dalla guerra arabo-israeliana combattuta nel 1948 all’indomani della nascita dello stato d’Israele. Quel conflitto fu una disfatta per gli arabi e per i palestinesi, mentre per Israele fu un enorme successo: gli israeliani conquistarono un terzo dei territori che l’ONU aveva assegnato ai palestinesi l’anno precedente. I cosiddetti “confini del 1967” sono anche quelli a cui si rifanno praticamente tutti i negoziati di pace tra Palestina e Israele.
Ci sono almeno due cose che si possono dire sulla nuova posizione di Hamas. La prima è che il documento potrebbe provocare un avvicinamento tra le due storiche fazioni palestinesi, Hamas (che controlla la Striscia di Gaza) e Fatah (che governa sulla Cisgiordania): Fatah ha posizioni molto più moderate di Hamas ed è favorevole al dialogo con gli israeliani.
La seconda è che nel documento non sono citati i Fratelli Musulmani egiziani, a differenza di quanto succedeva nella carta fondativa di Hamas del 1988. Secondo diversi analisti, la scelta di non citare i Fratelli Musulmani sarebbe una concessione di Hamas al presidente egiziano Abdel Fattah al Sisi, che è andato al potere in Egitto proprio a seguito di un colpo di stato contro Mohammed Morsi, leader dei Fratelli Musulmani. Alcuni analisti vedono questa apertura nei confronti dell’Egitto come una possibilità per la comunità internazionale di avviare nuovi negoziati tra israeliani e palestinesi grazie a un’eventuale mediazione di al Sisi.
Secondo Abu Saada dell’Università di al Azhar, «Hamas sta cercando di camminare su una linea sottile che passa tra i suoi esponenti più intransigenti e quelli più moderati. Da una parte, i moderati possono dire che accettano uno stato palestinese lungo i confini del 1967, dall’altra gli intransigenti possono dire di non riconoscere Israele come stato sovrano».
Israele aveva già criticato il documento giorni fa, prima ancora che venisse reso pubblico: lo aveva definito un tentativo di Hamas di ingannare il mondo, presentando sé stesso come un movimento moderato.
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