Eric Salerno : Trump medita un colpo di scena per rilanciare il processo di pace?

 
 
 
 
 
 
 
Qualcosa di sconvolgente sta per accadere in Medio Oriente, come accadde nel 1967 con la
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Qualcosa di sconvolgente sta per accadere in Medio Oriente, come accadde nel 1967 con la "guerra dei sei giorni" che cinquanta anni fa cambiò la regione e anche, forse soprattutto, l'anima dello stato nato dal progetto sionista?

Un'amica Fb, giorni fa, mi ha accusato di avere un'ossessione con Israele. Sarà che ho cominciato a sentirne parlare da ragazzino a New York in mezzo ai comunisti, ebrei e non, amici di mio padre cattolico e mia madre ebrea, laici entrambi. Sarà che ho vissuto per anni in Israele come inviato. Sarà anche che questa storiella che voglio raccontare ha avuto un profondo effetto sulla mia vita professionale.

Nel giugno 1967, attorno al 7 del mese, venni invitato nell'ufficio di Ferdinando Perrone, amministratore e con il cugino Alessandro, padrone de Il Messaggero. Ero intimorito. Dopo dieci anni a Paese Sera mi trovavo sulla soglia di un nuovo lavoro in un giornale politicamente e storicamente completamente diverso.

Il colloquio fu breve e sconcertante, molto distante da quello che mi sarei aspettato.
"Dottor Salerno, mio cugino parla bene di Lei. Vorrebbe averla con noi. E io non ho nulla in contrario ma ho bisogno di qualche giorno ancora prima di poter decidere. Lei mi capisce, vero?".
Lui mi guardava intensamente. Io cercavo di leggere tra le sue parole. Di fronte al mio silenzio un po' imbarazzato continuò.
"C'è la guerra in Medio Oriente. È una brutta vicenda. Può allargarsi e se scoppia una guerra mondiale, tra russi e americani e noi in mezzo, io cosa me ne faccio di un altro redattore al Messaggero?".
Due o tre giorni dopo finì il conflitto armato cominciato il 5 giugno. Io fui assunto dal quotidiano romano. Israele aveva conquistato il controllo dell'intera città di Gerusalemme e di quel territorio noto come West Bank, o Cisgiordania o, per molti ebrei ed israeliani, Giudea e Samaria.
Ho smesso di scrivere per il quotidiano romano da un anno, ossia 49 anni dopo quel colloquio, ma l'armistizio tra israeliani e arabi non si è mai trasformato in pace e soprattutto un intero popolo vive oppresso.
La maggioranza del popolo palestinese è nata sotto l'occupazione militare. Non ha mai conosciuto la libertà anche se ha provato con due Intifade prima di rendersi conto che il lancio di pietre o la lotta armata non poteva vincere la superiorità militare del nemico. Dall'altra parte del muro e del filo spinato, altri giovani sono cresciuti, hanno indossato la divisa dei vincitori ma invece di difendere i confini riconosciuti d'Israele sono costretti a fare i poliziotti per salvaguardare gli interessi dei coloni e di chi sogna ancora la Grande Israele che contro ogni legge internazionale ma con il sostegno anche economico di tutti i governi israeliani, da sinistra a destra, si sono insediati nei territori occupati.
Il 22 maggio, due giorni prima delle feste per i cinquanta anni della conquista di Gerusalemme est - in base al calendario ebraico - sarà nella città santa contesa il presidente americano. Trump, come molti dei suoi predecessori, sogna la fine dello scontro in Terra santa.
"È nell'interesse strategico degli Stati Uniti", aveva detto il suo predecessore senza riuscire a fare molto. E ora mentre nelle cancellerie di mezzo mondo un po' tutti sorridono ascoltando il Donald parlare di pace e si aspettano giusto qualche azione teatrale quando sarà nella città santa o a Masada, antica fortezza sul mar Morto.
Il loro scetticismo è doveroso dopo tanti fallimenti. Il premier israeliano Netanyahu, dicono i suoi collaboratori, è meno tranquillo. Teme un'imboscata ma non capisce cosa mentre tra quegli israeliani e palestinesi disposti alle concessioni indispensabili per arrivare alla pace, c'è chi guarda al "folle" inquilino della Casa Bianca e comincia a immaginare scenari capaci, fantascientifici forse, di sbaragliare le carte e mettere un po' di ordine in tutta la regione.
Basta osservare il programma del suo viaggio per ipotizzare una sorpresa. Prima di andare in Israele il presidente americano sarà in Arabia saudita dove ha convocato molti dei leader regionali sunniti compreso il presidente palestinese. E se li invitasse a salire su Air Force 1 e a compiere, con lui, il grande salto fino a Tel Aviv?

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