Papa in Egitto: l’avvenire dipende dall’incontro di religioni e culture

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28/04/2017 - EGITTO – VATICANO

Il Cairo (AsiaNews) – Con l’affermazione che “l’avvenire di tutti dipende anche dall’incontro tra le religioni e le culture” papa Francesco ha portato il suo messaggio ai partecipanti alla Conferenza Internazionale per la Pace, promossa al Cairo da Al-Azhar, la più alta istituzione teologica e di istruzione religiosa dell’Islam sunnita nel mondo e la più antica Università islamica. Francesco, più volte interrotto dall’applauso dei presenti, ha affermato il valore del dialogo e dell’educazione, il rifiuto della violenza, e il rischio che le religioni siano ridotte a fatto privato, senza rilevanza pubblica o siano “assorbite” dagli affari o strumentalizzate.
Arrivato al Cairo poco dopo le 14, il Papa si è trasferito al palazzo presidenziale in Heliopolis per la cerimonia di benvenuto, accolto dal presidente della Repubblica d’Egitto, Abdel-Fattah Al-Sìsi. In una città segnata da straordinarie misure di sicurezza, che tendono a tenere segreti itinerari e discorsi, Francesco, dopo il colloquio privato, si è recato al Conference Center di Al-Azhar, dove si è svolto l’incontro privato con il Grande Imam Shaykh Ahmad Al-Tayeb e successivamente gli interventi dell’imam e del Papa.
Al-Tayeb nel suo intervento ha in primo luogo invitato a osservare un minuto di silenzio per le vittime del terrorismo. Nel suo discorso ha poi denunciato le violenze e le guerre che stanno affliggendo il mondo, causate anche dal traffico di armi. L’Imam ha sostenuto il valore  della fratellanza e affermato che l’islam non è una religione di terrorismo solo perché alcuni lo interpretano in modo errato spargendo sangue. Egli ha infine lanciato un appello è a lavorare insieme per la pace, per l’ambiente e contro le teorie che diffondono lo scontro di civiltà.
Francesco, da parte sua, ha esordito con il saluto arabo “Al Salamò Alaikum! / La pace sia con voi!”.
Il Papa ha parlato dell’Egitto che nella storia del mondo è terra di civiltà e terra di alleanze. “Terra di civiltà. Fin dall’antichità, la civiltà sorta sulle rive del Nilo è stata sinonimo di civilizzazione: in Egitto si è levata alta la luce della conoscenza, facendo germogliare un patrimonio culturale inestimabile, fatto di saggezza e ingegno, di acquisizioni matematiche e astronomiche, di forme mirabili di architettura e di arte figurativa. La ricerca del sapere e il valore dell’istruzione sono state scelte feconde di sviluppo intraprese dagli antichi abitanti di questa terra. Sono anche scelte necessarie per l’avvenire, scelte di pace e per la pace, perché non vi sarà pace senza un’educazione adeguata delle giovani generazioni. E non vi sarà un’educazione adeguata per i giovani di oggi se la formazione loro offerta non sarà ben rispondente alla natura dell’uomo, essere aperto e relazionale. L’educazione diventa infatti sapienza di vita quando è capace di estrarre dall’uomo, in contatto con Colui che lo trascende e con quanto lo circonda, il meglio di sé, formando identità non ripiegate su sé stesse. La sapienza ricerca l’altro, superando la tentazione di irrigidirsi e di chiudersi; aperta e in movimento, umile e indagatrice al tempo stesso, essa sa valorizzare il passato e metterlo in dialogo con il presente, senza rinunciare a un’adeguata ermeneutica. Questa sapienza prepara un futuro in cui non si mira al prevalere della propria parte, ma all’altro come parte integrante di sé; essa non si stanca, nel presente, di individuare occasioni di incontro e di condivisione; dal passato impara che dal male scaturisce solo male e dalla violenza solo violenza, in una spirale che finisce per imprigionare. Questa sapienza, rifiutando la brama di prevaricazione, pone al centro la dignità dell’uomo, prezioso agli occhi di Dio, e un’etica che dell’uomo sia degna, rifiutando la paura dell’altro e il timore di conoscere mediante quei mezzi di cui il Creatore l’ha dotato”.
Chiamati a camminare insieme
“Proprio nel campo del dialogo, specialmente interreligioso, siamo sempre chiamati a camminare insieme, nella convinzione che l’avvenire di tutti dipende anche dall’incontro tra le religioni e le culture. In questo senso il lavoro del Comitato misto per il Dialogo tra il Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso e il Comitato di Al-Azhar per il Dialogo ci offre un esempio concreto e incoraggiante. Tre orientamenti fondamentali, se ben coniugati, possono aiutare il dialogo: il dovere dell’identità, il coraggio dell’alterità e la sincerità delle intenzioni. Il dovere dell’identità, perché non si può imbastire un dialogo vero sull’ambiguità o sul sacrificare il bene per compiacere l’altro; il coraggio dell’alterità, perché chi è differente da me, culturalmente o religiosamente, non va visto e trattato come un nemico, ma accolto come un compagno di strada, nella genuina convinzione che il bene di ciascuno risiede nel bene di tutti; la sincerità delle intenzioni, perché il dialogo, in quanto espressione autentica dell’umano, non è una strategia per realizzare secondi fini, ma una via di verità, che merita di essere pazientemente intrapresa per trasformare la competizione in collaborazione”.
“Educare all’apertura rispettosa e al dialogo sincero con l’altro, riconoscendone i diritti e le libertà fondamentali, specialmente quella religiosa, costituisce la via migliore per edificare insieme il futuro, per essere costruttori di civiltà. Perché l’unica alternativa alla civiltà dell’incontro è l’inciviltà dello scontro. E per contrastare veramente la barbarie di chi soffia sull’odio e incita alla violenza, occorre accompagnare e far maturare generazioni che rispondano alla logica incendiaria del male con la paziente crescita del bene: giovani che, come alberi ben piantati, siano radicati nel terreno della storia e, crescendo verso l’Alto e accanto agli altri, trasformino ogni giorno l’aria inquinata dell’odio nell’ossigeno della fraternità. In questa sfida di civiltà tanto urgente e appassionante siamo chiamati, cristiani e musulmani, e tutti i credenti, a dare il nostro contributo: «viviamo sotto il sole di un unico Dio misericordioso. [...] In questo senso possiamo dunque ‎chiamarci gli uni gli ‎altri fratelli e sorelle [...], perché senza Dio la vita dell’uomo ‎sarebbe come il cielo senza il sole». Si levi il sole di una rinnovata fraternità in nome di Dio e sorga da questa terra, baciata dal sole, l’alba di una civiltà della pace e dell’incontro. Interceda per questo san Francesco di Assisi, che otto secoli fa venne in Egitto e incontrò il Sultano Malik al Kamil”.
“Terra di alleanze. In Egitto non è sorto solo il sole della sapienza; anche la luce policromatica delle religioni ha illuminato questa terra: qui, lungo i secoli, «le differenze di religione hanno costituito «una forma di arricchimento reciproco al servizio dell’unica comunità nazionale». Fedi diverse si sono incontrate e varie culture si sono mescolate, senza confondersi ma riconoscendo l’importanza di allearsi per il bene comune. Alleanze di questo tipo sono quanto mai urgenti oggi. Nel parlarne, vorrei utilizzare come simbolo il “Monte dell’Alleanza” che si innalza in questa terra. Il Sinai ci ricorda anzitutto che un’autentica alleanza sulla terra non può prescindere dal Cielo, che l’umanità non può proporsi di incontrarsi in pace escludendo Dio dall’orizzonte, e nemmeno può salire sul monte per impadronirsi di Dio (cfr Es 19,12).
“Si tratta di un messaggio attuale, di fronte all’odierno perdurare di un pericoloso paradosso, per cui da una parte si tende a relegare la religione nella sfera privata, senza riconoscerla come dimensione costitutiva dell’essere umano e della società; dall’altra si confonde, senza opportunamente distinguere, la sfera religiosa e quella politica. Esiste il rischio che la religione venga assorbita dalla gestione di affari temporali e tentata dalle lusinghe di poteri mondani che in realtà la strumentalizzano. In un mondo che ha globalizzato molti strumenti tecnici utili, ma al contempo tanta indifferenza e negligenze, e che corre a una velocità frenetica, difficilmente sostenibile, si avverte la nostalgia delle grandi domande di senso, che le religioni fanno affiorare e che suscitano la memoria delle proprie origini: la vocazione dell’uomo, non fatto per esaurirsi nella precarietà degli affari terreni, ma per incamminarsi verso l’Assoluto a cui tende. Per queste ragioni, oggi specialmente, la religione non è un problema ma è parte della soluzione: contro la tentazione di adagiarci in una vita piatta, dove tutto nasce e finisce quaggiù, essa ci ricorda che è necessario elevare l’animo verso l’Alto per imparare a costruire la città degli uomini”.
“In questo senso, volgendo ancora idealmente lo sguardo al Monte Sinai, vorrei riferirmi a quei comandamenti, là promulgati, prima di essere scritti sulla pietra. Al centro delle “dieci parole” risuona, rivolto agli uomini e ai popoli di ogni tempo, il comando «non uccidere» (Es 20,13). Dio, amante della vita, non cessa di amare l’uomo e per questo lo esorta a contrastare la via della violenza, quale presupposto fondamentale di ogni alleanza sulla terra. Ad attuare questo imperativo sono chiamate, anzitutto e oggi in particolare, le religioni perché, mentre ci troviamo nell’urgente bisogno dell’Assoluto, è imprescindibile escludere qualsiasi assolutizzazione che giustifichi forme di violenza. La violenza, infatti, è la negazione di ogni autentica religiosità. In quanto responsabili religiosi, siamo dunque chiamati a smascherare la violenza che si traveste di presunta sacralità, facendo leva sull’assolutizzazione degli egoismi anziché sull’autentica apertura all’Assoluto. Siamo tenuti a denunciare le violazioni contro la dignità umana e contro i diritti umani, a portare alla luce i tentativi di giustificare ogni forma di odio in nome della religione e a condannarli come falsificazione idolatrica di Dio: il suo nome è Santo, Egli è Dio di pace, Dio salam. Perciò solo la pace è santa e nessuna violenza può essere perpetrata in nome di Dio, perché profanerebbe il suo Nome”.
Diciamo insieme un no forte e chiaro alla violenza
“Insieme, da questa terra d’incontro tra Cielo e terra, di alleanze tra le genti e tra i credenti, ripetiamo un ‘no’ forte e chiaro ad ogni forma di violenza, vendetta e odio commessi in nome della religione o in nome di Dio. Insieme affermiamo l’incompatibilità tra violenza e fede, tra credere e odiare. Insieme dichiariamo la sacralità di ogni vita umana contro qualsiasi forma di violenza fisica, sociale, educativa o psicologica. La fede che non nasce da un cuore sincero e da un amore autentico verso Dio Misericordioso è una forma di adesione convenzionale o sociale che non libera l’uomo ma lo schiaccia. Diciamo insieme: più si cresce nella fede in Dio più si cresce nell’amore al prossimo. Ma la religione non è certo solo chiamata a smascherare il male; ha in sé la vocazione a promuovere la pace, oggi come probabilmente mai prima. Senza cedere a sincretismi concilianti, il nostro compito è quello di pregare gli uni per gli altri domandando a Dio il dono della pace, incontrarci, dialogare e promuovere la concordia in spirito di collaborazione e amicizia. Come cristiani, «non possiamo invocare Dio come Padre di tutti gli uomini, se ci rifiutiamo di comportarci da fratelli verso alcuni tra gli uomini che sono creati ad immagine di Dio». Di più, riconosciamo che, immersi in una costante lotta contro il male che minaccia il mondo perché non sia più «il campo di una genuina fraternità», quanti «credono alla carità divina, sono da Lui [Dio] resi certi che la strada della carità è aperta a tutti gli uomini e che gli sforzi intesi a realizzare la fraternità universale non sono vani». Anzi, sono essenziali: a poco o nulla serve infatti alzare la voce e correre a riarmarsi per proteggersi: oggi c’è bisogno di costruttori di pace, non di provocatori di conflitti; di pompieri e non di incendiari; di predicatori di riconciliazione e non di banditori di distruzione”.
“Si assiste con sconcerto al fatto che, mentre da una parte ci si allontana dalla realtà dei popoli, in nome di obiettivi che non guardano in faccia a nessuno, dall’altra, per reazione, insorgono populismi demagogici, che certo non aiutano a consolidare la pace e la stabilità: nessun incitamento violento garantirà la pace, ed ogni azione unilaterale che non avvii processi costruttivi e condivisi è in realtà un regalo ai fautori dei radicalismi e della violenza. Per prevenire i conflitti ed edificare la pace è fondamentale adoperarsi per rimuovere le situazioni di povertà e di sfruttamento, dove gli estremismi più facilmente attecchiscono, e bloccare i flussi di denaro e di armi verso chi fomenta la violenza. Ancora più alla radice, è necessario arrestare la proliferazione di armi che, se vengono prodotte e commerciate, prima o poi verranno pure utilizzate. Solo rendendo trasparenti le torbide manovre che alimentano il cancro della guerra se ne possono prevenire le cause reali. A questo impegno urgente e gravoso sono tenuti i responsabili delle nazioni, delle istituzioni e dell’informazione, come noi responsabili di civiltà, convocati da Dio, dalla storia e dall’avvenire ad avviare, ciascuno nel proprio campo, processi di pace, non sottraendosi dal gettare solide basi di alleanza tra i popoli e gli Stati. Auspico che questa nobile e cara terra d’Egitto, con l’aiuto di Dio, possa rispondere ancora alla sua vocazione di civiltà e di alleanza, contribuendo a sviluppare processi di pace per questo amato popolo e per l’intera regione mediorientale. Al Salamò Alaikum! / La pace sia con voi!”.


Kamel Abderrahmani

L’ammirazione per la carità mostrata dal pontefice verso i rifugiati musulmani siriani, per il suo spingere all’amore e nel denunciare l’odio. “I nostri ulema non sono così” e non denunciano l’odio di Daesh e non fanno nulla per i cristiani. La richiesta perché nel viaggio in Egitto, spinga il presidente al Sisi e Al Azhar alla riforma dell’islam. Senza di questo Al Azhar rischia di essere l’accademia del fondamentalismo mondiale. Dal nostro amico e collaboratore Kamel Abderrahmani.
Parigi (AsiaNews) – Un grazie per il coraggio ad andare in Egitto, nonostante gli attentati terroristi e per l’impegno di pace che il pontefice svolge nel mondo. Sono i primi sentimenti espressi nella lettera che presentiamo, scritta a papa Francesco alla vigilia del suo viaggio in Egitto. L’autore è Kamel Abderrahmani, giovane musulmano algerino, noto ai nostri lettori.  La lettera esprime “ammirazione” per il gesto del papa ad accogliere rifugiati siriani musulmani e si domanda come mai gli imam islamici non compiono alcun gesto verso i cristiani. Il giovane esprime anche una richiesta a spingere Al Azhar e le istituzioni musulmane a modernizzarsi: anzitutto condannando la violenza e riformando l’insegnamento sunnita, che porta alla violenza ; poi a condividere la vita con cristiani e membri delle altre religioni per rendere possibile una coesistenza mondiale nella pace.

Caro Papa Francesco,
prima di iniziare questa lettera, mi presento. Mi chiamo Kamel Abderrahmani, e sono un giovane musulmano algerino, studente in una università francese da circa due anni e mi interesso enormemente alle questioni di bruciante attualità che scuotono la vita degli uomini. Io cerco con i miei modesti contributi che pubblico sul sito di AsiaNews.it, di contribuire alla pace e all’avvicinamento religioso fra cristiani e musulmani, in occidente come in oriente.
Nonostante le difficoltà incontrate, la mancanza di mezzi e la mia penosa situazione personale e finanziaria, non smetto di credere in un mondo migliore, dove noi non possiamo che vivere in armonia, in pace e in piena fraternità.
All’inizio di questo mese, sono stato invitato a Roma dal mio amico, il p. Bernardo Cervellera, ed è grazie a lui che ho appreso della Sua intenzione di effettuare una visita in Egitto, alla fine del mese di aprile, non solo per incontrare i fedeli cristiani copti, ma anche gli alti responsabili musulmani dell’istituzione di Al Azhar.
E’ una bella notizia, viste le inquietanti condizioni in cui vivono oggi i copti, questi copti che continuano a resistere non solo agli attentati commessi dai pazzi di Allah, ma anche alla negazione dei loro diritti (come l’interdizione a costruire chiese) di cui sono oggetto da parte del governo egiziano. Vi è anche il problema della coesistenza messa a dura prova dall’attivismo islamista.
Tutti sanno che i copti e i musulmani hanno sempre coabitato insieme: una coabitazione pacifica durata per secoli, prima dell’avvento dell’islamismo devastatore che ha finito per essere una seria minaccia a tale vivere insieme. Questa situazione non è che un esempio di quanto vivono tutti i cristiani d’oriente. Tutti abbiamo visto le esecuzioni degli Yazidi in Siria e in Iraq, torturati, spinti all’esilio, almeno quelli che hanno potuto.
E’ un crimine, un disastro commesso davanti agli occhi del mondo, una cosa che Lei ha denunciato e condannato con fermezza, al contrario dei miei correligionari che non hanno fatto nulla. Non hanno levato nemmeno un dito per denunciare questo crimine contro l’umanità e contro Dio. E cosa più grave, anche Al Azhar, l’istituzione ufficiale che rappresenta l’islam, non ha osato prendere posizione in modo chiaro. Eppure questa istituzione si trova in una buona posizione per denunciare Daesh o anche scomunicarla; ma invece di ciò essa continua a considerare questi barbari come musulmani! Ma la barbarie può avere una religione? Si può convivere con il terrorismo? Io sono musulmano, ma questa istituzione, ai miei occhi e a quelli di milioni di musulmani, ha perduto ogni credibilità.
Ciò di cui io sono certo, caro Papa, è che l’odio non è innato; esso è inculcato e insegnato dai nostri teologi ed è qui tutto il problema. La maggioranza delle istituzioni musulmane, in effetti, continuano a considerare i cristiani e gli ebrei come dei miscredenti e ciò appare come un dare carta bianca ai “soldati di Allah” per infierire sui cristiani e tutti coloro che non la pensano come loro. Estrapolando, sono rimasto inebetito da una preghiera che l’anno scorso è stata fatta alla Mecca durante il ramadan, in cui l’imam ha pregato per Daesh e contro i “miscredenti” ebrei e cristiani. Tutto ciò è allucinante!
Mentre Lei accoglie famiglie musulmane siriane in Vaticano, caro Papa, lo Stato islamico le stermina in nome dell’islam senza che alcuna istituzione ufficiale abbia mai formulato una qualunque condanna. Ho notato che ogni volta che Lei interviene per spegnere il fuoco in Medio oriente, i nostri “ulema [dottori coranici]” intervengono per buttare benzina sul fuoco. Viviamo in un’anarchia teologica che non confessa il suo nome e che si traduce nel rigetto sistematico di coloro che pensano in modo differente. L’islam, caro Papa, ha bisogno di essere ripulito dalla giurisprudenza; esso è talmente malato e diviso che oggi noi abbiamo bisogno di una istituzione come la vostra. Sì, un’istituzione che lo attualizzi, modernizzi e lo strappi dalle mani degli ignoranti e dei barbari.
Rivolgendomi a Lei, caro Papa Francesco, non è per lamentarmi o criticare in modo gratuito le istituzioni musulmane. Lo faccio per trasmetterle la mia scontentezza e la mia collera di fronte a coloro che rappresentano l’islam ufficiale e che di destreggiano con discorsi doppi. Io credo in Lei, pur rimanendo musulmano, ma io non credo in loro! Io sono amante della pace e sogno un mondo in cui le religioni non siano che dei sentieri verso la coesistenza pacifica e la saggezza universale, al contrario dei nostri ulema.
Mi ricordo che una volta Lei ha detto: “La vita si ottiene e si matura nella misura in cui essa è devoluta per donare la vita agli altri. Questa è la missione”. In effetti, Lei ha fatto di questa missione il cuore del Suo impegno, senza timore di nessuno. La prova è che gli attentati che sono avvenuti di recente in Egitto non le hanno fatto paura e Lei ha mantenuto fede al suo viaggio che sarà senza dubbio un messaggio d’amore e di pace fra tutti gli elementi della società egiziana e del Medio oriente, cuore delle religioni monoteiste.
In questo breve viaggio che voi state effettuando con la benedizione del Signore, il musulmano che io sono augura che esso sia portatore di pace e di tolleranza, e soprattutto portatore di un messaggio chiaro al presidente al Sisi, che deve fare di tutto per la libertà di culto, di espressione e per l’autorizzazione alla costruzione di nuovi luoghi di culto cristiani.
Per quanto concerne Al Azhar, spero che Lei potrà convincerli sulla necessità di riformare la giurisprudenza islamica, i programmi insegnati agli allievi di questa istituzione e soprattutto a modernizzare e attualizzare il discorso religioso, dato che quello proclamato oggi non fa che preparare il terreno al terrorismo islamista. In altri termini, Al Azhar deve cessare di essere l’accademia del fondamentalismo nel mondo. Ciò implica una pressione molto forte su al-Sisi e su Al Azhar.
Caro papa Francesco, da musulmano ammiro il Suo coraggio e la Sua bravura. E d’altra parte, come potrei essere indifferente quando la domenica di Pasqua, davanti a più di 60mila fedeli in piazza san Pietro, nell’occasione della benedizione Urbi et Orbi, Lei ha chiesto l’aiuto di Dio per far finire i conflitti e le guerre nel mondo; per far finire il traffico di armi e le sofferenze sopportate dai più deboli. “Che Egli doni pace a tutto il Medio Oriente, a partire dalla Terra Santa, come pure in Iraq e nello Yemen”, senza dimenticare la denuncia, una volta di più, del dramma della Siria, dove la popolazione civile è “vittima di una guerra che non cessa di seminare orrore e morte”. Ancora una volta Lei si distacca dai nostri “ulema” per denunciare il vile attentato contro i rifugiati in fuga, che ha avuto luogo il giorno prima nella regione di Aleppo, in Siria, con il pesante bilancio di 110 morti.
Il 14 di questo mese, al Colosseo, Lei ha mostrato uno spirito molto critico verso tutti i crimini che si commettono un po’ ovunque nel mondo. “Vergogna per tutte le immagini di devastazioni, di distruzioni e di naufragio che sono diventate ordinarie nella nostra vita; Vergogna per il sangue innocente che quotidianamente viene versato di donne, di bambini, di immigrati e di persone perseguitate per il colore della loro pelle oppure per la loro appartenenza etnica e sociale e per la loro fede in Te”, ha detto in occasione del Venerdì Santo.
Ammiro le Sue prese di posizione, esse sono giuste, umane, sagge. Esse ispirano l’amore verso la Sua persona, verso i cristiani del mondo intero e verso la nobile istituzione che Lei rappresenta, il Vaticano.
Caro Papa Francesco, mi rivolgo a Lei in un linguaggio semplice e con un cuore sincero, pieno di fede e di speranza in Lei e nel Suo desiderio di propagare la pace in questo mondo. Il suo carisma, la sua saggezza, la sua alta spiritualità e sincerità mi fanno sperare in un mondo migliore, un mondo fraterno.
La saluto, e che Dio la benedica, l’accompagni e l’aiuti in tutto ciò che Lei intraprende per il bene dell’umanità!
Kamel Abderrahmani
Parigi 20 aprile 2017

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