Migliaia prigionieri palestinesi sono in sciopero della fame. Questa donna sta combattendo per i propri diritti.

 –  27 Aprile 2017
RAMALLAH – La bellezza  di Khalida Jarrar e l’aria intelligente lasciano solo piccoli segni della  sentenza di 15 mesi scontata in una cella israeliana.
Foto di copertina:  Khalida Jarrar, parlamentare palestinese,  con le dita in segno di vittoria mentre viene accolta nel 2016 da attivisti palestinesi dopo il suo rilascio al checkpoint israeliano di Jbara vicino a Tulkarm  nella West Bank.  (Abed Omar Qusini / Reuters)

È una parlamentare  palestinese, un avvocato, una moglie e una madre. Per Israele è anche un’agitatrice e un pericolo per la sua sicurezza. I suoi spostamenti sono stati  limitati da anni da Israele e dal 1998 non è potuta uscire dalla  Cisgiordania occupata.

Nell’aprile 2015 una corte militare israeliana l’ha condannata per  incitamento e, tra le altre cose, per la sua adesione ad un’organizzazione terroristica illegale –  accuse che ancora nega.
Rilasciata la scorsa estate, Jarrar è occupata in queste settimane a dare voce ai circa 1.000 detenuti palestinesi attualmente impegnati in uno sciopero della fame. Le condizioni nelle prigioni israeliane, dicono, sono diventate insopportabili.
I funzionari israeliani hanno dichiarato che le condizioni sono conformi agli standard internazionali e hanno rifiutato di negoziare con loro. Mentre lo sciopero va avanti, tuttavia, Israele potrebbe  tenere in vita i prigionieri con l’alimentazione forzata.
Israele chiama i detenuti palestinesi “prigionieri di sicurezza”. Molti sono stati condannati per aver svolto o organizzato attacchi violenti contro soldati o civili israeliani.
Secondo il Palestinian Prisoners Club, un gruppo di sostegno per i detenuti palestinesi, oggi i prigionieri palestinesi sono circa 6.500, di cui 56 sono donne e 10 giovani di età inferiore ai 18 anni.

Ancora prima della sua carcerazione, il nome di Jarrar era sinonimo della questione dei prigionieri politici palestinesi detenuti nelle carceri israeliane. Ha trascorso 12 anni come direttrice di Addameer,  gruppo a Ramallah  per i diritti umani  a sostegno dei detenuti. Più recentemente ha diretto il Comitato del Consiglio legislativo palestinese per i diritti dei detenuti.
Ora, dopo la sua carcerazione, ha acquisito una conoscenza fondamentale sull’esperienza dei prigionieri palestinesi, in particolare le detenute. E il suo status come ex prigioniero ha sicuramente aumentato la sua popolarità.
“Il problema dei detenuti è estremamente importante per il popolo palestinese. Sono alla ricerca di capi che li possano davvero rappresentare e pagare il prezzo come chiunque altro”, ha detto Jarrar al Washington Post.
Jarrar ha riferito che negli ultimi due anni, in seguito alle forti tensioni  tra israeliani e palestinesi, il numero di donne palestinesi detenute da Israele  è salito in modo allarmante.
Siamo stati accolti  nel suo ufficio di Ramallah per saperne di più sulla questione.
Questa intervista è stata modificata e condensata per spazio e chiarezza:
D: Sei stata dietro le sbarre per 15 mesi. Raccontaci quali sono le condizioni per le donne? Migliori o peggiori che per gli uomini?
R: Una delle maggiori difficoltà è vedere i minori imprigionati. Sentono la mancanza delle loro famiglie, è veramente difficile per loro e la loro formazione si ferma.
Un’altra cosa difficile sono le donne ferite. Queste donne vengono portate in prigione anche se il loro trattamento ospedaliero non è stato completato. Gli altri prigionieri devono occuparsi di loro.
D: Una delle affermazioni degli scioperanti della fame è che non ricevono abbastanza visite familiari durante la detenzione o che ai loro parenti si impedisce del tutto di visitarli. E’ stata questa la tua esperienza?
R: Non puoi immaginare quanto siano importanti le visite familiari. Dovremmo ricevere due visite al mese, ma alcune  donne con le quali sono stata in contatto non hanno ricevuto nessuna visita da parte dei familiari.
Io ho avuto la mia prima visita dopo quattro mesi. Quando la mia famiglia si presentò la prima volta, la visita fu rifiutata. Con la scusa che non c’era alcuna relazione familiare, anche a mia madre fu detto. Dovevano procurarsi documenti legali al ministero degli Interni per dimostrare la loro parentela con me.
In quel periodo, solo le mie figlie e le mie sorelle hanno ricevuto il permesso per vedermi. A mio marito e ai miei fratelli fu rifiutato per motivi di sicurezza. Gli israeliani usano sempre questa scusa.
D: Gli israeliani chiamano prigionieri di sicurezza i prigionieri palestinesi, tu li chiami “prigionieri politici”. Sono tutti politici i prigionieri palestinesi, anche quelli che hanno ucciso o attaccato gli israeliani?
A: Per me tutti i detenuti sono prigionieri politici. Ho parlato con molte delle donne con cui sono stata in contatto e alcune di loro sono state arrestate solo perché gli israeliani avevano deciso di arrestare qualcuno. In alcuni casi gli israeliani hanno messo coltelli accanto a loro per simulare un attentato quando invece non facevano nulla.
Siamo persone che vivono sotto occupazione e dobbiamo resistere. Anche se un palestinese si oppone con mezzi pacifici, viene arrestato. Io sono stata arrestata per aver parlato contro l’occupazione.
Il problema non è l’azione delle persone sotto occupazione, il problema è l’occupazione stessa. Le persone stanno reagendo a tutto questo. Occorre conoscere più dettagliatamente il popolo palestinese che soffre ogni giorno – sofferenze durante gli spostamenti, sofferenze nei posti di controllo, sofferenze negli insediamenti, sofferenze per non avere accesso all’acqua e  alla loro terra. Cosa possono aspettarsi da queste persone?
D: Israele dice che molti dei giovani palestinesi che effettuano oggi attacchi violenti contro gli israeliani lo stanno facendo a causa di problemi personali o sociali. Credi che questo sia vero?
R: Come comunità non ci vergogniamo  di ammettere che abbiamo problemi sociali. Ci sono problemi in tutte le società. La nostra società discrimina le donne. Questo fa parte della nostra lotta come palestinesi.
Ma questo non è il motivo principale degli attacchi. Secondo i ricercatori è molto facile per le persone che vivono sotto violenza essere poi  violenti verso gli  altri. La società palestinese è violentata  da sempre.
Inoltre, se Israele dice che sono presenti problemi sociali, e in alcuni casi è il tema centrale dei giudici militari israeliani, è questo il motivo per condannare queste persone a lunghi periodi di detenzione?
D: Il presidente palestinese Mahmoud Abbas andrà a Washington la prossima settimana. Sembra che il presidente Trump spingerà sia i palestinesi che gli israeliani a tenere trattative dirette per raggiungere un accordo di pace. Questo porta qualche speranza di risolvere il conflitto?
A: No.
È una questione politica, non una questione personale. La traccia dei negoziati diretti è fallita e non ha portato alcuna speranza al popolo palestinese. Infatti, è accaduto il contrario. La Cisgiordania e Gerusalemme Est hanno più coloni che mai e questo è uno dei principali ostacoli  per la creazione di uno stato.
Abbas accetterà di andare alle trattative sotto Trump, ma sono contraria a questo e, credo, che anche la maggioranza del popolo palestinese sia contraria.

Trad. Invictapalestina.org
Fonte: https://www.washingtonpost.com/news/worldviews/wp/2017/04/27/a-thousand-palestinian-prisoners-are-on-a-hunger-strike-this-woman-is-fighting-for-their-rights/?utm_term=.c440c542cb86





 
 
 
Khalida Jarrar is a longtime Palestinian activist -- and a former prisoner.
washingtonpost.com


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