Massimo Borghesi : Dopo il viaggio in Egitto. Le critiche al Papa tra malafede e mistica
Un commento di Massimo Borghesi
lastampa.it
Dio di pace, Dio salam. Perciò solo la pace è santa e nessuna
violenza può essere perpetrata in nome di Dio, perché profanerebbe il
suo Nome. Insieme, da questa terra d’incontro tra Cielo e terra, di
alleanze tra le genti e tra i credenti, ripetiamo un “no” forte e chiaro
ad ogni forma di violenza, vendetta e odio commessi in nome della
religione o in nome di Dio. Insieme affermiamo l’incompatibilità tra
violenza e fede, tra credere e odiare. Insieme dichiariamo la sacralità
di ogni vita umana contro qualsiasi forma di violenza fisica, sociale,
educativa o psicologica».
Collocate in terra d’Egitto queste parole, dette da un Papa che ha
sempre distinto tra l’Islam e le sue patologie, sono risuonate come un
sostegno a tutti coloro che, nel mondo musulmano, non si riconoscono
nella brutalità del terrorismo religioso. Un sostegno, innanzitutto, al
presidente Al Sisi e all’imam Al Tayyib nel loro sforzo di purificare,
anche sul terreno dell’educazione, l’Islam dalle sue deviazioni. Appena
un mese fa l’Università di Al-Azhar ha pubblicato una Dichiarazione
sulla cittadinanza e la coesistenza, un documento di grandissima
importanza in cui si dissociano, per la prima volta, i diritti di
cittadinanza, eguali per tutti, dall’appartenenza religiosa. Un
documento che segue a quello, altrettanto importante, degli ulema del
Marocco, sull’apostasia, nel quale viene riconosciuta la libertà di
cambiare fede religiosa senza incorrere in pene di carattere civile.
Il mondo islamico, percosso dalla violenza del fondamentalismo
islamista, è in movimento. Il viaggio del Papa in Egitto aveva
certamente tra i suoi scopi quello di sostenere questo «movimento», di
incoraggiarlo al fine di ritrovare il volto del Dio della misericordia,
l’unico che consente l’incontro, il dialogo, il rispetto tra tutte le
comunità religiose, senza alcun sincretismo. Allo stesso modo il Papa
pellegrino ha voluto sostenere la Chiesa copto-ortodossa, vittima degli
attacchi e delle persecuzioni. In modo particolare dopo la
defenestrazione dei Fratelli musulmani dell’ex presidente Morsi. Il suo
sostegno si colloca dentro l’«Ecumenismo del sangue» che, dopo secoli di
distanze, viene ora abbattendo i muri di indifferenza che separavano i
copti ortodossi dai cattolici. Come ha detto Francesco: «Quanti martiri
in questa terra, fin dai primi secoli del Cristianesimo, hanno vissuto
la fede eroicamente e fino in fondo versando il sangue piuttosto che
rinnegare il Signore e cedere alle lusinghe del male o anche solo alla
tentazione di rispondere con il male al male. Ben lo testimonia il
venerabile Martirologio della Chiesa Copta. Ancora recentemente,
purtroppo, il sangue innocente di fedeli inermi ci unisce».
Questa comunione spirituale ha ora raggiunto un traguardo di
grandissima importanza. Francesco e Tawadros II hanno firmato una
dichiarazione congiunta che riconosce un unico battesimo per le due
Chiese e sopprime l’usanza, invalsa nella Chiesa copta dei tempi
moderni, di ribattezzare coloro che provenivano dal cattolicesimo. La
via dell’unione fraterna è così realmente tracciata. In tal modo il
viaggio di Francesco ha aperto lo sguardo del mondo su un modello
possibile di coesistenza amichevole tra musulmani e cristiani e sulla
comunione tra cattolici ed ortodossi. Una sorta di miracolo che ha preso
piede in una terra, l’Egitto, che rappresenta da sempre un faro di
civiltà per il mondo islamico e un esempio, di fatto, di coesistenza tra
musulmani e cristiani.
Di fronte a questo «miracolo» non può non sorprendere la chiusura e
l’acrimonia di coloro che dentro la Chiesa, hanno fatto dell’opposizione
a questo Papa una professione. Di fronte ad un viaggio, che essi
pronosticavano come prova di cedevolezza di Bergoglio all’Islam, delusi
dalle attese hanno ripiegato su altri argomenti per poter denigrare
quello che, agli occhi di tutti, è apparso come un successo. Nella
galleria delle accuse spicca l’uso della frase: «Meglio non essere
credenti, piuttosto che cristiani ipocriti», fatta dal Papa nello stadio
di fronte ai copti cattolici. Una frase che documenterebbe una banalità
anticristiana, un’offesa a coloro che rischiano la vita per il nome i
Cristo. I critici impagabili dimenticano qui di ricordarci che il
cristiano «ipocrita» non rischierebbe certo la sua vita e che il grido
contro i farisei «ipocriti» risuona costantemente nel Vangelo.
I critici impagabili non ricordano che dell’Ecumenismo del sangue,
del sacrificio dei martiri cristiani, il Papa ha parlato a lungo di
fronte al patriarca Tawadros. C’è poi chi ha rimproverato il Papa per le
sue «banalità» sociologiche, per aver affermato che: «Per prevenire i
conflitti ed edificare la pace è fondamentale adoperarsi per rimuovere
le situazioni di povertà e di sfruttamento, dove gli estremismi più
facilmente attecchiscono». Anche qui il critico di professione
dimentica, o fa finta di dimenticare, una verità ovvia, e cioè che nelle
banlieues, nelle situazioni di emarginazione, di ghetto etnico,
maturano facilmente odio e risentimento, brodo di coltura di ogni
follia, anche di quella religiosa. Tutte queste considerazioni sono,
comunque, banali.
Ciò che colpisce nei critici impagabili, dopo un viaggio così
rischioso e difficile da parte del Pontefice, è la cura del «dettaglio».
Non potendo denigrare il Papa per l’insieme a motivo del successo, non
potendolo accusare di «eterodossia», spostano l’attenzione sul
«particolare». Dirottano l’attenzione, prelevano una singola frase fuori
dal contesto, e presentano Francesco come uno sprovveduto, un
pericoloso progressista, un pericolo per la Chiesa. Il Papa ha appena
firmato un atto storico di riconciliazione con il patriarca Tawadros e
loro presentano Bergoglio come una minaccia. Non una sola parola sul
superamento del doppio battesimo, non una parola sull’Ecumenismo del
sangue, non una parola sull’abbraccio, senza sincretismi, con l’iman Al
Tayyib, non una sul rispetto e l’ammirazione di fronte ad un papa che ha
detto apertamente, nella sede della Conferenza internazionale sulla
pace: «Io sono cristiano».
Tutto ciò per i critici di professione non significa nulla. Di tutto
ciò non bisogna parlare perché rischia di smentire l’immagine che
propagandano del Papa. E allora ecco la strategia del «dettaglio»:
portare in primo piano un frammento e nascondere l’intero. Questa
operazione, senza scomodare Sartre, ha un nome: malafede. Chi opera,
sistematicamente, in questo modo, chi non si lascia mai interrogare da
ciò che accade realmente, è in malafede. Deve difendere, a priori, un
punto di vista che non è in grado di riconoscere quanto lo Spirito opera
oggi nella storia. La malafede è il pre-giudizio che blocca ogni ragion
critica. La fonte di essa è duplice. Una, di ordine ideologica, è più
scontata. Coloro che, sistematicamente, avversano il Papa lo fanno, per
lo più, perché si collocano in un ambito politico reattivo che vorrebbe
lo scontro aperto con l’Islam e che avversa la questione sociale in
tutte le sue manifestazioni. Ogni richiamo a quest’ultima appare come
una posizione filo-marxista. La Chiesa lamenta qui l’oblio della
dottrina sociale che, dopo l’89, è stata riposta in soffitta.
L’altra fonte della critica sistematica è di ordine mistico.
Rappresenta un mistero il fatto che taluni che si professano «cattolici»
possano realmente pensare che il Pontefice sia una figura
dell’Anticristo. Questa fede, sostenuta dai profeti di sventura, ha,
nella sua origine, qualcosa di enigmatico. I professionisti della
critica papale non sono solo dei radicalconservatori che vanno contro la
tradizione. Sono anche dei mistici, fautori di una mistica negativa
suggestionata da profetesse e da lampi su S. Pietro, per i quali le
tenebre della notte sono calate sulla Chiesa e l’apocalisse è imminente.
Mistici del negativo che non vedono né la grazia che accade, né le vere
tragedie che incombono sul nostro tempo. Abituati alla malafede, ad
usare il dettaglio per nascondere la verità dell’insieme, i critici sono
travolti dal loro stesso metodo. Non hanno più occhi né per la grazia
né per il peccato. Vedono il peccato là dove risplende la grazia di una
testimonianza che sorprende il mondo e vedono la grazia in una critica
negativa che dissolve la credibilità cristiana e la fiducia nella
Chiesa. La loro ossessione è gettare fango, ogni giorno, sul successore
di Pietro. Una malattia dell’anima, oltre che della mente.
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