Fulvio Scaglione : Se Trump fa la guerra ai pasdaran
Della politica estera di Donald Trump una sola cosa, al momento, pare chiara: non gli piace l’Iran.
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Della politica estera di Donald Trump una sola cosa, al momento, pare chiara: non gli piace l’Iran.
Non a caso il Paese degli Ayatollah è stato inserito nel cosiddetto
“muslim ban” ed è stato qualificato da John Mattis, ex generale e
segretario alla Difesa, come “il più grande sponsor del terrorismo di
Stato”. Tutto questo, però, potrebbe essere nulla a confronto di quanto
si vocifera a Washington.
E cioè, l’intenzione della nuova amministrazione Usa
di inserire il Corpo delle guardie della rivoluzione islamica, meglio
noti come Guardiani della rivoluzione o ancor più semplicemente come
pasdaran, nella lista delle organizzazioni terroristiche.
Il passo equivarrebbe a una mezza
dichiarazione di guerra, perché il corpo dei pasdaran (che peraltro
controlla anche le milizie dei volontari chiamati basij) è un
organismo militare regolare della Repubblica islamica, fondato per
volere diretto dell’ayatollah Khomeini il 1 febbraio del 1979, con il
compito di proteggere la rivoluzione islamica da eventuali colpi di coda
dell’esercito, allora in gran parte fedele allo Shah. I pasdaran, peraltro, furono protagonisti anche della sanguinosa guerra contro l’Iraq di Saddam Hussein
(1980-1988), dove si sacrificarono a migliaia nelle famose “ondate
umane” con cui l’Iran spesso rispose alla migliore organizzazione
irachena. Forse senza di loro la Repubblica islamica sarebbe stata
spazzata via già allora.
Insomma: mettere fuorilegge i pasdaran equivarrebbe a mettere fuori legge l’Iran
stesso. Infatti negli Usa già infuria il dibattito. Molti, soprattutto
negli ambienti della politica e dell’intelligence, ritengono che
l’ipotetica mossa di Trump e dei suoi avrebbe conseguenze assai negative
per gli interessi americani in Medio Oriente. Non manca però analisti e
studiosi convinti del contrario. Questi avanzano alcune considerazioni
degne almeno di riflessione. I 120 mila uomini armati che formano i
Guardiani della rivoluzione sono il cuore pulsante dell’antiamericanismo
iraniano e il motore della sua diffusione in tutto il Medio Oriente, dal Libano all’Afghanistan.
Ma soprattutto i pasdaran sono una potentissima forza conservatrice
all’interno dello stesso Iran. Controllano ormai circa il 20%
dell’economia del Paese, rifiutando ovviamente di aprirla alla libera
concorrenza e alla partecipazione di investitori esteri. E sono in grado
di imporre la propria volontà ai moderati come il presidente Rouhani su
tutta una serie di temi decisivi per la regione.
Manco a farlo apposta, è arrivata dall’Iraq
una notizia che pare confermare queste analisi. Il Governo iraniano,
infatti, ha nominato ambasciatore a Baghdad Iraj Masjedi, generale di
brigata dei Guardiani della rivoluzione e uno dei principali consiglieri
di Qasem Soleimani, a sua volta comandante della Forza Quds, il corpo
speciale dei pasdaran incaricato delle operazioni fuori dal territorio
iraniano. La Forza risponde direttamente all’ayatollah Alì Khamenei,
guida suprema dell’Iran e comandante supremo delle forze armate, ed è
sulla lista Usa delle organizzazioni terroristiche fin dal 2007.
La nomina di Masjedi è stata accolta con furore dall’Arabia Saudita (Thamer
Sabhan, ministro per gli Affari del Golfo ed ex ambasciatore in Iraq,
l’ha definito “un criminale di guerra ricercato in tutto il mondo”),
mentre in Iraq le reazioni sono state prudenti da parte dei curdi,
aspramente critiche da parte dei sunniti ed entusiaste da parte degli
sciiti. Tutto prevedibile anche perché tutti gli ambasciatori iraniani
in Iraq, dopo il 2003, hanno avuto le stesse caratteristiche: venivano
dai pasdaran e avevano origini irachene, essendo nati in famiglie
espulse in passato dall’Iraq da Saddam Hussein proprio perché di origine
iraniana.
Tutto questo ci dice quanto sia
importante, e quindi anche rischiosa, la questione dei guardiani della
rivoluzione e del loro eventuale inserimento nella lista dei movimenti
terroristici. E fa capire che proprio l’atteggiamento nei confronti
dell’Iran sarà la cartina al tornasole della politica trumpiana per il
Medio Oriente. Sempre ammesso che esista, ovvio.
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