3000 notti di Mai Masri. Film di libertà, contro l’ingiustizia di Alessandra Mecozzi

 
 
 
 
 
di Alessandra Mecozzi Incontro Mai Masri, subito dopo la proiezione del film, il suo primo lungometraggio, dopo tanti documentari. Nella Sala Zavattini di AAMOD*,…
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 Alessandra Mecozzi Incontro Mai Masri, subito dopo la proiezione del film, il suo primo lungometraggio, dopo tanti documentari. Nella Sala Zavattini di AAMOD*, strapiena, si sono intrecciate molte diverse emozioni e pensieri. Le chiedo di parlarmi un pò di lei, regista pluripremiata. 3000 è del 2015, in cerca di distributore!
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Mai Masri: “Sono nata ad Amman, da padre palestinese e madre americana nel 1959. Ho vissuto a Beirut, dove vivo tuttora, ma ho fatto i miei studi di cinema a San Francisco. Dal 1982** ho cominciato a fare film con Jean Chamoun, il cineasta libanese che diventerà mio marito e padre delle nostre figlie, Nour e Hana. In quegli anni, quelli dell’invasione israeliana del Libano, del massacro di Sabra e Chatila, ho fatto molti documentari di guerra, sui campi profughi” (ricordo il bellissimo Frontiere dei sogni e della paura, sull’incontro tra adolescenti dei campi di Chatila e Deishe proiettato al Detour il 14 marzo)
D. 3000 notti è ambientato all’inizio degli anni 80, anche se girato molto dopo. Perché?
R. Io racconto una storia vera, di una donna che ho incontrato a Nablus, la mia città natale, durante la prima intifada, insieme a molte altre donne che erano state in prigione negli anni precedenti. Gli anni 80, per ambientare il film, li ho scelti per diversi motivi: sono anni di guerra e di resistenza, quelli in cui si costituisce un movimento anche nelle carceri israeliane, cominciano grandi scioperi. Infatti il film parla di uno sciopero delle donne. Non solo rifiuto del cibo ma anche rifiuto di cucinare per i guardiani della prigione e per i soldati. Sono anche gli anni in cui avvengono scambi di prigionieri, alcune donne riacquistano la libertà proprio per quello: 5000 prigionieri e prigioniere palestinesi vengono liberati in cambio del rilascio di 6 soldati israeliani!
D. Ma c’è molto altro insieme alla resistenza politica…ci sono donne che creano legami tra loro, e Layal, la protagonista, in questo scambio e sotto la violenza terribile del carcere e della tortura, sembra costruire la sua libertà di donna, il suo stesso voler tenere il bambino è solo una parte di questa “autocostruzione”….
R. Sì è proprio così, questo è lo spirito del film. Quando entra in prigione Layal è schiacciata dalla paura e dalla violenza. Man mano reagisce, contro le carceriere crudeli, contro i militari che cercano di spezzare lo sciopero buttando gas nelle celle, contro la sofferenza sua e delle sue compagne di cella, cacciando il marito che con cinismo se ne era partito per il Canada al momento della sua condanna a 8 anni. Rifiuta di dargli il bambino quando torna, come aveva rifiutato il suo consiglio di mentire per salvarsi…Sciopera. Ma è anche l’unica che soccorre una prigioniera israeliana che sta per morire di droga e che si salva grazie al suo aiuto…
D. Ecco, un’altra cosa che mi ha molto colpito è la capacità di far convivere  immagini di  grande violenza, angosciose, con altre di grande tenerezza: l’uccellino che entra dalle sbarre, il bambino che impara a disegnare sul muro, l’anziana che lo bacia e lo benedice…
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mai masri anziana film



R. Questo bambino, Nour, è, come il resto, vero: adesso ha quattro anni e non fa che disegnare sui muri di casa, tanto è indelebile quell’esperienza…La prigione è una metafora: quella della condizione di vita dei palestinesi sotto occupazione. Ci sono pochi colori, perché in prigione è vietato portare colori, e ho girato in un carcere vero, in Giordania, per far capire che cos’è la prigionia…Ma è anche la rappresentazione della vita, dove si incrociano destini umani, dove vivono amore e tenerezza, non solo violenza e sofferenza. Dove si sviluppa la solidarietà. Anche la solidarietà che all’inizio sembra impossibile, tra prigioniere palestinesi e prigioniere israeliane. E questo è avvenuto davvero, in particolare al tempo del massacro di Sabra e Chatila. Tutto questo fa parte della nostra storia che ho voluto raccontare in modo veritiero, perché non ne vada perduta la memoria…
D. Hai detto (nella discussione col pubblico n.d.r) che per realizzare questo film ti ci sono voluti ben 5 anni! Quali ostacoli hai incontrato? Quali sfide hai dovuto affrontare?
R. Il primo è stato quello di trovare fondi per produrre il film…La rappresentazione della realtà palestinese non piace molto, come sapete…quindi trovare chi finanziasse il film ha richiesto tempo! Altra sfida difficile è stata quella di girare nel deserto, e con un bambino…Il bambino non lo puoi dirigere, non puoi rifare una scena…Quando lo vedete dormire, è perché dormiva, e lo stesso quando ride, quando piange, quando disegna…
D. Tu hai scelto il cinema come strumento di resistenza, memoria, presa di coscienza…pensi che in genere la cultura palestinese svolga questo ruolo e che anche la nuova generazione condivida questo sentimento?
R. Sì, tutta la nuova generazione e in particolare le donne…Ci sono sempre più registe giovani, sono circa il 50%! E c’è anche molta ricerca di nuovi linguaggi filmici e molta ricerca musicale. Anche a Gaza la musica è uno strumento molto amato, utilizzato e di cui moltissimi giovani vogliono impadronirsi, ricercando anche nuove tecnologie. Sono molto convinta che la cultura, la creatività, siano strumenti di resistenza essenziali, perché consentono l’espressione e conservazione della identità di un popolo. La cultura crea resistenza e speranza. Oggi la politica è bloccata, la cultura è molto più avanti.
  • Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico, Roma
  • ** Filmografia
    2007 – 33 Days
    2006 – Beirut Diaries
    2002 – Rêves d’exil
    2001 – Frontiers of Dreams and Fears
    1998 – Children of Shatila
    1995 – Hanan Ashrawi, une femme de son temps
    1992 – Rêves suspendus
    1990 – Children of Fire
    1988 – Beyrouth, génération de la guerre
    1986 – Fleur d’ajonc
    1986 – Wild Flowers: Women of South Lebanon
    1983 – Sous les décombres

  • da leggere: il parere sul film di due abitanti di Gaza  http://www.huffingtonpost.com/asmaa-abumezied/two-gazans-and-3000-night_b_9781326.html

 
 

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