L’Osservatore Romano (Settimanale) 05-02-2017
Non c’è niente da fare. Ho un vero debole per la musica arabo
andalusa, quella molto vicina al flamenco. So che all’orecchio
“occidentale” suona monotona e un po’ noiosa, ma per me rimane la musica
dell’adolescenza, la sola a consolare le mie delusioni d’amore.
Questione di gusti!
In quell’epoca nasceva a Tangeri una Radio dedicata al
Mediterraneo. Quella musica ne era il tappeto sonoro. Per tutto il corso
della giornata vi risuonavano ritmi provenienti da Algeria, Tunisia e
Marocco. Le voci sublimi dei cantanti ti facevano viaggiare in un mondo
di armonia tra culture diverse: ebrea, cristiana e musulmana. Quei suoni
provenivano dal IX Secolo, l’epoca dell’emirato di Abderrahman II.
Erano le armonie dell’Andalus di Ziryab, il musicista persiano
considerato come l’iniziatore del genere.
Molti artisti magrebini hanno permesso la sopravvivenza di questa
musica che continua ancora oggi a raccogliere seguaci e appassionati.
Tra tutti mi limiterò a citare Salim Halali, non solo per la sua
maestria e capacità musicali, ma per un episodio della sua vita che mi
sembra opportuno raccontare a ridosso della giornata della memoria.
Halali, il cui nome era Simon prima di scegliere un nome d’arte,
era di origini algerine: cantante e suonatore di liuto, darbuka e
violino. Nato a luglio del 1920 vicino ad Annaba nel seno di una
famiglia di musicisti ebrei. Suo padre era di origini turche, sua madre
era berbera.
Nel 1937, Halali è a Parigi dove inizia a raccogliere consensi e
apprezzamenti. Il suo incontro con il musicista algerino Mohamed el
Kamel è decisivo: è lui che scrive tutti i primi successi discografici
di Halali.
Tutto fila liscio fino all’occupazione tedesca.
Le origini ebree di Salim diventano un pericolo per la sua vita. La
storia (e qualsiasi enciclopedia) ci racconta come fu salvato dal
fondatore e primo rettore della moschea di Parigi. Si Kaddour
Benghabrit, così si chiamava, gli procurò documenti falsi perché
risultasse un musulmano, arrivando a scolpirne la “prova” – il nome del
padre defunto – su una tomba anonima del cimitero musulmano di Bobigny
(Seine-Saint-Denis).
Dopo la seconda guerra mondiale, Salim Halali si trasferisce a
Casablanca, in Marocco, dove inizia a esplorare gli ibridi ritmi
giudeo-arabi come la famosa canzone A yidishe mame (una madre ebrea).
Nel 1970 acquista una casa discografica e si dedica a produrre i lavori di musicisti magrebini.
In Marocco è ricordato ancora per la sua grande generosità. Aiutava
molti poveri soprattutto nei periodi delle feste islamiche. È
commemorato anche per aver devoluto in beneficenza la totalità dei
diritti delle sue canzoni.
A chi continua a fomentare l’odio ovunque: perché storie del genere non vi interessano?
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