Amira Hass : La tracotanza militare rappresenta un disastro
Amira Hass, 21 febbraio 2017 Haaretz
L’idea che Israele possa essere cambiato o sconfitto con gli strumenti
in cui eccelle – guerra e uccisioni – è la definitiva identificazione
con la mentalità israeliana. Il leader di Hezbollah, Hassan…
Zeitun
Il leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, afferma che i missili di
Hezbollah possono raggiungere l’impianto nucleare israeliano nella città
di Dimona, nel Negev. E’ difficile sospettare che intenda causare la
morte di decine o centinaia di migliaia di palestinesi nella vicina Gaza
e nel Negev, o provocare loro malattie letali. Hezbollah è riuscita a
cacciare dal proprio Paese l’occupazione israeliana. Per questo
Hezbollah ed il popolo libanese meritano apprezzamento. Però oggi le sue
affermazioni possono essere interpretate come millanteria, cosa che più
di ogni altra rivela paura e debolezza.
Nella Striscia di Gaza è stato eletto alla guida del movimento
[Hamas] un nuovo leader, Yahya Sanwar. Hamas è un partito moderno ed
organizzato, che tiene regolari elezioni interne, benché clandestine,
un’impresa che Fatah non è mai riuscita a realizzare neppure operando
alla luce del sole ed in relativa libertà. Hamas cambia i suoi capi e
nessuno di loro decide le linee politiche da solo, al contrario della
situazione all’interno di Fatah.
A Gaza si dice che Sanwar è stato
eletto perché ha acquisito grandi capacità di leadership in prigione, e
che è modesto, ascolta gli altri ed è equilibrato. Ma anche se lui
aderisce all’attuale tendenza politica per evitare un conflitto armato,
l’ala militare della sua organizzazione lavora incessantemente per
armarsi e migliorare le proprie potenzialità. Le sue ostentate parate
militari inviano un messaggio, anche quando Iz al-Din al-Qassam (ala militare di Hamas, ndtr.) smette di sparare.
Le parate e le promesse creano un’atmosfera di ‘resistenza’.
Scatenano l’immaginazione del popolo che stiamo opprimendo e
schiacciando, dando loro una speranza, un filo di speranza a cui
aggrapparsi. Ma ci si dimentica di alcuni fatti: dopo la guerra in
Libano del 2006, Hezbollah non ha osato aprire un secondo fronte quando
Gaza veniva attaccata da tre offensive israeliane. Dal momento del
rapimento di Gilad Shalit nel giugno 2006 fino all’offensiva del
dicembre 2008, Israele ha ucciso 1.132 abitanti della Striscia di Gaza.
Di questi, 604 erano legati a gruppi armati, ma non tutti avevano
necessariamente preso parte agli scontri. Dei civili uccisi, 207 erano
minori e 89 erano donne. Erano anche parte del prezzo pagato per il
rilascio di Sanwar e di altri.
Il profilo personale di Sanwar che appare sui siti web di Hamas
attesta che ha messo a morte dei collaborazionisti nell’ambito di una
strategia incentrata sulla deterrenza. Sono passati trent’anni e il
collaborazionismo non è diminuito. L’assassinio – ovviamente di solito
di pesci piccoli e di innocenti – non si è dimostrato efficace.
Questa settimana un portavoce che partecipava ad una conferenza in
Iran ha detto che Hamas dispone di gruppi armati in Cisgiordania. Le
loro attività sono forse riuscite in passato a fermare l’orgia
colonialista israeliana? No. Non ci sono riuscite neanche le tattiche
diplomatiche, anche questo è vero. Ma se il risultato è lo stesso,
perché scegliere la strada senza uscita che comprende uccisioni, arresti
e distruzioni? Potreste dire che è una domanda ingenua e femminile, e
noi rispondiamo: questa è una tattica fallimentare e maschile.
I palestinesi lamentano che i loro figli adottano i concetti di
Israele ed interiorizzano il disprezzo nei loro confronti. Ma l’idea che
Israele possa essere cambiato o sconfitto con i mezzi in cui eccelle –
guerra ed uccisioni – è proprio l’estrema identificazione con la
mentalità israeliana.
Israele ha un costante interesse ad esagerare la minaccia militare
costituita dalle due organizzazioni religiose islamiche. Questa tendenza
va di pari passo con la sistematica distorsione della realtà attraverso
la presentazione degli ebrei come vittime dei palestinesi. Entrambe le
organizzazioni islamiche hanno interesse a che Israele le consideri
esageratamente temibili. Questo accresce il loro peso politico.
Israele procede senza campagne militari a tutto campo, usando la
violenza burocratica, il sadismo organizzato, la concentrazione dei
palestinesi in enclaves e l’assedio. Ma per le sue esigenze politiche
interne ed estere sa molto bene, quando necessario, come usare la
tracotanza militare. Allora questo rappresenta un disastro che richiede
anni per una pur debole ripresa. Non bisogna tirare questa corda.
Bisogna trovare altri metodi di lotta.
(Traduzione di Cristiana Cavagna)
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