Sumaya Abdel Qader : Quei Cie dove vogliono rinchiudere i nostri valori


 
 
 
 
 
 
 
Il 2017 si è aperto con due annunci: quello del ministro degli Interni, Marco Minniti, che vuole aprire un Cie (Centro di identificazione ed espulsione) in ogni Regione e quello del Capo della Polizia, Franco Gabrielli, che vuole rafforzare i…
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Il 2017 si è aperto con due annunci: quello del ministro degli Interni, Marco Minniti, che vuole aprire un Cie (Centro di identificazione ed espulsione) in ogni Regione e quello del Capo della Polizia, Franco Gabrielli, che vuole rafforzare i pattugliamenti "per il rintraccio degli stranieri e allontanamento degli irregolari".
Nel 1998 con la legge Turco-Napolitano vengono istituiti i Cpt (centri di permanenza temporanea) con l'obiettivo di trattenere i cittadini stranieri che si trovano in Italia in condizione di irregolarità fino alla loro identificazione e la conseguente espulsione. La legge Bossi-Fini, poi, istituì formalmente i Cie (Centri di identificazione ed espulsione) prolungando anche i tempi di permanenza all'interno delle strutture che, in alcuni momenti, è arrivata persino a 18 mesi.
Nel tempo si è giunti a costituire fino a quindici centri, ma a seguito di diverse proteste e problemi molti vennero chiusi o convertiti in centri di accoglienza (è il caso di Milano ad es. con il centro Corelli) e così oggi quelli effettivamente destinati all'identificazione e all'espulsione degli stranieri sono scesi a sei: Torino, Brindisi, Bari, Crotone, Caltanissetta, Roma.
All'interno del vasto e complesso tema della gestione dei flussi migratori non possiamo trascurare il fenomeno dell'irregolarità. Come evidenzia anche il XXII rapporto Ismu sulle migrazioni, il numero di cittadini stranieri privi di permesso di soggiorno è in (leggero) aumento rispetto al passato. Ismu stima che "non abbiano un valido titolo di soggiorno 435mila immigrati (contro i 404mila alla stessa data dell'anno precedente).
L'incidenza degli irregolari sul totale della popolazione straniera presente è del 7,4%". Tra le varie motivazioni di questo sensibile aumento c'è anche la grande ondata di profughi che da inizio 2016 hanno cominciato a rimanere in Italia anziché andare verso il nord Europa. Ma, per varie ragioni i Cie non hanno saputo essere risolutivi: sono costosi, sono poco efficaci e poco efficienti, sono luoghi in cui viene spesso violata la dignità delle persone oltre che i loro diritti.
A tal proposito si veda il rapporto della Commissione De Mistura che ben spiega le criticità del sistema Cie. Cosa si può fare? Trasformare le criticità in opportunità. Negli ultimi quindici anni, i paesi europei hanno speso circa 11,3 miliardi di euro per espellere i migranti irregolari.
Mi domando: e se questi soldi e quelli che vengono spesi ogni anno per far "funzionare" i Cie (circa 200 in Europa) venissero usati per accogliere in modo decoroso, regolarizzare e inserire le persone senza regolari documenti? Cosa ci spaventa e ci trattiene nell'intraprendere questa strada o sperimentane di nuove?

La questione non è facile e necessita una risposta ponderata, articolata e responsabile. In sintesi sarebbe necessario lavorare su più piani e aspetti contemporaneamente, tra cui:
  • Rilanciare i rapporti multilaterali coi paesi di origine: promuovendone la crescita e lo sviluppo, perché se si migliorano le condizioni a monte è ovvio che a valle la situazione sarà diversa. Certo, questo non è un punto nuovo nell'agenda europea, ma purtroppo non si è mai trovata la chiave operativa e l'approccio giusto per rendere efficaci le politiche proposte (non ci abbiamo creduto fino in fondo? Non lo abbiamo voluto davvero? Non siamo stati capaci?). Eppure le relazioni coi paesi in difficoltà possono trasformarsi in straordinarie opportunità per noi e per loro: borse studio o formazione professionale vincolate al ritorno nel paese di origine per far fruttare la formazione acquisita; viaggi stage per i nostri studenti; progetti in partnership sia nei paesi di origine che in Italia, opere pubbliche importanti, investimenti vari, lotta comune alla criminalità transnazionale, ecc.

  • Costruire un piano culturale: bisogna lavorare sui pregiudizi radicati verso chi arriva e trasformarli in vivace curiosità per arrivare a riconoscere nell'"altro" una ricchezza, un valore aggiunto, una persona al nostro pari. È necessario offrire a chi arriva l'insegnamento della lingua italiana (obbligatoriamente) e corsi di educazione civica; è importante, inoltre, sostenere i progetti artistici/creativi per trasmettere cultura e conoscenza a due sensi.

  • Indirizzare lo sforzo politico oltre il populismo. Si torna a parlare di Cie, profughi e immigrati irregolari ogni volta che ci si trova di fronte a una presunta emergenza e le risposte spesso sono dettate dalla fretta e dalla necessità di dimostrare che si sta rispondendo. Uscire dalla risposta emergenziale deve essere un punto fermo.

  • Non limitarsi all'emergenza degli sbarchi: in Italia sono sempre più numerosi i cittadini stranieri che vivono qui da anni ma che hanno perso il lavoro a causa della crisi e con esso il permesso di soggiorno, diventando irregolari. Anche queste persone rischiano di finire in un Cie ed essere espulse dopo aver trascorso anni nel nostro Paese. O magari senza aver mai visto il Paese d'origine come nel caso dei giovani apolidi;

  • Ripensare il sistema dei rimpatri e renderli sostenibili, punto che si lega inevitabilmente al primo. Nella maggioranza dei casi in cui la richiesta di regolarizzazione viene respinta gli interessati non vengono riaccompagnati a casa. Perché possa avvenire il rimpatrio è necessario stabilire accodi bilaterali, appunto, coi paesi di provenienza. Per ora solo l'Egitto, la Tunisia e la Nigeria accettano di riprendere i propri connazionali e comunque ciò non avviene semplicemente, tanto che, dei circa 40 mila stranieri senza permesso individuati in Italia, per circa 30 mila è stato firmato il decreto di espulsione, ma appena 5 mila sono stati rimpatriati. Il sistema attuale è insostenibile. Questo ha permesso di far nascere un popolo di invisibili, quello dei "diniegati", normalmente ignorati dalle politiche di intervento, ma evocati ad hoc nei momenti di agitazione collettiva. Tra l'altro spesso si eclissa il dato di fatto che molti di coloro che sono in attesa di una risposta di riconoscimento per lo status di asilo nel frattempo iniziano a lavorare e inserirsi nel tessuto sociale. E quando arriva la risposta negativa? Cosa succede? Appunto, diventano invisibili ed entrano nell'interregno.
Una delle tante proposte possibili arriva dalle cooperative e dalle associazioni dei progetti Sprar di Torino che gestiscono i richiedenti asilo e le aziende che ospitano i tirocinanti. Questi hanno creato la Rete SenzaAsilo per chiedere una revisione delle regole che preveda, fra le altre cose, di considerare la situazione lavorativa e di integrazione dei singoli migranti evitando di trasformarli in fantasmi vaganti in un interregno.
In conclusione: bisogna uscire dalla contrapposizione "Cie sì - Cie no". Oggi più che mai è essenziale una revisione della politica migratoria in toto: non ci si può fermare a dettare singole misure risolutive o presunte tali; a partire, per esempio, dall'abolizione della Legge Bossi Fini e della sua sostituzione con una legge organica radicalmente nuova sull'immigrazione.
Come ha ricordato anche il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella nel suo discorso di fine anno è necessario slegare il collegamento fuorviante tra immigrazione = terrorismo/criminalità/occasioni tolte agli italiani/, messaggio che a mio avviso spesso sottostà ai discorsi di molti tra coloro che sostengono l'aumento del numero dei Cie e quindi delle espulsioni, senza porsi domande sulla loro effettiva efficacia.
Un'equazione, smentita ormai dalle statistiche, ma troppo prelibata visto la forte presa che ha sul sentire popolare. In realtà un problema c'è ma non è proponibile sotto forma, appunto, di equazione. La popolazione invisibile che si crea a causa delle politiche sull'immigrazione irregolare esiste e può cadere nella rete dell'illegalità a diversi livelli oltre a considerare la condizione umana inaccettabile.
Questa popolazione si può trasformare in "un'umanità che girovaga nei parcheggi, chiede l'elemosina, quando va bene finisce nel giro del caporalato, quando va male in quello dello spaccio, e poi in carcere, dove si radicalizza" facendo crescere l'insofferenza della popolazione, "cavalcata dalla politica più populista", come afferma Fiorenza Sarzanini nel suo articolo del 4 gennaio 2016 sul Corriere on line, alimentando lo spettro dello scontro.
C'è poi una questione di fondo legata ai nostri valori fondamentali. O crediamo fino in fondo nella dichiarazione dei diritti dell'Uomo e del Fanciullo, o crediamo fino in fondo nella necessità di cooperare per lo sviluppo sostenibile ovunque, o crediamo nella necessità della pace e superare le guerre (che alimentiamo direttamente e indirettamente, per esempio, vendendo armi che possono arrivare nelle mani sbagliate), o crediamo nel dover lavorare non più in emergenza, ma con una visione a lungo termine che necessita di operazioni strutturali, o non piangiamoci addosso.
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