Occupazione israeliana: da Hebron il grido “rompiamo il muro del silenzio”
l 16 gennaio a Hebron
l'incontro del Coordinamento dei vescovi per la Terra Santa (Hlc) con
Yehuda Shaul, co-fondatore dell’ong israeliana “Breaking the Silence”,
che ha lo scopo di far conoscere ciò che accade nei Territori Occupati,
la routine dell’occupazione militare, fatta di abusi,
molestie, percosse, arresti arbitrari e umiliazioni ai danni dei
palestinesi, anche bambini. Nell'unica città palestinese che nel suo
centro ha un insediamento ebraico di poche centinaia di coloni - dunque
specchio dell'occupazione israeliana - Shaul ha raccontato la sua
esperienza di veterano e spiegato come "rompere il muro del silenzio"
sull'occupazione può aiutare la soluzione del conflitto che è tutta
nelle mani di palestinesi e israeliani
Ragazzini
palestinesi abbattuti, schiaffeggiati, segregati per ore, molestati e
intimoriti fino al punto di farsi la pipì addosso. Piccoli ma abbastanza
grandi da essere ritenuti “fiancheggiatori dei terroristi”. Adulti
picchiati, umiliati, bendati, ammanettati, tirate di capelli, di unghie.
E ancora confische di terra, demolizioni di case, arresti arbitrari e
blitz notturni. È l’occupazione militare israeliana raccontata, non
dalle vittime, ma dagli stessi soldati dell’Idf (Israel defense forces)
che hanno svolto il servizio militare nelle zone dei Territori Occupati,
di Gaza e di Gerusalemme Est a partire dalla seconda Intifada (2000).
Come Yehuda Shaul, co-fondatore e co-direttore, insieme
a due suoi commilitoni, Avichai Sharon e Noam Chayut, dell’ong
israeliana “Breaking the Silence” (in ebraico Shovrim Shtika).
Oltre 1.100 testimonianze.
Dal 2004 l’obiettivo di Shaul e della sua organizzazione è quello di
far conoscere ciò che accade nei Territori Occupati, la routine
dell’occupazione militare, o peggio “la norma”, di sensibilizzare
l’opinione pubblica israeliana sugli abusi che vengono compiuti ai danni
dei palestinesi e di dare la possibilità ai soldati, dopo la fine del
servizio militare di “raccontare la distanza tra la realtà che si sono
trovati ad affrontare e il silenzio che incontrano una volta tornati a
casa”. Una realtà che, spiega al Sir Shaul, “difficilmente trova spazio
nei media.
Fino ad oggi sono oltre 1.100 gli ex militari,
uomini e donne, che hanno testimoniato le loro esperienze nell’esercito
sollevando polemiche e un aspro dibattito pubblico.
La
maggior parte della società israeliana – sottolinea il veterano di
origini nordamericane – non gradisce ciò che facciamo”. Tra le accuse
più pesanti quella di delegittimare l’operato delle forze armate.
“C’è anche chi ci sostiene come testimoniano le numerosissime
conferenze, incontri ed eventi che, come ong, teniamo un po’ ovunque.
Denunciare
l’immoralità che sta prendendo piede nel nostro sistema militare non è
una sfida facile ma bisogna affrontarla. Ne va del futuro della nostra
nazione”.
L’incontro con Hlc. Shaul ha
servito nell’Idf come sergente dal 2001 al 2004, in Cisgiordania e Gaza,
e oggi si dedica a tempo pieno alla sua Ong. È anche per questo motivo
che il 16 gennaio ha guidato il Coordinamento dei vescovi per la Terra
Santa (Hlc) a Hebron, l’unica città palestinese che ha nel suo centro un
insediamento ebraico di poche centinaia di coloni.
Per
proteggerlo l’esercito israeliano ha posto delle severe restrizioni di
movimento a decine di migliaia di palestinesi. Restrizioni che hanno
decretato la fine dell’antico centro della città, dei suoi negozi, delle
sue strade, con intere famiglie palestinesi costrette ad abbandonare le
loro case. Ripercorrendo la storia della città, il co-fondatore di
“Breaking the silence” ha fornito i numeri dell’occupazione: in
quella che era la zona centrale di Hebron 1.014 appartamenti sono stati
abbandonati dai loro occupanti, ben 659 quelli lasciati durante la
seconda Intifada. 1.829 negozi (il 77% del totale della zona) sono stati
chiusi. Di questi almeno 440 per ordine delle autorità militari
israeliane. Non è in discussione il diritto di Israele a
esistere e difendersi quanto “l’uso della difesa come attacco che lascia
campo aperto a violazioni continue”.
“Anche un solo giorno è troppo”. Il 2017 segna il 50° anniversario dell’occupazione militare israeliana, dopo la Guerra dei Sei giorni (5-10 giugno 1967), della Cisgiordania e di Gerusalemme Est. Un conflitto ancora aperto che nessuno, comunità internazionale in testa, è riuscito a chiudere. Yehuda Shaul a riguardo ha le idee chiare.
“Il futuro di Israele e Palestina è tutto nelle nostre mani.Se non facciamo nulla non ci sarà nessuna soluzione. Al contrario se faremo qualcosa, credo che l’occupazione potrà finire e con essa il conflitto. Rompere il muro del silenzio è un passo in avanti.
Sono israeliano, non lotto contro i palestinesi ma contro l’occupazione
Ragazzini
palestinesi abbattuti, schiaffeggiati, segregati per ore, molestati e
intimoriti fino al punto di farsi la pipì addosso. Piccoli ma abbastanza
grandi da…
agensir.it|Di dall'inviato Daniele Rocchi
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