Netanyahu chiede il perdono del soldato israeliano condannato per l’omicidio di un palestinese




A poche ore dalla condanna, il premier israeliano avanza già la richiesta di perdono per il sergente Elor Azari. Egli ha parlato di “giorno duro e doloroso” e conferma il pieno sostegno al militare e alla famiglia. Il presidente israeliano ricorda che ogni azione è al momento “prematura”. La richiesta potrà essere esaminata dopo che i giudici avranno stabilito la pena.

Gerusalemme (AsiaNews/Agenzie) - A poche ore dalla sentenza, il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha chiesto il perdono per il soldato israeliano condannato per omicidio colposo per aver ucciso un giovane assalitore palestinese, a terra e inerme. Il processo a carico del 20enne sergente Elor Azaria sembra destinato a spaccare sempre di più il Paese, con i politici di centro-destra in prima fila nel chiedere l’annullamento della pena.
Il militare rischia fino a 20 anni di galera; i tre giudici del tribunale militare si sono riservati alcune settimane di tempo prima di pronunciare la pena detentiva.
Nel pronunciare la sentenza di condanna il presidente della giuria, colonnello Maya Heller, ha sottolineano che non vi erano motivi apparenti a giustificare l’apertura del fuoco contro il giovane palestinese. “Il motivo per cui [Elor] ha sparato - ha sottolineato il giudice - è il fatto che egli riteneva giusto che il terrorista morisse”.
In un post pubblicato sulla sua pagina Facebook nel tardo pomeriggio di ieri il premier ha parlato di “giorno duro e doloroso per tutti noi, ma prima di tutto per Elor e la sua famiglia”. “Sostengo appieno la richiesta di concedergli il perdono” ha aggiunto Netanyahu, che si dichiara vicino “ai parenti e ai soldati”.
Fra gli altri membri dell’esecutivo già attivi nel chiedere il perdono vi è il ministro israeliano dell’Istruzione, e rappresentante dell’estrema destra, Naftali Bennett. Per tutto il giorno ieri si sono tenute manifestazioni di solidarietà in diverse piazze del Paese. Secondo un sondaggio il 65% degli israeliani (ebrei) è favorevole alla richiesta del premier e del suo esecutivo.
Di contro, gli schieramenti di centro-sinistra e l’ex ministro degli Esteri Tzipi Livni rivendicano l’autonomia della magistratura [militare] e affermano che il verdetto va accettato. Questo è il solo modo, avverte, per sanare la ferita sanguinosa che si è aperta all’interno della società.
Nella vicenda è intervenuto anche il presidente Reuven Rivlin, il quale ha ricordato che ogni commento o azione è al momento “prematura”. Il capo di Stato potrà esaminare l’eventuale richiesta di perdono solo a conclusione dell’iter e la durata della pena.
Il team di legali a difesa del giovane militare ha già annunciato che ricorrerà in appello contro il verdetto. Soddisfazione, di contro, fra i familiari di Abdul Fatah al-Sharif, il 21enne palestinese ucciso da Elor. Per il padre Yusri egli merita l’ergastolo; lo zio Fathi aggiunge che la decisione di processarlo per omicidio colposo piuttosto che omicidio premeditato - che prevede pene più pesanti - è una “perversione della giustizia della corte”.




Il tribunale militare ha ritenuto colpevole di omicidio colposo il sergente Elor Azaria. Egli rischia fino a 20 anni di galera; la pena verrà stabilita nelle prossime settimane. In due ore e mezzo i giudici hanno respinto le ragioni della difesa, sostenendo che il 21enne palestinese non costituiva una minaccia.






Gerusalemme (AsiaNews/Agenzie) - Un tribunale militare israeliano ha condannato per omicidio colposo il soldato dell’esercito che, nel marzo dello scorso anno, ha sparato a sangue freddo a un giovane assalitore palestinese steso a terra e inerme. L’allora 19enne sergente dell’esercito Elor Azaria ha aperto il fuoco e colpito alla testa il 21enne palestinese Abdul Fatah al-Sharif durante un tentativo di assalto contro soldati israeliani a Hebron, in Cisgiordania.
La sentenza di condanna è giunta al termine di un processo iniziato a maggio e che ha diviso nel profondo la società civile, con fazioni opposte di colpevolisti e innocentisti a far sentire la propria voce. Il militare rischia fino a 20 anni di galera; i tre giudici si sono riservati alcune settimane di tempo prima di pronunciare la pena detentiva.
In questi mesi l’estrema destra israeliana si è schierata a più riprese in difesa del giovane soldato; di contro, i vertici dell’esercito hanno fin da subito chiesto chiarezza sulla vicenda e condannato il comportamento del militare, che avrebbe aperto il fuoco a sangue freddo - come è emerso da un filmato girato da un testimone - contro una persona stesa a terra e inerme.
Il giudice militare colonnello Maya Heller, insieme ai due colleghi, ha impiegato quasi due ore e mezza per la lettura della sentenza, in cui vengono respinte punto per punto le ragioni della difesa. Il colonnello Heller ha inoltre aggiunto che non vi era alcun motivo per cui il soldato Azaria dovesse aprire il fuoco, visto che il giovane palestinese non costituiva una minaccia.
La vicenda risale al 24 marzo scorso e mostra la profonda spaccatura nel Paese, non solo fra colpevolisti e innocentisti ma anche sulle politiche da adottare verso i palestinesi e in tema di sicurezza. Il militare ha sparato al giovane palestinese, che in precedenza aveva attaccato con un coltello altri soldati, ferendoli. L’assalitore era già steso a terra, in condizione di non poter più nuocere, anch’egli ferito. Ciononostante, il militare - intervenuto in un secondo momento - ha puntato il fucile e ha sparato, uccidendolo sul colpo. Dalle immagini catturate da un palestinese e diffuse dagli attivisti di B'Tselem si vede il soldato israeliano che spara in fronte al militante palestinese, steso a terra, senza che questi compia alcun gesto o provocazione. Poco prima dello sparo si sentono alcuni soldati esclamare, in ebraico, “il cane è ancora vivo”. Poi l’esplosione e il soldato che ha aperto il fuoco che grida: “Questo terrorista merita di morire”.
L’episodio si inserisce nel clima di violenze in corso dall’ottobre 2015 nella regione, innescate da una serie di provocazioni da parte di ebrei ultra-ortodossi, che hanno voluto pregare sulla Spianata delle moschee, luogo santo non solo per i palestinesi, ma per tutto l’islam. Da quel momento si sono moltiplicati incidenti e scontri in Israele e nei territori palestinesi, nel contesto della cosiddetta “intifada dei coltelli”.

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