Amira Hass : L’attaccante palestinese a Gerusalemme non era scoraggiato
Fadi
al-Qanbar conosceva tutte le conseguenze della sua azione, le ha viste
molte volte prima, ma i palestinesi considerano le ritorsioni israeliane
come parte naturale di una politica complessiva nei loro confronti, non
come una reazione.
Che Fadi-al-Qanbar abbia
programmato l’attacco di domenica con il camion a Gerusalemme oppure
che si sia trattato di una decisione presa d’impulso, sapeva benissimo
quale punizione collettiva era in serbo per la sua famiglia.
Sapeva che il suo corpo
non sarebbe stato restituito alla famiglia per la sepoltura – un atto
particolarmente umiliante e doloroso. Sapeva che i suoi parenti
sarebbero stati immediatamente arrestati e picchiati durante la
detenzione. Che alcuni avrebbero potuto essere cacciati dal lavoro che
hanno a Gerusalemme Ovest .Che le parenti prive di una carta d’identità
israeliana sposate a residenti di Gerusalemme si sarebbero trovate
espulse dalle loro case e separate dai loro figli. La sua famiglia
sarebbe stata perseguitata dalla polizia e dalle autorità dello Stato,
sapeva queste cose da mesi, e forse da anni, che la casa della famiglia
sarebbe stata demolita. Tutte queste cose sono successe ad altri
aggressori palestinesi di Gerusalemme Est.
Nel solo quartiere di
Jabal Mukkaber, negli ultimi sei mesi del 2015 Israele ha demolito tre
case e sigillato altre due. Tutte appartenevano a famiglie di
terroristi. “Sigillare” significa versare cemento nell’appartamento fino
a pochi centimetri dal soffitto.
Secondo Hamoked – il
Centro per la Difesa degli Individui –, tra il luglio del 2014 e la fine
di dicembre del 2016 Israele ha demolito 35 case palestinesi e ne ha
sigillate altre sette; di queste sei e quattro rispettivamente erano a
Gerusalemme Est.
Il fatto che i genitori,
i figli, i nonni, i nipoti e le nipoti che hanno perso le loro case e
che non avevano niente a che fare con l’attacco è irrilevante. Israele e
i giudici della Suprema Corte considerano le demolizioni come una
punizione legittima e un efficace strumento di deterrenza nei confronti
di coloro che pensano di compiere un attacco terroristico.
Inoltre, Qanbar
sicuramente sapeva che i suoi figli non soltanto avrebbero sofferto
della perdita del padre ma che sarebbero diventati o violenti o isolati,
e che, se in età scolare, i loro risultati scolastici ne avrebbero
sofferto come anche la loro salute. Ma non è stato scoraggiato.
Il fallimento della deterrenza
Gli analisti e i
politici nel caso di Qanbar hanno trovato ogni genere di ragioni del
fallimento della deterrenza: lo Stato islamico; un attacco dovuto
all’emulazione; l’essere stato un ex detenuto ( un’ apparentemente falsa
rivendicazione fatta da Hamas che Israele si è affrettata a fare
propria) e un incitamento dell’Autorità palestinese riguardante il
possibile spostamento dell’ambasciata statunitense a Gerusalemme. Come
al solito le interpretazioni sono fuorvianti e fuori luogo.
Un gruppo di soldati in
divisa non è una visione neutrale per qualsiasi palestinese. Quelli sono
l’aspetto e la divisa di chi irrompe a decine ogni notte nelle case dei
palestinesi, di chi uccide donne e minori ai checkpoint, di chi viene
mandato ad attaccare la Striscia di Gaza e di chi accompagna le forze
della Amministrazione Civile per demolire le cisterne d’acqua, i
gabinetti chimici, le baracche di lamiera e le tende. Il fatto che gli
israeliani abbiano cancellato questi avvenimenti dalla loro agenda non
significa che non esistano.
Senza dubbio gli
israeliani ritengono che senza queste misure di deterrenza il numero
degli aggressori palestinesi sarebbe più alto. O al contrario che vi
sarebbe una maggiore repressione. I palestinesi, tuttavia, considerano
le ritorsioni israeliane come una parte naturale di una politica
complessiva nei loro confronti, non come una reazione. Quando Israele
non demolisce come misura punitiva , sta demolendo non consentendo di
costruire e di svilupparsi. Quando non arresta la gente per attacchi
mortali o per averli presumibilmente progettati, Israele arresta bambini
per cercare di reprimere la lotta popolare. Con o senza attacchi
mortali espande le colonie, strangola l’economia palestinese e pianifica
espulsioni forzate dai villaggi e dalle case di Gerusalemme.
Così il motivo per cui
questi episodi non organizzati e individuali non si sono trasformati in
una più ampia insurrezione non deve essere attribuito all’ intrinseca
abilità israeliana di produrre sofferenze sempre maggiori. Per quanto
Hamas cerchi di dare pubblicità a questo attacco quale prova che
l’Intifada di Gerusalemme non è morta, è chiaro che la gente più in
generale non è interessata a ciò. Nonostante la frammentazione sociale e
geografica, una dirigenza debole e litigiosa, nel popolo palestinese
c’è una maturità politica che è consapevole della inevitabilità
dell’insurrezione, ma che si devono aspettare tempi migliori.
(Traduzione di Carlo Tagliacozzo)
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