Dario Calimani : Non si può continuare a far finta di nulla. Israele è stata messa in un angolo


 
 
 
 
Non si può continuare a far finta di nulla. Israele è stata messa in un angolo. Israele si è messa in un angolo. Che l’antisemitismo sia in forte crescita e che gli ebrei non attirino molte simpatie in giro per il mondo è indubbio. E non siamo del tutto certi che ci sia un rapporto… leggi 
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Non si può continuare a far finta di nulla. Israele è stata messa in un angolo. Israele si è messa in un angolo. Che l’antisemitismo sia in forte crescita e che gli ebrei non attirino molte simpatie in giro per il mondo è indubbio. E non siamo del tutto certi che ci sia un rapporto necessario e consequenziale fra antisemitismo e ani-israelianismo: l’antisemitismo c’è sempre stato, anche prima che esistesse Israele, come sventuratamente si sa. Che i paesi arabi facciano di tutto per attizzare inimicizia e odio nei riguardi di Israele – e spesso anche degli ebrei tout court – è altrettanto innegabile. Israele ha bisogno di essere difesa, ha bisogno di essere difeso il suo diritto fondamentale all’esistenza. A ogni costo, direi, quando quell’esistenza è messa in pericolo. Su tutto ciò non c’è dubbio e non ci sono né se né ma.
Ma che la politica di Netanyahu non stia facendo gli interessi politici di Israele sembra ormai pressoché indiscutibile. Non si tratta più di cercare i nemici di Israele all’interno dell’ebraismo, oltre che al suo esterno. Si tratta invece di riconoscere le responsabilità politiche di chi ne regge le sorti. Sembra poco proficuo scagliarsi contro chi non condivide la politica degli insediamenti e delle costruzioni nei ‘territori contesi’. Mentre Israele (ma preferisco dire Netanyahu) mostra i muscoli, la crisi si insinua in chi, anche all’interno dell’ebraismo, si pone domande che un tempo non si sarebbe mai posto, o mai avrebbe voluto porsi. È giusto il comportamento di Israele? Sono gli insediamenti l’unica strada per dare sicurezza allo stato? O quello della colonizzazione è un vicolo senza uscita che farà solo il male del paese? Qualcuno dirà che lo sta già facendo, ma sto solo cercando di lasciare aperte dei percorsi di dialogo.
Israele non ha bisogno dell’ampliamento del proprio spazio vitale, ha solo bisogno di pace. Una ricerca della pace che in questo momento nessuno – e intendo nessuno nei due campi in conflitto – sembra interessato a intraprendere. E tuttavia, chi ci rimette sul piano internazionale è Israele, con un isolamento senza precedenti e con un’immagine che più impopolare non si era mai vista. Anche la crisi all’interno dell’ebraismo non fa bene alla tanto invocata e proclamata unità del popolo, israeliano, da un lato, ebraico, dall’altro.
Persino la senatrice U.S. Dianne Feinstein, non certo una nemica di Israele, ha difeso la scelta di Obama dichiarando: “Ho assistito con crescente preoccupazione, nel corso degli anni, all’aumento degli insediamenti israeliani, dove vivono ora circa quattrocentomila persone. Credo che l’ampliamento degli insediamenti abbia solo uno scopo, quello di minare l’attuabilità della soluzione dei due stati”. E, infatti, questa soluzione ormai sembra non volerla più nessuno.
E tuttavia, mentre gran parte della popolazione preferisce il pensiero semplice, quello secondo il quale solo una politica forte, altèra ed espansionista può salvare il paese, indipendentemente dalle conseguenze che ne possano sortire, si vanno moltiplicando in Israele i gruppi moderati di pressione che acquisiscono coscienza della crisi e chiedono al governo realistici passi indietro. Basti citare SISO, Darkenu, Yesh Din, B’Tselem, Commanders for Peace, Breaking the Silence, Women Wage Peace…
Non si tratta di confrontare numeri, né di pesare sulla bilancia la diversa quantità di amore nei confronti di Israele, si tratta solo di aprire gli occhi e guardare in faccia il disagio delle coscienze.

Dario Calimani, Università Ca’ Foscari Venezia

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