Roberto Della Seta :Israele può rimanere uno stato ebraico?

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Israele riceve in queste ore la visita del nostro presidente della repubblica Sergio Mattarella. In quello che tutti abbiamo imparato a conoscere - e quasi tutti gli ebrei del mondo ad amare - come lo Stato ebraico, Mattarella trova un Paese nel quale sembra sempre più solida l'egemonia politica della destra e del suo leader Netanyahu, capo del governo ininterrottamente dal 2009, e sempre più lontana la prospettiva della pace con i palestinesi.
"Stato ebraico", appunto. Ma qual è il senso attuale e l'orizzonte futuro di questo concetto? Pochi giorni fa Sergio Della Pergola, ebreo triestino naturalizzato israeliano che insegna all'Università di Gerusalemme ed è considerato uno dei più autorevoli studiosi di demografia dell'ebraismo, ha pubblicato sul giornale "Maariv-Sof-Hashavua" un articolo intitolato "Con la demografia non si scherza" in cui dà una sua risposta dal punto di vista stretto della "scienza della popolazione" (l'intervento tradotto in italiano si può leggere su "Moked", il portale dell'ebraismo italiano).
Come scrive Della Pergola, la popolazione di Israele è oggi di 8 milioni e 585 mila persone, di cui il 74,8% ebrei e il 20,8% arabi; il dato comprende anche i 220 mila ebrei e i 320 mila arabi residenti a Gerusalemme est e i 400 mila coloni israeliani che vivono nei territori occupati. Il rapporto di forze tra ebrei israeliani tende ad un sia pure lento incremento della percentuale di arabi: perché il tasso di fecondità delle donne ebree è un po' più basso di quello delle donne arabe e perché gli arabi, sebbene abbiano tuttora una speranza di vita inferiore agli ebrei, però hanno un'età media più bassa e dunque muoiono di meno. Questa tendenza si può riassumere in un dato simbolico: nell'ultimo anno il nome più frequente dato ai bambini nati in Israele è Mohammed.
Quanto ai territori occupati della Cisgiordania e di Gaza, qui - secondo i dati forniti da Della Pergola - vivono stabilmente 4 milioni e 199 persone. Se a questi due numeri più grandi - cittadini israeliani e cittadini arabi residenti nei territori occupati - si aggiungono i lavoratori stranieri e i profughi, si sfiorano i 13 milioni di persone: bene, di questi solo il 49,1% sono ebrei.
I dati, eloquenti e incontrovertibili, proposti da Della Pergola, danno forma a un paradosso. Se domani si avverasse il "sogno" degli ultra-nazionalisti israeliani che vorrebbero l'annessione a Israele dei territori occupati, l'idea stessa di "Stato ebraico" perderebbe molto del suo senso, o per lo meno chi la sostiene si troverebbe a un bivio: o accettare che questo "grande Israele" per rimanere uno Stato democratico non sia più "Stato ebraico", oppure pretendere che resti "Stato ebraico" ma ammettendo che cessi di essere democratico, e che si tramuti in una replica del Sudafrica dell'apartheid che era al tempo stesso uno Stato "bianco" e un Paese abitato da una maggioranza di neri.
Del resto, un problema analogo seppure meno vistoso riguarda anche il "piccolo Israele", quello compreso dentro i confini di prima del 1967: dove gli arabi costituiscono un robusta minoranza e dove, per più di un aspetto, sono cittadini "di serie B", senza una vera parità di diritti con i cittadini ebrei israeliani. Giustamente Israele rivendica di essere l'unica democrazia del Medio Oriente, ma questa sua natura trova un'oggettiva e ingombrante limitazione proprio in quella declinazione "nazionalista" del concetto di Stato ebraico cara alla destra di Natanyahu. Israele può e anzi deve rivendicare le proprie radici ebraiche, come l'Europa non può né deve smettere di sentirsi l'erede della tradizione giudaico-cristiana: ma se vuole rimanere democratico, dovrà ridefinirsi anche come "patria" di tutti coloro - ebrei, arabi, né ebrei né arabi - che nascono o diventano cittadini israeliani.
Sempre di più nel futuro, Stato "ebraico" e Stato "democratico" saranno per Israele termini difficili da far convivere. La pace con i palestinesi, la fine dell'occupazione della Cisgiordania e la nascita di uno Stato palestinese libero e sovrano - vie rese impervie sia dalla miopia dell'attuale leadership israeliana sia dalla cronica inaffidabilità delle classi dirigenti palestinesi -, gli darebbero qualche decennio in più per costruire questa convivenza. Convivenza non tra popoli ma tra concetti, forse ancora più ardua da realizzare.


 
 
 
 
 
 
I dati, eloquenti e incontrovertibili danno forma a un paradosso. Se domani si avverasse il "sogno" degli ultra-nazionalisti israeliani che vorrebbero l'annessione a Israele dei territori occupati, l'idea stessa di "Stato ebraico" perderebbe molto del…
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