Che cosa significherà per il mondo la politica estera di Trump?


Redazione 18 novembre 2016 0
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Che cosa significherà per il mondo la politica estera di Trump?
Di Patrick Cockburn e Ken Klippenstein
16 novembre 2016
Patrick Cockburn è un giornalista dell’Independent che per decenni ha fatto servizi sul Medio Oriente e a cui è stato dato il merito di avere previsto l’ascesa dello Stato islamico nel 2014. Seymour Hersh lao ha definito “il miglior giornalista occidentale che opera oggi in Iraq.” Cockburn ha ricevuto numerosi premi, compreso il Premio Orwell per il giornalismo, il Premio Martha Gellhorn e molti altri.
Alternet ha intervistato Cockburn che allora di base a Erbil, in Iraq, a circa 80 km. da Mosul, luogo della più importante offensiva della coalizione contro lo Stato Islamico. Abbiamo trattato argomenti che andavano da Donald Trump all’efficacia e al bilancio di vittime civili dell’offensiva di Mosul. L’intervista è stata leggermente  modificata per avere migliore leggibilità.
Ken Klippenstein: Quando Trump ha chiesto di mettere al bando i  musulmani, l’ISIS lo ha usato a scopo di propaganda? (nel giugno 2016, n.d.t.)
Patrick Cockburn: Probabilmente c’erano dei riferimenti a questo perché, anche se ora è un poco degradato, lo Stato islamico ha un programma di propaganda     piuttosto esteso;  certamente lo avrebbe usato. Qualsiasi cosa che “puzzi” di punizione pubblica  dei musulmani negli Stati Uniti o in Francia  li mette in grado di mobilitare più facilmente la loro base.
KK: Mobilitare  la loro base  militarmente o per il  reclutamento?
PC: Entrambi
KK: Che cosa spera che faccia (o che non faccia) l’amministrazione Trump rispetto all’ISIS?
PC: Potrebbe – anche se, in realtà, sembrava più probabile che Hillary Clinton lo avrebbe fatto, potrebbe dire che siamo ugualmente impegnati a liberarci di Assad. Non appena si fa, sarà una buona notizia per lo Stato Islamico. Sarebbe un cattiva idea se lo facesse.
Soprattutto, quali sono i rapporti con l’Iran? E’ una cosa in cui Trump è molto impegnato; condannava l’accordo con l’Iran. Ora si sfascerà? L’Arabia Saudita e le monarchie del Golfo sarebbero molto contente se accadesse. Se si sfascerà, questo destabilizzerà ulteriormente la regione e darà un incentivo agli iraniani di aumentare, forse, il loro intervento [in Iraq] e in Siria. Avrebbe ripercussioni di ogni genere.
Probabilmente la cosa più funesta sarebbe che il patto che Obama aveva fatto con gli iraniani venisse lasciato cadere da Trump; questo rallegrerebbe gli israeliani, l’Arabia Saudita e le monarchie del Golfo. E’ la cosa più destabilizzante che potrebbe accadere ed è forse la cosa più probabile che potrebbe accadere.
KK: Uccidere l’accordo con l’Iran che effetto avrebbe sulla guerra contro l’ISIS?
PC: C’è sempre stata questa strana mescolanza, particolarmente in Iraq, di rivalità pubblica e di collaborazione privata tra l’esercito iraniano e gli Stati Uniti, perché per molto tempo avevano gli stessi nemici – inizialmente Saddam Hussein e poi al-Qaida in Iraq. C’era un governo sciita [in Iraq] appoggiato dagli Stati Uniti dopo il 2005 che era però appoggiato anche dall’Iran. Volevano aumentare la loro influenza e limitare quella dell’America, ma avevano gli stessi amici e gli stessi nemici. Il grado di collaborazione dipendeva in qualche modo da questo accordo per il nucleare ed è aumentato per tale accordo.
Anche l’attuale governo dell’Iran che è impegnato in questo accordo potrebbe andare in pezzi. E’ tutto molto negativo se questo accadrà.
KK: Se Trump strapperà l’accordo, ci sarà un governo più simile a quello di Ahmadinejad in Iran?
PC: C’è una cosa che potrebbe accadere…una linea statunitense più dura con l’Iran provoca  l’intera coalizione sciita contro gli Stati Uniti,  fa  in modo che guardino  più alla guerra che alla diplomazia
KK: Pensa che Trump parlava sul serio quando ha chiesto  una distensione con la Russia?
PC: Forse sì. Non è una cosa così stupida. In parte, è una cosa che abbiamo già avuto: negoziati e un tentativo di cessate il fuoco con i russi. Si può giustificare questo dicendo che se ci sarà un qualche accordo di pace con la Siria, dovrà essere negoziato dai più grossi protagonisti che sono Stati Uniti e Russia. Forse non basteranno  a farlo, potranno non essere capaci di controllare gli alleati e i “delegati”. Ma in qualche modo è fattibile.
E’ anche vero che le politiche come quelle di Hillary Clinton – o delle persone attorno a lei che parlavano di combattere lo Stato islamico, e di combattere e liberarsi di Assad – non sono state mai fattibili. Non c’è una fazione moderata di opposizione che avrebbe potuto combatterli entrambi. Non esiste. Il problema è che  quello che ha detto Trump, non sono politiche definite. Non sappiamo chi siano le persone che si intende le attueranno. Quindi la cosa è molto illogica.
KK: Pensa che questi tentativi di armare i ribelli continueranno a esserci?  
PC: Sì: E’ evidente che nell’ambito del governo degli Stati Uniti, parti diverse del governo hanno politiche diverse; sai, per esempio la CIA che arma varie fazioni ribelli, il Pentagono ha tentato di fare questo. Però l’idea di armare le fazioni che si supponeva fossero moderate, non soltanto non ha funzionato, è stata disastrosa, è stata una barzelletta. Qualunque sia lo stato dell’opposizione politica siriana, l’opposizione armata è dominata dagli islamisti e lo è stata da molto tempo. Questo potrebbe quindi continuare, ma non penso farà molta differenza.  Quando si tratta di truppe, soldati sul terreno che collaborano con gli Stati Uniti, naturalmente il Pentagono ha trovato delle persone, ma erano i Curdi e vari “delegati” appoggiati dai Curdi.
KK: La vittoria di Trump ha aiutato gli jihadisti in Siria e in Iraq?
PC: Potenzialmente poteva, ma non credo che al momento funzioni in quel modo perché tendono a pensare agli americani, agli europei, non soltanto ai non musulmani ma a coloro che  non credono in quella specie di variante Wahhabita dell’Islam in cui essi credono. E quindi per tutti loro il mondo è un nemico, sia che si tratti di un musulmano sciita che merita una morte immediata o degli Yazidi, molti dei quali sono stati fatti schiavi. Una delle cose riguardo all’assedio di Mosul,  più avanti rispetto a dove mi trovo io adesso, è che ci sono eserciti diversi, tutti nemici dello Stato Islamico e che tutti si odiano reciprocamente – che ora assediano questo posto.
Ora, potenzialmente, se i musulmani cominciano a essere cacciati via, se delle persone vengono uccise, ecc. allora sì che questo andrebbe a loro vantaggio. Qualsiasi genere di punizione dei musulmani in qualsiasi posto è una cosa da cui possono trarre vantaggio nella loro propaganda. Il grado in cui questo ha successo e li aiuta, naturalmente dipende dal grado di punizione comune a cui sono soggetti i musulmani.
KK: Pensa che le cifre che vediamo ora siano ampiamente sottostimate      rispetto alle vittime civili causate dagli attacchi aerei della coalizione sul territorio dell’ISIS?
PC: Sono probabilmente sottostimate, se lo siano ampiamente, non lo so. Nelle zone dove sono stato, tra qui e Mosul, la maggior parte dei villaggi era disabitata fin da quando l’ISIS se ne era impossessato  nel 2014. Non c’erano molte persone che vivevano lì, quindi potevano bombardare queste postazioni dell’ISIS senza uccidere molti civili.
Arriviamo ora ai combattimenti a Mosul Est che è pieno di gente. Questo è un problema importante che verrà fuori nelle prossime settimane. L’esercito iracheno non ha fatto granché di progressi la settimana scorsa in quelle zone, e quindi che cosa faranno? Un’opzione è bombardare  molto di più e ignorare le vittime civili. Se succederà questo, allora il numero delle vittime civili aumenterà molto rispetto al numero attuale.
KK: Trump potrebbe  perseguire  quell’opzione?
PC: Potenzialmente, sì, potrebbero aumentare i bombardamenti, particolarmente in posti come Mosul, ma è troppo presto dirlo.
KK: Ci sono stati dei servizi sui media russi in cui si dice che gli Stati Uniti hanno lasciato scappare le forze dell’ISIS da Mosul verso in Siria per causare problemi al governo siriano. C’è una qualche verità in questo oppure è soltanto propaganda russa?
PC: Penso che sia propaganda. Potrebbe darsi che ci piacerebbe molto farlo, ma non penso che succeda perché sembra che lo Stato Islamico sia molto determinato a tenere Mosul, il che è stato sempre probabile dato che la cattura di Mosul è stata la sua grande vittoria  che ha messo in evidenza lo Stato Islamico.  E’ un centro con una grossa popolazione, ancora controllato; ci sono da 1,5 milioni  a 2 milioni di persone lì.
Se dovrà combattere da qualche parte, Mosul è probabilmente un buon posto per combattere perché c’è una grossa popolazione civile, è piena di stradine e di case dove poter  fare una guerra di strada e dove è più difficile che una coalizione aerea  la rada al suolo bombardandola come hanno fatto a Ramadi. E’ anche molto difficile uscire dalla città in questi giorni dato che al momento l’assedio è del tutto completo.
La gente mi dice che si stanno inviando delle unità di cecchini da Raqqa a Mosul.
KK: Quando apparentemente Trump chiede bombardamenti a tappeto, questo ha un effetto sul morale dell’ISIS?
PC: No, non penso. La gente qui è stata bombardata così spesso, che non si spaventerà per questo. Stano bombardando pesantemente quel posto. Questi eserciti hanno una massiccia potenza di fuoco, arriva a 15.000 attacchi aerei o qualcosa del genere, in Iraq e in Siria. Potrebbero non esserci bombardamenti a tappeto qui, ma il posto è stato bombardato molto pesantemente.
KK: Quale è il coinvolgimento della Russia nell’offensiva di Mosul?
PC: Hanno detto in modo retorico che hanno interesse per Mosul, che interverranno se le milizie sciite ne prenderanno il controllo. Il presidente Erdogan diceva che Mosul aveva fatto parte dell’Impero Ottomano, entrava in una specie di retorica ottomana e nessuno sa bene quanto prenderla sul serio. Hanno circa 700 soldati in un posto, hanno più o meno addestrato una milizia locale che di solito operava per un ex governatore: quando ho incontrato questi uomini, non sembravano soldati sul serio, erano una specie di poliziotti, non soldati adatti a combattere.
La Turchia in un certo modo implica che potrebbe attraversare il confine con l’Iraq che è piuttosto vicino, che l’altro giorno ha inviato laggiù un’unità di carri armati da Ankara. Non penso che lo farebbero perché penso che il governo iracheno è contrario a questo, i Curdi sono contrari, gli Stati Uniti sono contrari; non mi sembra così probabile. Certamente sono più o meno coinvolti in questo, vogliono essere protagonisti, ma sono ancora una specie di attori marginali.
KK: Chi dice  che l’ISIS non si limiterà a fuggire in campagna e ad aspettare     e tornare in seguito, sotto altra forma?
PC: Sono sicuro che a loro piacerebbe fare una cosa del genere. Penso che si siano divisi. Ci sono prove che i loro comandanti erano divisi circa il fatto di dover fare un estremo atto di resistenza o una grossa resistenza a Mosul oppure se dovevano ritornare a essere guerriglieri.
Penso che se lo Stato Islamico decade, è un cambiamento importante, non si dovrebbe sottovalutarlo. Una delle cose che ha dato loro un rilievo ideologico nel mondo e la capacità di lanciare attacchi in Francia e in Belgio, ecc. è stato il fatto che avevano uno stato. I leader stranieri hanno continuato a dire che non è uno stato…ma ha il suo esercito, un’amministrazione, le tasse, ogni altra cosa. E’, quindi molto simile a uno stato.
Anche essersi dichiarato Califfato ha dato loro un profilo molto più alto.
Non è facile riconvertirsi in un’organizzazione di guerriglia…Non penso che abbiano il tipo di reti di guerriglia per sostenersi come avevano in passato.
KK: Molti americani pensano che le nostre armi siano cosi evolute e precise che le vittime civili causate dagli attacchi aerei sono minime. Quale è la sua replica a questa opinione?
PC: C’è una convinzione errata circa il fatto che possiamo avere un modo realmente buono di prendere di mira un edificio o altro, ma in fin dei conti dipende tutto dalle informazioni su dove è lo Stato Islamico – questo può essere un fattore buono o cattivo. Le armi reali possono essere molto precise, ma non sappiamo chi ci sarà dalla altra parte.
C’è una lunga storia, in proposito, che risale ai bombardamenti americani  nella prima Guerra del Golfo (1991), dove colpivano edifici in maniera molto precisa. Mi ricordo che, nel 1991, a Baghdad, colpirono un rifugio che pensavano fosse pieno di pezzi grossi  del partito Ba’ath – invece era pieno di 600 donne e bambini che furono tutti uccisi.
KK: Le vittime civili a Mosul potrebbero ostacolare le speranze di una soluzione politica?
PC: Siamo comunque abbastanza lontani da una soluzione politica e queste persone sono molto arrabbiate. La soluzione peggiorerebbe le cose? Probabilmente sì, ma siamo molto lontani da qualsiasi condivisione del potere con gli Arabi Sunniti, come sono gli abitanti di Mosul. Gli eserciti che sono fuori  sono eserciti iracheni che sono soprattutto musulmani sunniti.
Un paio di giorni fa stavo attraversando un posto di controllo dell’esercito iracheno e i soldati volevano che bevessi del tè con i biscotti; davano a tutti tè e biscotti. Il motivo era che stavano festeggiando una ricorrenza religiosa sciita che comporta offrire da mangiare alle persone. Era un posto di controllo militare, ma non  si sforzavano  di nascondere che erano tutti sciiti e che facevano un rito religioso. C’è quindi un alto grado di settarismo già all’interno dell’esercito.
Le persone vogliono sapere che cosa accadrà dopo la caduta di Mosul. Prima di tutto dobbiamo sapere quanto rimarrà di Mosul al momento in cui succederà. Ci potrebbe essere una partecipazione al potere di sciiti e curdi, ma i sunniti sono stati in un certo modo sconfitti finora in questa guerra. Ci sono un sacco di rifugiati sunniti dappertutto, qui. A parte l’ISIS non hanno molta leadership. Potrebbe, quindi, non esserci partecipazione al potere dopo questo conflitto; ci potrebbero essere soltanto vincitori e perdenti.
KK: Il governo statunitense definisce la sua presenza in Iraq puramente consultiva. E’ una  definizione   corretta o è più di questo?
PC: E’ più di questo. Ci sono 12 generali degli Stati Uniti in Iraq. Prima di tutto, la principale potenza di fuoco dei curdi e dell’esercito iracheno è la coalizione aerea guidata dagli Stati Uniti. Secondo, la logistica. Dubito che ci sarebbe questa offensiva
se Washington non la avesse voluta.
KK: Le forze statunitensi sono state direttamente impegnate nei combattimenti?
PC: Probabilmente sì…ci sono state delle vittime americane, ma non molte, e questo indica che non sono realmente impegnate nei combattimenti.
Nella foto: una rifugiata irachena in fuga dall’Isis, alla quale è stato rifiutato l’ingresso in una zona in mano ai Curdi.
Ken Klippenstein è un giornalista americano che si può contattare su Twitter: @kenklippenstein o per email:kenneth. [email protected]
Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo
www.znetitaly.org
Fonte: https://zcomm.org/znetarticle/what-will-trumps-foreign-policy-mean-for-the-world/
Originale: Alternet
Traduzione di Maria Chiara Starace
Traduzione © 2016 ZNET Italy – Licenza Creative Commons  CC BY NC-SA 3.0


 
 
 
 
 
 
 
Che cosa significherà per il mondo la politica estera di Trump? Di Patrick Cockburn e Ken Klippenstein 16 novembre 2016 Patrick Cockburn è un giornalista d
znetitaly.altervista.org

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